Nella foto: record del mondo di “surplace”, 63 minuti. 27 Luglio 1968, Velodromo di Masnago di Varese. Sergio Bianchetto e Giovanni Pettenella
L’impasse della politica monetaria e i risvolti sulle scelte di pianificazione ed investimento degli italiani
“… First, we decided to keep the key ECB interest rates unchanged. We now expect them to remain at their present levels at least through the end of 2019, and in any case for as long as necessary to ensure the continued sustained convergence of inflation to levels that are below, but close to, 2% over the medium term…” (Mario Draghi, Press Conference, 7 marzo 2019)”
Anche per quest’anno non se ne parla. Dopo la chiusura del Quantitative Easing a dicembre 2018, ci si attendeva di essere definitivamente entrati in una fase di normalizzazione della politica monetaria europea e, di conseguenza, il primo rialzo dei tassi dopo tanti anni sembrava essere il perfetto finale per il mandato di Draghi.
Ed invece, ecco ciò che temevamo: l’avvicinarsi di un rallentamento dell’economia globale, confermato dalle ultime revisioni all’outlook 2019 del FMI, il ristagno dell’inflazione su livelli inferiori ai target perseguiti dalle principali banche centrali, e l’avverarsi di quella temuta Japanization caratterizzata da una (molto) prolungata fase di tassi a zero (nel nostro caso addirittura sotto zero).
E’ a questo punto doveroso effettuare alcune considerazioni non solo sul ruolo della nostra Banca Centrale, ma anche, e soprattutto, sugli effetti che il circolo vizioso in cui si è incanalata la politica monetaria europea può e potrà avere sulla scelte di pianificazione finanziaria degli investitori. Ma andiamo con ordine.
I problemi sul tavolo: l’aporia nell’aporia
Fino a prima della crisi, in fondo, il lavoro dei banchieri centrali era tutto sommato semplice, per non dire noioso. I modelli economici, e la prassi, indicavano in sostanza che di fronte ad una economia che si surriscalda, caratterizzata da una inflazione in crescita, bisognava alzare i tassi di interesse; in caso di stagnazione dell’economia, viceversa, si procedeva inversamente dando fiato al credito a buon mercato per far ripartire il ciclo e con esso i prezzi. E soprattutto, diciamocelo, il problema principale pareva essere quello di evitare improvvise fiammate di inflazione, tanto gravose per i risparmi e per i redditi fissi.
Non per niente, con la nascita dell’euro e il trasferimento della politica monetaria in capo alla BCE, si era teutonicamente voluto fissare il fatidico livello del 2% di crescita annua dei prezzi quale monito a futura memoria di chi, latinamente, era invece abituato a svalutare e a far correre l’inflazione e, di conseguenza, tale livello diveniva obiettivo primario dell’operato della Banca Centrale[1]. Non considerando quindi che altrove (leggasi USA) il controllo dell’inflazione è invece sullo stesso piano di un altro e altrettanto importante scopo, ossia la ricerca della piena occupazione.
La crisi finanziaria prima, ed economica poi, hanno però totalmente sconquassato i paradigmi della politica monetaria europea, trovatasi nel frattempo ad affrontare il rischio del crollo della zona euro (“Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough”. Mario Draghi, 26 Luglio 2012) e la crisi di alcuni debiti sovrani (Italia in testa).
Si è dovuto allora agire di fantasia, o per lo meno in maniera creativa. Dopo aver constatato che nemmeno le forti iniezioni di liquidità producevano significativi effetti sull’economia reale, la prima anomalia introdotta è stata quella dei tassi di deposito negativi, tesi ad evitare che le banche ricedessero liquidità alla stessa Banca Centrale. Una vera eresia che nessun modello economico-finanziario aveva mai previsto.
E se i tassi di deposito della BCE sono sotto zero ormai dal 2014[2], con essi è crollata l’intera curva dei rendimenti, come ben evidenziano le figure n. 1 e n. 2
Figura n. 1. La curva dei rendimenti nell’area euro (titoli AAA, 4 aprile 2019)
Fonte: ECB
Figura n. 2. La curva dei rendimenti nell’area euro (titoli AAA, diverse date)
Fonte: ECB
Dalle figure n. 1 e n. 2. si ricavano essenzialmente due considerazioni. Innanzitutto, è facile osservare che se si vuole investire in maniera sicura (la curva si riferisce infatti ai titoli con rating AAA), fino a 10 anni si è sotto zero, e nemmeno prolungando il proprio orizzonte di investimento fino ai 30 anni si ottiene l’1% (lordo ovviamente). La figura n. 2, evidenzia invece che la diminuzione dei tassi è in realtà un fenomeno ormai storico, meglio apprezzabile se guardiamo ai rendimenti dei decennali americani nel lungo periodo (figura n. 3).
