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Lorenzo Dotta | ![]() |
Alessandro M. Pitetto |
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Nella foto: Sky Terrace Hotel Milano La Scala
Da sempre l’investitore italiano ha visto nel mattone un bene rifugio, essendo la casa il tipico investimento in cui far confluire i propri risparmi per poi lasciarla in eredità ai propri figli. E’ questa la principale ragione per cui è assai comune trovare alloggi, terreni, cascine e ville cointestati ai vari membri dello stesso nucleo familiare, vuoi per questioni successorie, vuoi per acquisti in comune.
Questa situazione di comproprietà comporta necessariamente la creazione di una qualche forma di organizzazione volta alla manutenzione, gestione e ristrutturazione dei beni comuni, in modo da disciplinare, talvolta anche in modo informale, le spese, le modalità di godimento, la percezione dei frutti e via dicendo. Tale organizzazione può manifestarsi, ad esempio, sotto forma di società commerciale, adottando così una veste “canonica”, come, all’opposto, sotto forma di società di fatto.
Una figura peculiare che merita sicuramente attenzione è la società semplice di mero godimento immobiliare.
La dottrina giuridica, anche alla luce della recente crisi economica, si è interrogata sulla possibilità (e, a priori, sulla liceità) di utilizzare il veicolo societario per la gestione di beni immobili- ipotesi non del tutto pacifica- nonché per porre in essere una situazione di mero godimento degli stessi.
A tal riguardo, una questione assai discussa e dibattuta[1] è l’ammissibilità di una società semplice di mero godimento immobiliare, ossia una società in cui raggruppare uno o più immobili al fine di usufruirne, mantenerli, valorizzarli e gestire gli stessi (in una parola, goderne), mediante l’adozione di un tipo sociale che eserciti un’attività non commerciale. La complessità dell’argomento non può che portare ad una riflessione che tratta i punti principali senza pretese di esaustività.
Un aspetto fondamentale che preme chiarirsi, fermo il concetto di godimento immobiliare, è entro quali limiti esso operi ed in quale rapporto si ponga rispetto alla attività sociale economica e, quindi, imprenditoriale. Riguardo ai limiti, v’è da interrogarsi se la gestione di uno o più immobili in comproprietà debba necessariamente rientrare nel novero della comunione di godimento di cui all’articolo 2248 del Codice Civile; quanto al rapporto con l’attività di impresa, va sottolineata la ferma posizione dottrinale che vede la società semplice capace di svolgere attività esclusivamente agricola[2].
A fronte di tale consolidata posizione, la quale tende ad escludere categoricamente l’ammissibilità di una società semplice di mero godimento immobiliare, recentemente si è assistito ad una inversione di rotta che riconosce e legittima tale ente societario, andando ad incrinare la granitica avversione di buona parte di dottrina e giurisprudenza nei confronti della figura in esame[3].
Vista la recente apertura giurisprudenziale e di parte della dottrina, ad oggi pare potersi sostenere, ferma restando la non del tutto pacifica iscrivibilità della società, la possibilità di costituire una società semplice di mero godimento immobiliare solo nel caso in cui i soci utilizzino i proventi dell’attività sociale esclusivamente per far fronte alla gestione ed alle spese di gestione e conservazione degli immobili conferiti, senza cioè che si concretizzi la produzione di reddito, il che necessariamente connoterebbe la società come commerciale.
Giunti a questo punto, pare opportuno domandarsi se, in termini pratici, abbia o meno senso far ricorso ad una società semplice di mero godimento, oppure se sia preferibile, anche da un punto di vista economico, optare per altre soluzioni, come ad esempio mantenere gli immobili in comproprietà oppure procedere ad attribuzione in piena proprietà in capo ai singoli soggetti.
Facendo ricorso al veicolo societario, anche nella sua forma più elementare, la società semplice, l’organizzazione e la gestione dei beni sociali, compresi gli immobili, ha una struttura necessariamente più definita rispetto a quanto avviene in caso di comproprietà, con una disciplina legale che ne definisce i caratteri essenziali; vi sono, inoltre, conti correnti intestati alla società e v’è obbligo di rendicontazione annuale, tutti elementi assenti nell’ipotesi della comproprietà.
