Dal punto di vista del depositante, la risposta è presto detta: zero. Anzi, meno di zero. Anzi ancora, molto meno di zero.
Il motivo è semplice: se anche, miracolosamente, la banca mi pagasse un minimo interesse sulle giacenze in conto corrente, l’ammontare dei costi e della tassazione annullerebbe tale guadagno. E se poi, malignamente, dovessimo considerare il rendimento reale di tali somme, cioè al netto dell’inflazione, cadremmo in profondo rosso. In definitiva, potere d’acquisto bruciato giorno dopo giorno.
E se invece il correntista decidesse di investire, almeno, in depositi a breve termine proposti dalla banca, quali pronti contro termine o depositi vincolati? Le cose migliorerebbero? Manco per niente. Come riportato nell’ultimo ABI Monthly Outlook, ad Agosto 2022 il tasso medio sui depositi si attesta a 0,32%, quello sui pronti contro termine allo 0,84%. Il problema non si risolve.
E se provassimo con le obbligazioni bancarie, allungando un po’ l’orizzonte di investimento? Arriviamo allo 1,81%, che con un inflazione all’8% non ci cambia la vita.
Ma la BCE non ha alzato i tassi?
Certo che sì. Prima a luglio e poi a settembre. E la situazione attuale è la seguente:
• Tasso di deposito ad un giorno, ossia il tasso che la BCE paga alle banche che depositano riserve in eccesso = 0,75% (annuo ovviamente)
• Tasso di rifinanziamento principale, ossia tasso a cui la BCE presta denaro alle banche con scadenza settimanale = 1,25%
• Tasso di rifinanziamento marginale, ossia tasso a cui la BCE presta denaro alle banche overnight, cioè con scadenza ad un giorno = 1,50%.
Ma non è finita, perché la BCE ha già fatto capire che la risalita dei tassi continuerà almeno fino a primavera 2023.
E allora, cosa succede nel mondo bancario? Come variano i tassi di interesse?
Semplice anche stavolta. Come noto in letteratura, le banche tradizionali, cioè quelle prevalentemente impegnate nell’intermediazione del denaro (raccolgo denaro-presto denaro) agiscono al variare dei tassi della Banca centrale con un certa “vischiosità”. Termine curioso per dire che le banche traslano le variazioni dei tassi ai clienti in maniera più o meno rapida a seconda di quello che conviene loro.
Se i tassi si alzano, il rialzo degli stessi sugli impieghi (prestiti) è praticamente immediato. Per i prestiti a tasso variabile (ad esempio indicizzati a qualche Euribor) la cosa è ovviamente automatica. Se invece un prestito è a tasso fisso è chiaro che la banca non può aumentarne il costo in divenire: ma suoi nuovi prestiti a tasso fisso le richieste di tasso aumentano immediatamente.
Ad esempio, una recentissima simulazione di Mutui on line ha messo in evidenza come la rata di un mutuo a tasso fisso può aumentare di oltre il 6% in termini monetari dopo l’ultimo rialzo dei tassi della BCE di 0,75%.
E cosa succede sui tassi di interesse pagati dalla banca sugli strumenti di raccolta, quali conti correnti, depositi, obbligazioni? Beh, lì ovviamente la banca attenderà un bel po’ ad aumentare i tassi di interesse, cioè finché non sarà costretta dalle dinamiche di mercato a farlo.
In definitiva, se aumento i tassi sugli impieghi e lascio invariati i tassi sulla raccolta il mio margine di interesse (principale indicatore della redditività di una banca tradizionale) aumenta. Ergo faccio più utili; ergo il prezzo di borsa sale.
Ed infatti, nelle ultime sedute, i corsi di alcune banche tradizionali hanno viaggiato in controtendenza con il mercato. Dopo mesi, se non anni, di miseria una svolta per il settore bancario? Speriamo. Giusto tuttavia osservare che, almeno fino ad Agosto, il margine tra tasso medio impieghi e tasso medio raccolta era ancora a livelli “infimi” così come riporta l’ABI Monthly Outlook. Di strada da fare c’è ne molta.
Ma torniamo ai tassi della BCE, in particolare a quello di deposito, oggi allo 0,75%. Fino a qualche tempo fa tale tasso era negativo: un eresia finanziaria per cui le banche dovevano pagare loro alla BCE per depositare la liquidità in eccesso.
Da qui ne era disceso un certo fastidio, diciamo così, delle stesse banche a vedere troppa liquidità ferma sul conto corrente di un cliente. Perché se la banca non aveva richieste sufficienti lato impieghi la liquidità diveniva un costo. Qualcuna di essa aveva addirittura paventato di chiudere quei conti che presentavano giacenze sopra un certo livello.
Ma adesso tutto cambia. Con un tasso di deposito della BCE allo 0,75%, la liquidità ferma acquisisce un interessante valore.
Prendiamo per buoni i dati dell’ABI che indicano ad Agosto un ammontare di depositi da clientela privata di 1.860 miliardi. Ipotizziamo che la vischiosità dei tassi faccia sì che su tale ammontare le banche non alzino i tassi per un anno (molto probabile), e che tali soldi non vengano prestati ma semplicemente depositati in BCE. Incassando il tasso di deposito della BCE di 0,75% otteniamo circa 14 miliardi di euro. E se al prossimo incontro la BCE dovesse alzare di altri 0,75%, la cifra raddoppia.
Quanto rendono allora i soldi sul conto corrente?
Per il depositante zero. Per la banca più di zero.