Figura n. 3. Tassi di rendimento del decennale americano
Fonte: FRED
Si è passati poi alle maniere forti: sulla scia del vincente esempio americano (ma là il sistema economico e finanziario complessivo ruota in un altro modo), la BCE ha introdotto il suo QE[3], strizzandolo prima fino a 80 miliardi al mese per poi rallentare e chiuderlo definitivamente (o temporaneamente forse). Quello che ne rimane, per ora, è rappresentato nella figura n. 4.
Figura n. 4. Ammontare degli acquisti totali di titoli da parte della BCE (miliardi di euro)
Fonte: ECB. PSPP = Public sector purchase programme (titoli di stato). CBPP3 = Third Coverend bond purchase programme. CSPP = Corporate sector purchase programme. ABSPP = asset-backed securities purchase programme
Considerando i soli titoli di stato, è doveroso sottolineare che il volume degli acquisti effettuati era a fine marzo pari a 2.094,281 miliardi di euro. La figura n. 5 fornisce lo spaccato degli acquisti, mostrando come più di 365 miliardi dei titoli del nostro debito pubblico siano in pancia alla Banca Centrale che, per ora, è intenzionata a rifinanziarli in maniera rolling nel momento in cui dovessero scadere[4] (e Dio ci scampi che non lo faccia!)
Figura n. 5. Ammontare dei titoli di stato europei nel portafoglio della BCE
Fonte: ECB. WAM = weighted average maturity
Bene… e a questo punto cosa è successo?
Procediamo con un esempio iperbolico. Se dovessi interrogare un mio studente e chiedergli: “sulla base di quello che hai studiato nei corsi di economia, cosa succede se la Banca Centrale diminuisce i tassi fino a portarli a zero, o addirittura sotto zero, e poi inonda il mercato di liquidità con ingenti operazioni di finanziamento oltre il breve termine alle banche (LTRO e TLTRO), e comprando migliaia di miliardi di titoli di stato? L’inflazione sale o scende?”. Il malcapitato studente probabilmente risponderebbe: “l’inflazione va alle stelle”. Che voto dovrei dargli? Se penso a quello che c’è scritto sui libri, 30 e lode, se guardo a quello che accade nella realtà, insufficiente.
E’ proprio questa la prima aporia: nonostante tutta la politica monetaria straordinaria messa in atto negli ultimi anni, non solo in Europa, e nonostante il fatto che in alcuni paesi (non il nostro) la disoccupazione sia ai minimi storici (si pensi agli USA[5] e alla Germania), non sembrano esservi particolari tensioni sui prezzi e l’inflazione rimane sotto i target sperati dalle Banche centrali. La figura n. 6 illustra l’andamento del tasso di inflazione nell’area euro da quando la politica monetaria è nelle mani della BCE: la media è 1,72% e il 2% torna ad essere un miraggio.
Figura n. 6. L’andamento dell’inflazione nell’area euro
Fonte: ECB
Ora, quale sia il motivo per cui l’inflazione non sale è oggetto di dibattito e di sconforto tra i maggiori esperti internazionali; si citano cause quali la globalizzazione, la tecnologia, l’automazione dei processi produttivi, la crescente disuguaglianza economica che concentra la ricchezza all’apice della piramide sociale ecc..
Per quanto qui ci interessa, tuttavia, la dinamica dei prezzi ci serve per far comprendere a chi legge l’esistenza di una seconda aporia, ovvero il rischio di inflazione. Sì, avete capito bene: per quanto potrebbe infatti sembrare un controsenso parlare di rischio di inflazione in un momento come quello che stiamo vivendo, occorre ricordare che i tassi di base sono così bassi (vedasi precedente figura n. 1) che nemmeno investendo a 30 anni si riesce portarsi a casa un misero 1%-1,5% netto senza rischio. Totale: se non voglio rischiare perdo potere di acquisto nonostante la dinamica dei prezzi sia stagnante.