Ulteriore carattere distintivo è rappresentato dalla presenza del capitale sociale, il quale è suddiviso in quote di partecipazione e rappresenta la percentuale cui il singolo socio ha diritto nella divisione degli utili e, quindi, la “porzione” di società (comprensiva dei beni immobili) che gli verrà assegnata in caso di recesso o di scioglimento della società stessa. I soci possono pertanto rimodulare la compagine sociale intervenendo sul capitale, modificando le originarie quote di partecipazione o consentendo l’ingresso di nuovi soci.
Anche le vicende successorie seguono percorsi distinti a seconda che si tratti di beni conferiti in società oppure di beni in comproprietà, con l’ulteriore distinzione tra successione inter vivos e mortis causa. La complessità delle questioni appena citate non può che rimandare ad ulteriori e specifiche riflessioni, non possibili in questa sede.
La soluzione circa l’opportunità di costituire una società semplice di mero godimento immobiliare non pare poter essere generica né generalizzata.
A fronte di una ammissibilità, pur non pacificamente condivisa, che sembra ormai legittimare la figura in esame, occorre considerare attentamente i singoli elementi che caratterizzano la fattispecie concreta. Si pensi, ad esempio alle dimensioni ed alla struttura della società, così come al numero di immobili oggetto dell’attività sociale, come ancora ai profili fiscali (tra cui figurano, in primis, eventuali agevolazioni quali la cd “agevolazione prima casa”, precluse agli enti societari). Sembra pertanto preferibile escludere una risposta a priori positiva o negativa, essendo imprescindibile valutare, di volta in volta, le singole circostanze al fine di adottare la soluzione più consona al caso concreto.
[1] E’ opportuno fare riferimento agli articoli 2247 (“Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili”) e 2249 del Codice Civile (“Le società che hanno per oggetto l’esercizio de una attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nel capi III e seguenti di questo titolo. Le società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività diversa sono regolare dalle disposizione sulla società semplice e meno che i soci abbiano voluto costituire la società secondo uno degli altri tipi regolati nei capi III e seguenti questo titolo”) per comprendere la distinzione tra società commerciali (s.n.c., s.a.s. s.r.l., s.p.a., s.a.p.a. e cooperative) e non commerciali (s.s.).
La legge pertanto distingue a seconda dell’attività che la società andrà a svolgere, differenziando l’attività commerciale da quella non commerciale (“attività diversa”). In particolare, l’attività “diversa”, ossia non commerciale, può essere svolta esclusivamente dalla società semplice, mentre quella commerciale caratterizza tutti gli altri tipi sociali. [Si veda, al riguardo: G.F. CAMPOBASSO, “Diritto commerciale 2” in Diritto delle società, Torino 2002, p. 40; M.GHIDINI, “Società personali” Padova, 1972, p. 43; M. CARAVALE, “Perché mai il diritto privato è ancora diviso in due campi, il civile ed il commerciale?” in AA.VV, Negoziati e imprenditori, Milano 2008 p. 81; P. SPADA, “Dalla società civile alla società semplice di mero godimento” in Studio n. 69-2016/I approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 31 marzo 2016].
La dottrina dominante e consolidata [si veda: F. Galgano, “Le società in genere. Le società di persone”, in Trattato Cicu-Messineo, Vol. XXVIII, Milano, 1982, p. 66 ss; G.F. CAMPOBASSO, op.cit., p. 36; G. Ferri jr., “Riflessioni in tema di oggetto statutario di società di capitali”, in Riv. dir. comm., I, 2002, p. 502 ss;], seguita dalla giurisprudenza [Tribunale di Varese,31 marzo 2010 e Tribunale di Mantova, 3 marzo 2008; App. Milano, 12 ottobre 1965, in Riv. dir. comm., 1966, II, 260; Prassi del Tribunale di Milano in tema di omologazioni societarie, Rassegna al 31 dicembre 1986, in Riv. not., 1989, 280; Trib. Udine, 8 gennaio 1999, in Giurisprudenza onoraria del Tribunale di Udine], identifica l’attività non commerciale con quella agricola, relegando così la società semplice alla sola attività agricola, con esclusione di ogni altro tipo di attività, compreso il godimento immobiliare.
