In foto: René Magritte – La Décalcomanie

 

E’ frequente che i miei collaboratori mi chiedano nuove tecniche e metodologie per riuscire a migliorare le proprie capacità commerciali, così da poter accrescere le vendite e attrarre nuovi clienti.

Capita spesso, infatti, che molti formatori o manager ti dicano che la colpa è tua se le cose non filano lisce, che bisogna amare sinceramente il cliente, che non devi pensare che sei lì per vendere quando fai una visita commerciale; ma nello steso tempo, ed in modo palesemente contraddittorio, ti dicono anche che devi portare a casa una chiusura per raggiungere lo scopo! Insegnano a volte ad dire qualche “bugia bianca”[1], salvo poi ribadire che non si deve farlo, perché il cliente lo percepisce.

Tutto ciò genera una notevole confusione nella testa dei consulenti (di varia specie) che devono relazionarsi con un cliente retail per vendere (nel senso nobile del termine) servizi e prodotti: e si badi bene, anche la proposizione del servizio di consulenza in sé è comunque una vendita.

Addentrandoci nel problema è possibile identificare due potenziali strategie per migliorare le nostre relazioni interpersonali con il cliente:

  • Una, è quella di cercare di essere simpatici, cioè tentare di suscitare in una persona un sentimento di istintiva attrazione e divertimento, tanto da far sì che passare del tempo con noi sia un’esperienza estremamente piacevole.
  • Esiste però anche una decorosa seconda opportunità, quella dell’empatia, ossia la capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a condividerne e rispecchiarne i pensieri e gli stati d’animo.

Il “venditore depresso” potrà ovviamente chiedersi cosa diavolo possa importargli di questa sottigliezza terminologica, quasi filosofica. Egli al massimo ha cercato di esercitare la simpatia per chiudere una vendita, e sa anche bene se qualcuno gli è più o meno simpatico. Probabilmente non ha mai preso invece in considerazione la possibilità di essere empatico per meglio promuovere il suo prodotto/servizio.

L’empatia è infatti la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia che di dolore. Il significato etimologico del termine è “sentire dentro” (dal greco εμπαθεία, empatéia, a sua volta composta da en-, dentro, e pathos, sofferenza o sentimento): in altri termini, “mettersi nei panni dell’altro”, ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale.

 

Ma si può imparare a essere più empatici?

La risposta è sì, anche se la cosa non è semplice. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che perfino persone con autismo – un disturbo che include deficit nell’interazione e comunicazione sociale ridotta – possono imparare a mostrare più empatia nelle relazioni sociali attraverso un allenamento specifico.

Nel suo libro “Exploring Empathy with Medical Students”, il ricercatore scozzese David Jeffrey sostiene che i professionisti in ambito medico dovrebbero fare un uso maggiore dell’empatia nella relazione con i pazienti. L’autore ha avanzato alcune proposte su come raggiungere tale obiettivo. Tra queste, alcuni suggerimenti sono applicabili nella quotidianità dell’attività di consulente. Vediamo di che si tratta.

  • Come si sente l’altro?Esercitarsi nell’assumere la prospettiva altrui non significa pensare: “come mi sentirei io in quella situazione?”. Ciò infatti può portare all’urgenza di distogliere il pensiero dalle sensazioni negative. L’idea è immedesimarsi nell’altro e assumere la sua prospettiva, tenendo conto del suo contesto e della sua storia di vita.

 

  • Meditazionescrittura creativa, role playing.  Molti studi hanno cercato in passato di stimare la bontà di queste pratiche; di recente, una analisi più specifica condotta dagli scienziati della Emory University, pubblicato su Social Cognitive and Affective Neuroscience, ha definitivamente confermato il fatto che queste attività sono in grado di aumentare le capacità empatiche. In particolare, il role playing consiste nel giocare a recitare la parte della persona che sta soffrendo, in modo da assumere la sua prospettiva e comprenderla a fondo. È possibile aumentare le capacità empatiche anche costruendo una storia su un personaggio immaginario. Seguire in prima persona le vicende del protagonista del racconto che inventiamo induce a immedesimarsi in un punto di vista diverso dal proprio, e ad esercitarsi nel provare empatia per le vicende che affronta. Infine, la meditazione e i corsi di mindfulness sembrano essere utili per entrare più a contatto con le proprie e altrui emozioni in modo non giudicante.