Prime conclusioni sulla politica monetaria europea. Che fare? Come affrontare un eventuale fase di stagnazione economica? Varie ipotesi iniziano a circolare tra le righe dei commenti dei più accreditati specialisti. In ordine sparso: riaprire il QE, abbassare ulteriormente i tassi sotto zero, iniettare ulteriore liquidità (questo lo ha già previsto la stessa BCE). Ma anche, a mio avviso, ripensare al mandato della Banca Centrale, magari dotandola di nuovi strumenti e dandole un mandato più ampio stile FED. Il tutto magari accompagnato da forti misure espansive di politica fiscale attuate da quei paesi che possono permetterselo (Deutschland über alles)
Le conseguenze per gli investitori
A latere dei dibattici macroeconomici, il perdurante impasse della politica monetaria rende necessario considerarne gli effetti sulle scelte di investimento e di pianificazione finanziaria degli italiani. Proviamo a dare qualche spunto.
- È evidente, innanzitutto, che con rendimenti così bassi le potenzialità di accumulazione del capitale si riducono. Per le nuove generazioni sarà necessario risparmiare molto di più dei genitori se si vuole creare un capitale significativo nel corso del tempo; e tale capitale, dovesse permanere la situazione attuale, produrrà comunque una rendita minore che in passato, anche a causa della crescita della longevità media della popolazione
- D’altro lato, la liquidità a buon mercato che la BCE continuerà a riversare sul mercato renderà ancora conveniente per diverso tempo l’indebitamento. Si badi bene, però, che i tassi di interesse rimangono molto bassi per quanto attieni i mutui (a febbraio, secondo i dati ABI, il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni è risultato pari a 1,91%). Sui prestiti al consumo, invece, iniziano a circolare TAEG ben oltre il 5%, sebbene l’ultima novità sia quella dei prestiti a tasso negativo[6] (ci crederò quando me lo concederanno)
- Come sopra osservato, per mantenere per lo meno il potere di acquisto occorrerà comunque prendersi dei rischi. Ma dove? In che modo? Sull’azionario o sull’obbligazionario? Qui occorre che ogni investitore faccia delle serie valutazioni insieme al proprio consulente. Mi preme comunque osservare che se restiamo sull’obbligazionario il semplice allungamento della duration potrebbe non essere comunque sufficiente, ed esporre contemporaneamente a considerevoli rischi di variazione dei prezzi. Vi è infatti a mio avviso una percezione distorta, nella testa degli investitori, in merito alla relazione prezzo-rendimento dei titoli a reddito fisso (e a tasso fisso)[7]. Detto in termini semplici, oggi un investitore potrebbe considerare un eventuale rialzo dei tassi come innocuo ( … se i tassi da 0% vanno a 0,5% che vuoi che sia… sempre bassi rimangono): in realtà, chi ha in mente la configurazione della relazione prezzo-tasso sa che un rialzo dei rendimenti a partire da tassi bassi incide molto di più sul prezzo rispetto allo stesso rialzo a partire da un livello di rendimento maggiore[8]. Se invece si decide di muoversi su rating più bassi, è fondamentale evitare il fai da te, perché di carta al mondo ce n’è tanta, ma sceglierla nel modo appropriato è difficile (ergo, utilizzare prodotti di risparmio gestito). Se si punta infine sull’azionario bisognerà avere i nervi saldi negli inevitabili momenti di storno che vi saranno in futuro, oltre ovviamente ad un orizzonte temporale adeguato.
- Il possibile permanere di un livello di inflazione basso per molto tempo ha invece effetti contrastanti sugli investitori. Da un lato, ciò potrebbe paradossalmente rendere più semplice le scelte di pianificazione finanziaria in un’ottica di goal-based investing. Esempio: se il mio obiettivo è comprare tra 5 anni un bene che oggi vale 100, posso presumere che tale valore rimarrà all’incirca lo stesso, o comunque aumenterà di poco, e di conseguenza mi sarà più semplice comprendere quanto accumulare per realizzare il mio progetto. Ancor di più, per i fortunati che riuscissero nel corso del tempo ad accrescere il proprio reddito da lavoro, o che comunque siano nelle condizioni di poter modificare tale reddito (ad esempio lavorando di più), si verificherebbe un considerevole aumento del potere di acquisto. D’altra parte, però, è noto che un più elevato livello di inflazione aiuta a meglio “digerire” i debiti, e sappiamo quanto lo stato italiano ne avrebbe bisogno! Stante la situazione, e considerate le ultime previsioni di crescita inserite dallo stesso governo nel DEF, è allora lecito pensare che un aumento del livello di tassazione non sia da escludere (ma lascio ad altri l’approfondimento del tema). In generale, comunque, inflazione bassa significa anche stagnazione economica, riduzione dei margini e degli utili aziendali.
