Prima ora della prima lezione del corso di economia dei mercati finanziari: il professore, dopo anni di studio approfondito della teoria di Markowitz, esordisce affermando che la diversificazione è un bene. E magari, per meglio convincere i propri studenti dei benefici della stessa, oltre che per un mai sopito desiderio di esternare il proprio livello culturale, citerà il Mercante di Venezia (Atto I Scena I), quando Antonio dice: “…riguardo a questo, posso ben ringraziare la mia sorte: le mie merci non son tutte stivate nel ventre d’una sola ragusina, né tutte destinate ad un sol luogo, né dipende l’intera mia sostanza dalla buona fortuna di quest’anno.” Chiaro esempio di diversificazione spazio-temporale!
In sostanza la diversificazione paga o meglio, detto con meno teatralità rispetto a Shakespeare, i movimenti non sincroni dei titoli presenti in un portafoglio consentono, alla lunga, di avere un rendimento più stabile nel tempo, cioè “più sicuro”; o meglio ancora un rendimento “aggiustato per il rischio” più elevato, dove l’espressione aggiustato per il rischio (risk adjusted) sta per “tenuto conto del rischio”.
Questa affermazione sembrerebbe rappresentare una delle poche certezze in un mondo finanziario sempre più caratterizzato, invece, dall’incertezza, dove la cosiddetta nuova normalità (o new normal) ha fatto venire meno molti vecchi paradigmi (ad esempio che le banche non possono mai fallire e che i tassi di interesse non possono essere negativi). Ma siamo veramente sicuri che il paradigma della diversificazione resiste ancora?
Ci sono in realtà diversi studi pubblicati su riviste scientifiche che dimostrano il contrario (vedi ad esempio Kacperczyk M., Sialm C., Zheng L., 2005); in alcuni casi, infatti, portafogli più concentrati sembrerebbero caratterizzarsi per un maggiore rendimento aggiustato per il rischio nel corso del tempo. Questa evidenza è stata più volte confermata per il mercato statunitense (azioni e US equity mutual fund). In sintesi, l’idea è che il gestore di un portafoglio (ad esempio di un fondo) che segue una strategia attiva di gestione (active management), rispetto ad una passiva che si sostanzia nella semplice replica del benchmark, può ottenere risultati positivi (risk adjusted) grazie alla propria capacità di stock picking (cioè la capacità di selezione delle azioni sulla base della propria conoscenza delle singole società e sull’andamento del mercato nel suo complesso). Ovviamente tale capacità deve evolvere nel tempo per garantire il perdurare dei risultati positivi: per dirla con John Templeton, “quando un metodo di selezione di titoli diventa popolare, cambia con metodi non utilizzati dagli altri. Troppi investitori che comprano gli stessi titoli possono erodere i margini di guadagno anche del miglior metodo di selezione.”
In definitiva, quindi, non sempre la diversificazione porta al miglior risultato possibile. Ma ciò vale per tutti i mercati? In un recente studio pubblicato dal Journal of Financial Management, Markets and Institutions (Aliano et al., 2016) si osserva che, a differenza di quanto emerso per i fondi statunitensi e globali, i fondi Emerging Market Asia (ex Giappone) più concentrati presentano invece una performance peggiore rispetto a quelli meno concentrati, ribaltando, in definitiva, i risultati presentati per il mercato global e U.S..
In tale studio si indica peraltro che l’investitore, più che esaminare semplicemente la concentrazione o il tracking error del fondo, dovrebbe guardare alla “profondità” delle strategie implementate dal gestore; infatti, analizzando la performance di un campione di fondi in funzione di diversi strategie di gestione (quali strategie settoriali, capitalizzazione delle azioni, value e growth, indicatori momentum ecc …..), si osserva una correlazione positiva tra il numero di strategie utilizzati e il rendimento realizzato. In termini semplici, ciò significa che quando si costruisce un portafoglio per investire nei mercati emergenti asiatici, è preferibile sfruttare diverse logiche di diversificazione (approccio multi-strategies), piuttosto che replicare il benchmark o tentare la fortuna con lo stock picking.
Reference shelf
- Markowitz R., Portfolio Selection, The Journal of Finance, Vol. 7, No. 1.,1952, pp. 77-91
- Kacperczyk M., Sialm C., Zheng L. , On the industry concentration of actively managed equity mutual funds, 2005, Journal of Finance 60, 1983–2011
- Aliano M., Previati D., Galloppo G., Asian Fund Manager Performance: Factor Specialisation and Financial Crisis Impact, 2016,