Detta posizione trova il suo fondamento nell’impronta prettamente commerciale introdotta con la codificazione del 1942, che ha relegato la società al solo esercizio collettivo della produzione di beni e servizi finalizzato alla divisione dei potenziali guadagni. Si è così abbandonato definitivamente il concetto di “società civile” previsto dal codice del 1865. Detto tipo societario perseguiva lo scopo del godimento e dell’esercizio collettivo di una produzione di beni o servizi, i quali, qualora fossero sfociati in “atti di commercio”, avrebbero fatto confluire la società nell’alveo delle cd. “società particolari di esercizio”. Con l’introduzione del nuovo codice si esclude pertanto il godimento collettivo dalle regole di diritto commerciale a favore di quelle sulla comunione di godimento ex 2248 C.C. [P. SPADA, op.cit. p. 2].
La corrente minoritaria [si veda, per tutti, G. BARALIS, “L’”eretica” società semplice di mero godimento immobiliare: riflessioni” in Studio n. 73-2016/I approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 31 marzo 2016, oltre ai precedenti “Studi nn. 4129 e 4256” approvati dal Consiglio Nazionale del Notariato Commissione Studi Civilistici; si vedano, inoltre, V.BUONOCORE, G. CASTELLANO, R. COSTI “Casi e materiali di diritto commerciale” in Società di persone, Milano 1978, p.208 ss.] trova le proprie radici, sin dall’introduzione del nuovo Codice Civile, in autorevole dottrina [A.GRAZIANI “Società”, Napoli 1963, p. 77-78; OPPO, “Principi” in Trattato di diritto commerciale diretto da Buonocore, Torino 2001, p. 54-55] la quale sostiene la non esclusività dell’attività agricola come oggetto sociale e la sopravvivenza della “società civile” nella società semplice, ammettendo oltre all’attività agricola anche quella di sfruttamento di immobili a titolo locativo.
[2] L’articolo 2248 del Codice Civile (“La comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme del titolo VII del libro III”), interpretato letteralmente, sembra escludere nettamente la possibilità di far rientrare il godimento immobiliare nell’attività tipica dell’ente societario e quindi, a contrario, confermare che l’unica attività ascrivibile alla società semplice è quella agricola. A ciò va aggiunto un supposto carattere elusivo della società semplice immobiliare, elemento che assume rilievo anche sotto il profilo fiscale, stante l’impossibilità di registrare contratti di locazione abitativa. La situazione ben può essere riassunta affermando che “la società semplice immobiliare [è] astretta tra l’incudine dell’illegittimo esercizio di attività commerciale e il martello dell’illegittima iscrizione al contratto di società dell’attività di mero godimento” [così: P. MONTALENTI, “Diritto commerciale, diritto tributario, scienze aziendali: categorie disciplinari a confronto in epoca di riforme”, in giur. it., 2004, p. 684 ss.; si veda anche il Quesito n. 210-2007/I “Società semplice di mero godimento” in Studi approvati dal Consiglio Nazionale Notarile, p. 6].
Al riguardo può essere utile citare un’autorevole tesi [P. SPADA “L’amministrazione come servizio prodotto” in Dig. Discipl. Priv., sez. comm, VII, Torino1992, p. 44] che, al fine di determinare se il godimento di immobili sotto forma di locazione configuri o meno attività d’impresa, pone al centro dell’attenzione la presenza di una attività amministrativa dotata di una certa struttura, che raggiunga cioè dimensioni – quantitativamente e qualitativamente- degne di nota. Un Autore [G. BARALIS “Studio 73-2016” cit. p.4] obbietta la non sufficienza del mero carattere organizzativo per configurare attività imprenditoriale, sottolineando come il godimento immobiliare finalizzato alla locazione e, quindi, alla rendita non configuri di per sé attività d’impresa (salvo casi macroscopici).
Si veda, in tema, il Quesito n. 210-2007/I (op. cit. p. 2), nel quale si afferma che“il criterio discretivo dovrebbe essere la sussistenza di un’attività qualificata da elementi di imprenditorialità, tali da poter attrarre la stessa nell’ambito commerciale, e rispetto alla quale i beni sociali abbiano natura strumentale” [per esemplificazioni ed approfondimenti, si veda “Nuovi orientamenti del Tribunale di Milano” in tema di omologazione di atti societari, Riv. Soc., 2000, p. 210].