- Last but not least, il tasso di deposito negativo e l’appiattimento verso il basso della curva dei rendimenti rendono molto meno redditizio il tradizionale business bancario. E’ un problema su cui la BCE sta seriamente ragionando, perché potrebbe alla fin fine risultare inutile continuare a fornire liquidità alle banche sperando che la impieghino nell’economia reale se poi tali istituti, non producendo profitti adeguati e non riuscendo ad incrementare il proprio capitale in maniera fisiologica, sono costretti a ridurre il proprio risk appetite e a stringere i rubinetti del credito. Sembrerà un ragionamento da tecnici, ma il risvolto sugli investitori è immediato: se la banca non guadagna dall’intermediazione del denaro (spread tassi attivi-tassi passivi) è costretta ad aumentare il costo dei servizi offerti. Storicamente la via più breve è quella di aumentare il costo dei conti correnti.
Reference shelf
- Ferdinando Giugliano, The ECB Is Struggling With Three Big Questions, Bloomberg, 28 marzo 2019
- IMF, Outlook 2019, April
- William Pesek, Japanization: What the World Can Learn from Japan’s Lost Decades, ttps://www.amazon.com/Japanization-World-Japans-Decades-Bloomberg/dp/1118780698
- ABI, Economia e mercati Finanziari-creditizi, Marzo 2019
- Credito al consumo, la rivoluzione è servita: arrivano in Italia i prestiti personali a interesse negative, https://quifinanza.it/soldi/credito-al-consumo-la-rivoluzione-e-servita-arrivano-in-italia-i-prestiti-personali-a-interesse-negativo/232196/
[1] E’ giusto tuttavia osservare che, fin dall’inizio, la quantificazione dell’obiettivo di crescita dei prezzi al consumo nell’area euro prevedeva che essi crescessero nell’intorno del 2%, cioè meno ma non distante dal 2% (below but close to 2%). Ciò a significare che, ovviamente, l’obiettivo della BCE non era e non è quello di avere deflazione, e nemmeno tassi di crescita dei prezzi positivi ma significativamente bassi.
[2] Si era partiti con un -0,10 nel giugno del 2014 per poi andare in crescendo (o meglio in diminuendo) a settembre del 2014 (-0,20), e poi nel 2015 (-0,30) e nel 2016 (-0,40). Da lì non ci si è più mossi.
[3] Come illustrato nella figura n. 4, l’acquisto di titoli non ha riguardato solo titoli di stato, ma anche corporate bond, covered bond e asset backed securities.
[4] Nonostante la chiusura del QE la BCE ha infatti dichiarato che continuerà a ricomprare i titoli in scadenza ancora per lungo tempo, così come aveva fatto la Fed in America dopo aver concluso il suo QE. “Regarding non-standard monetary policy measures, we intend to continue reinvesting, in full, the principal payments from maturing securities purchased under the asset purchase programme for an extended period of time past the date when we start raising the key ECB interest rates, and in any case for as long as necessary to maintain favourable liquidity conditions and an ample degree of monetary accommodation” Mario Draghi, Press Conference, 7 marzo 2019.
[5] Si veda al riguardo articolo di De Giorgio, https://www.contemplata.it/2019/01/dinamiche-salariali-e-dinamiche-demografiche-negli-usa-quale-impatto-sullinflazione/
[6] Credito al consumo, la rivoluzione è servita: arrivano in Italia i prestiti personali a interesse negative, https://quifinanza.it/soldi/credito-al-consumo-la-rivoluzione-e-servita-arrivano-in-italia-i-prestiti-personali-a-interesse-negativo/232196/
[7] L’ultimo rapporto Consob sulle scelte finanziarie delle famiglie italiane mette in evidenza come la conoscenza reale dei risparmiatori in merito al rischio di tasso di interesse nei titoli obbligazionari sia molto bassa.
[8] La relazione prezzo-rendimento dei titoli a tasso fisso è infatti rappresentabile attraverso una curva convessa, dove la convessità dipende dalle caratteristiche intrinseche del titolo (in particolare la durata). Partendo da rendimenti molto bassi, anche un lieve aumento del prezzo provoca una significativa discesa di prezzo.