 

Entrando più specificatamente nel campo della vendita, esiste una tecnica di PNL (Programmazione neuro linguistica), il cosiddetto “rispecchiamento”, che rappresenta un sistema adeguato per creare con il nostro interlocutore un rapporto empatico, basato sulla fiducia.

Il termine in questione indica, in termini semplici, l’assunzione di una postura speculare a quella di chi ci è di fronte. Pensate a due innamorati: vi è tra di loro una vera e propria sintonia. Quindi si tratta di riprodurre artificialmente un procedimento naturale. Quando l’inconscio di un individuo è stimolato da quello del suo interlocutore, cerca di interessarlo assumendo la sua postura. È come se gli dicesse: “Sono simile a te!”. L’aspetto della comunicazione non verbale ha infatti un ruolo fondamentale nell’empatia.

Robert Levenson, psicologo della California University di Berkeley, ha dimostrato come l’empatia abbia una base fisiologica. Ha condotto studi su coppie di coniugi, i quali dovevano indovinare cosa provasse il partner durante una accesa discussione. I partner non solo venivano registrati con una videocamera, ma le loro reazioni fisiologiche erano misurate mentre parlavano di un problema inerente il loro matrimonio (chi deve rimproverare i figli, le spese, ecc.). Poi ogni partner rivedeva la registrazione spiegando le sue emozioni momento per momento. In seguito rivedeva la registrazione cercando di indovinare lo stato emozionale dell’altro partner. Il massimo dell’empatia è stato riscontrato in quei coniugi che, mentre osservavano il partner, assumevano la stessa fisiologia, reagivano in modo analogo: se il partner aveva un’abbondante sudorazione, anche loro sudavano; se il partner aveva un calo della frequenza cardiaca, anche loro lo avevano. Mimavano inconsciamente le impercettibili reazioni fisiologiche del loro partner.

Invece, coloro che mantenevano il loro atteggiamento, senza mimare quello del partner, non riuscivano a indovinare lo stato emotivo del coniuge. L’empatia è possibile quando il corpo degli interlocutori è in sincronia.

Il rispecchiamento consiste quindi nel ricreare la stessa fisiologia/postura del nostro interlocutore. Se chi abbiamo di fronte ha le braccia conserte, anche noi lo faremo. Se il nostro interlocutore si accarezza i capelli, possiamo imitarlo. Ma attenzione: non bisogna scimmiottare, ovvero, non si deve rispecchiare in tempo reale il nostro interlocutore, altrimenti potrebbe dirci: “Ma mi prendi in giro?”. Se si accarezza i capelli, possiamo farlo dopo qualche attimo e non immediatamente. Un sistema efficace è quello di assumere o mimare i gesti, quando interveniamo nella discussione. Aspettiamo che finisca il suo pensiero e poi, quando cominciamo a parlare, mimiamo la sua postura.

Da un punto di vista più scientifico, vi è una spiegazione neurologica alla tecnica del rispecchiamento, che si basa sul funzionamento della corteccia visiva e dell’amigdala. Quando si vede la faccia di un individuo, l’informazione induce una scarica prima nella corteccia visiva e poi nell’amigdala. Questo è il percorso standard che induce attività emozionale.

Sono anche stati identificati alcuni neuroni che sembrano reagire solo a particolari risposte: atteggiamenti aggressivi, di sottomissione, paura, ecc.. Sembra che il nostro cervello sia predisposto per reagire a particolari stimoli esterni. Ecco perché gli innamorati entrano in una sincronia di segnali empatici, che inconsciamente vengono codificati e rimandanti. Quindi, mimando la postura e la fisiologia del nostro interlocutore, gli rimandiamo una serie di segnali che egli registra in quei particolari neuroni, decodificandoci come persone empatiche nei suoi confronti. Il rispecchiamento permette cioè l’instaurazione della fiducia: “Non so perché, ma sento di potermi fidare di te”.

Infine, rispecchiando, possiamo percepire lo stato emotivo di chi abbiamo di fronte, e di conseguenza comunicare a un livello molto più profondo di quello normale.

 

Reference Shelf

 

  • Levenson, R. W., & Ruef, A. M. (1992). Empathy: A physiological substrate. Journal of Personality and Social Psychology, 63(2), 234-246.
  • Jeffrey, David Ian, Exploring Empathy with Medical Students Authors,

 

 

[1] Con l’espressione “Bugia Bianca” si intende la cosiddetta “bugia a fin di bene”. Consiste dunque sempre in una menzogna, in un occultamento più o meno palese e totale della realtà, ma in genere lo si fa per tutelare la persona che si ha di fronte.