“Spoilerare”, purtroppo, è solo uno dei tanti brutti neologismi comparsi nella lingua italiana negli ultimi anni. E “spoilerare se stesso” risulta espressione alquanto cacofonica. Ma, in pratica, è quello che sto per fare in questo articolo.
Il 17 maggio, dalle 16,15 alle 17,15, sarò ospite di Goldman Sachs presso il Salone del Risparmio per un intervento dal titolo: “Private markets: il non quotato nel portafoglio degli investitori”. Per iscriversi eccovi il link.
L’argomento che mi è stato richiesto di esplorare è di sicuro intrigante, visto il crescente interesse che, ormai da qualche tempo, si è riversato sugli investimenti alternativi nell’economia reale. Il che vuol dire, in termini semplici, sfruttare le opportunità di investimento che esistono al di fuori dei mercati regolamentati.
Gli aspetti salienti che ruotano intorno a questo approccio sono molteplici. Per prima cosa, non è superfluo chiedersi cosa si intenda esattamente per investire nell’economia reale (e, di conseguenza, cosa dovrebbe essere invece l’economia non reale).
In secondo luogo, se investire nei cosiddetti private markets ha dei vantaggi, occorre comprendere quali siano le caratteristiche dei differenti veicoli utilizzabili per farlo, soprattutto per quanto attiene i profili di rendimento-rischio.
Ma poi, tutto quanto sopra assodato (e sarà appunto la prima parte del mio intervento), la domanda fatidica che normalmente ci si pone è la seguente: quanto NON quotato si dovrebbe inserire nel portafoglio di un investitore?
Come al solito la risposta, ovviamente, è: dipende. Sì certo, dipende da molti fattori, lo sappiamo: profilo di rischio dell’investitore, patrimonio a disposizione, orizzonte di investimento ecc.. Ma una percentuale indicativa qualcuno ce la dovrà pur dire!
Per rispondere alla domanda ho seguito due strade: 1) ho chiesto all’intelligenza artificiale (ChatGPT) 2) ho cercato dei dati che fornissero un potenziale punto di riferimento.
La risposta dell’intelligenza artificiale la riservo per il Salone. Vi inserisco invece qui sotto un interessante grafico tratto dal report di Campden Wealth e TitanBay, “The Ultra-High Net Worth Private Equity Investing Report 2023”.
Il grafico si riferisce all’asset allocation di un campione di U-HNWI (residenti prevalentemente in EU). Come indica il report, l’84% degli intervistati dichiara di aver investito nel private equity, e un altro 10% è attivamente interessato a farlo.
Ma quanto investono questi U-HNWI nei private markets? 20% è nel Private equity, e un altro 5% nel Private debt. Se consideriamo il concetto di private markets nella sua accezione più ampia mettendoci dentro anche il Real Estate (più reale di così!), arriviamo al 47%.
Troppo? Beh, quelli sono U-HNWI, una sigla che suona come una malattia o il nome di un confraternita.
Ma per chi ha patrimoni più ridotti? Orazio diceva: est modus in rebus …
Ditemi la vostra. Vi attendo al salone del risparmio