Si prenda ad esempio il caso di un soggetto che acquisti una palazzina per poi locare le singole unità immobiliari; tale soggetto si avvarrà di una qualche forma di organizzazione al fine di coordinare le varie operazioni che, dalla ristrutturazione alla gestione delle singole pratiche, porteranno alla locazione vera e propria. Tale forma di organizzazione, embrionale o comunque di ridotte dimensioni, sembra non poter connotarsi delle caratteristiche tipiche dell’attività imprenditoriale. [G.BARALIS, “Studio 73/2016 p.4]. L’ipotesi appena affrontata rappresenta comunque un caso limite che sarebbe opportuno affrontare in base alla situazione concreta e con tutte le cautele del caso.
Pertanto, continua il citato Autore, “nel campo immobiliare l’attività di godimento che mira alla rendita, ai frutti, è propriamente attività esterna all’impresa, essendo l’organizzazione, se moderata, del tutto subalterna a detta attività. Solo quando l’organizzazione diventa imponente o perlomeno notevole non vi è più attività da rentier, ma una attività che è quella quantificata dalla preponderanza della organizzazione e diventata una attività produttiva di servizi” [G. BARALIS, “Studio 73/2016 cit.p. 5. Si vedano, infine, G FERRI, “Manuale di diritto commerciale a cura di G.B:Ferri e C. Angelici, Torino, 2015, p.27; BUONOCORE, op. cit. p.49; e G.F. CAMPOBASSO op.cit. p.33].
[3] Tale tendenza contraria si è manifestata in particolare nel Nord Ovest della nostra penisola, con apice nel capoluogo sabaudo, ove si contano numerosi esempi di società semplici di mero godimento immobiliare, in seguito anche regolarmente iscritte. Questo fenomeno, tipicamente piemontese, ha preso piede grazie al contributo lungimirante che alcuni Autori sono riusciti a far riconoscere a discapito dell’interpretazione maggioritaria.
La prassi sabauda, sostenuta da autorevole dottrina notarile [G. BARALIS, op.cit. p.; A. BUSANI, “Sì alle società semplici “cassaforte”, ” in Il Sole 24 Ore, 6 luglio 2016, p. 41] ha trovato finalmente conferma in una recente pronuncia di merito del Tribunale di Roma, 8 novembre 2016, chiamato ad esprimersi sulla cancellazione d’ufficio dal Registro delle Imprese di una società semplice immobiliare. La Corte si è pronunciata sulla non sussistenza dei presupposti di legge di cancellazione dal Registro Imprese sostenendo che la “Società semplice diviene, dunque, non solo il regime residuale di esercizio di attività economiche collettive non commerciali, ma anche un regime societario facoltativo, rispetto a quello della comunione, del godimento collettivo”.
Conferme sulla valida costituzione di società semplici di mero godimento immobiliare sono arrivate anche a seguito da un intervento legislativo in materia fiscale, la “legge di stabilità per il 2016, art.1, comma 115-120”, che offre un regime fiscale agevolato alle società commerciali che procedono all’assegnazione o alla cessione, ai propri soci, di beni immobili e mobili registrati, e concede alle società immobiliari di gestione di trasformarsi in società semplici. A seguito dell’introduzione di detta normativa, la dottrina si è nuovamente interessata alla questione proponendo vari studi che affrontano la questione in modo chiaro ed esaustivo [si vedano, a tal riguardo, P. SPADA op. cit.; F. RAPONI “Studio 20-2016/T” approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato Area Scientifica – Studi Tributari 22 gennaio 2016 e “Studio 92-2016/T” approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato Area Scientifica – Studi Tributari 8 aprile 2016; e, ancora, M. PIAZZA, P. DI FELICE, A. ACCINNI E S. SCIUMÈ “ La società semplice: profili fiscali, civilistici e di amministrazione” in www.strumentifinanziariefiscalità/dottrina in data 25 settembre 2018].