Nella foto: Christine – La macchina infernale
La parola FinTech, come noto, è l’acronimo di “financial technology’, ovvero tecnologia applicata al mondo della finanza. E’ un termine ormai comunemente utilizzato per parlare, in maniera globale, di tutte quelle nuove tecnologie che stanno rapidamente cambiando l’industria finanziaria. In realtà, cosa sia il FinTech rimane ancora tutto da discutere.
Generalmente, le soluzioni afferenti al FinTech vengono divise in tre categorie fondamentali che si differenziano tra di loro per alcuni aspetti:
- il primo aspetto di differenziazione è il settore: all’interno del mondo della finanza vi sono infatti soluzioni tecnologiche applicate, o comunque attigue, al business model delle banche tradizionali; altre sono invece rivolte al mondo delle assicurazioni, e per esse si è già trovato un ulteriore acronimo, “insurtech”.
- un secondo aspetto attiene a quali fattori del processo aziendale vengono semplificati, o resi del tutto nuovi dall’applicazione della tecnologia. Un primo esempio al riguardo è rappresentato dal sistema dei pagamenti: qui la tecnologia può incidere sulla creazione di portafogli digitali, ovvero sul funzionamento dei pagamenti stessi attraverso forme di peer to peer che aiutano la clientela a scambiare denaro. Un altro esempio è il processo di investimento: in questo ambito può essere ricompreso lo sviluppo dell’equity crowfounding, che permette alle aziende di raccogliere capitale rivolgendosi direttamente ad un gruppo di piccoli investitori senza bisogno di ricorrere al finanziamento degli istituti bancari. Infine il processo di consulenza, oggi fortemente aggredito da soluzioni di robot advisory.
- Il terzo aspetto di differenziazione è costituito dai segmenti serviti: per quanto attiene la clientela privata, le nuove soluzioni tecnologiche possono rivolgersi a clientela retail, affluent o private.
Comunque sia, l’impatto della tecnologia nel mondo della finanza rappresenta di sicuro una vera rivoluzione, su questo non ci sono dubbi. In un report di Citi Group veniva sottolineato come gli investimenti in tecnologia fossero arrivati, alla fine del 2016, già a 20 miliardi a confronto dei soli 2 miliardi investiti nel 2011. I player della Silicon Valley sono stati il motore di questo cambiamento (e continueranno ad esserlo).
FinTech: un po’ di storia
Per quanto si stia parlando di un fenomeno in divenire, è possibile tracciare un minimo percorso storico del FinTech. Infatti, sebbene la rivoluzione tecnologica sembri appena cominciata, il vero inizio del cambiamento può essere fatto risalire alla crisi del 2008, o ancora più indietro se si considera lo sviluppo della rete internet a partire dalla fine degli anni ‘90.
E se vogliamo veramente ragionare da storici, non è fuori luogo affermare che tutta questa rivoluzione tecnologica in ambito finanziario che stiamo oggi vivendo getta le sue radici nella nascita degli sportelli automatici (ATM, Automated Teller Machine), meglio conosciuti come bancomat. Quello che oggi appare come un gesto normale (ormai anche un po’ desueto), cioè prelevare da uno sportello ubicato in prossimità della banca o anche da essa totalmente staccato, non era così scontato il 27 giugno del 1967, quando a Enfield Town venne installato il primo bancomat della Barclays Bank. A sviluppare il primo bancomat, era stata la società inglese De La Rue, a seguito di un’intuizione geniale di un impiegato, John Shepard Barron, che non giustificava il tempo passato a fare file interminabili in banca per ritirare i suoi soldi[1].
Nella foto: inaugurazione del primo ATM della Barclays
Successivamente, un’altra grande innovazione nel mondo della finanza è stata il trading elettronico prima, e trading on line o TOL dopo, sbarcato in Italia nella prima metà degli anni ‘90: tale innovazione ha reso possibile l’accesso al mercato ad un numero sempre più elevato di utenti abbassando, di conseguenza, i costi di negoziazione dei titoli e tagliando fuori un po’ di operatori di Borsa.
Grazie al perfezionamento delle telecomunicazioni ed al potenziamento delle capacita di calcolo dei computer, il trading elettronico si è poi evoluto nel trading automatizzato ad alta frequenza (detto anche HFT, High Frequency Trading): come ha recentemente evidenziato l’Economist[2], il mercato borsistico è ormai dominato dalle macchine in termini di volumi di scambi, e dalla gestione passiva basata su algoritmi di trading in termini di masse gestite. Gordon Gekko, il mitico personaggio degli anni ’80 protagonista del film Wall Street non avrebbe più molto spazio oggi.
Arrivando ai giorni nostri, il FinTech ha assunto una vita propria; da semplice applicazione della tecnologia al business tradizionale delle banche commerciali e di investimento, oggi esso rappresenta un fenomeno a sé stante, un settore i cui player spaziano da sconosciute startup alle Big Firms del mondo social e di internet. E come in tutti i settori, la concorrenza inizia a farsi sentire e a mietere vittime.
Unicorni e dinosauri
Come spesso capita nel mondo dello sport, i migliori giocatori a livello giovanile non sempre riescono poi a sfondare nel mondo dei professionisti. Una situazione simile accade anche nell’industria del FinTech: infatti, solo una piccola parte di numerose aziende, partite con i migliori propositi e con grande intraprendenza risultano essere oggi esistenti. Citando Darwin, le aziende FinTech migliori non sono quelle che semplicemente introducono una innovazione tecnologica, bensì quelle che riescono meglio ad adattarsi agli scenari economici e finanziari che oggi più che mai sono imprevedibili.
Le start-up Fintech di successo, che sono invece riuscite a rimanere sul mercato, vengono oggi favorite dal fatto che molti investitori privati stiano pian piano spostando le loro preferenze di investimento e utilizzo dei servizi bancari verso soluzioni on line, come ad esempio le piattaforme di crowfunding. Inoltre, non si può nascondere che tali imprese godano spesso di vantaggi in termini normativi rispetto agli intermediari finanziari tradizionali, che risultano decisamente più regolamentati.
Alcune di queste start-up sono diventate in breve tempo degli unicorni: in gergo gli unicorni sono società o startup non quotate che arrivano ad essere valutate oltre 1 miliardo di dollari. La loro ascesa è legata non solo all’introduzione di una brillante idea, ma anche alla possibilità di accedere (anche tramite crowdfunding) a capitale di rischio disponibile a costi bassi; detto in altri termini, l’attuale situazione dei tassi di interesse, legata alla ormai cronica saving glut (eccesso di risparmio) mondiale, rende disponibili risorse finanziarie in cerca di allocazione. Come dire: i soldi non mancano
In termini geografici, gli Stati Uniti sono la nazione con il maggior numero di unicorni; al secondo posto si piazza la Cina, terza l’India seguita dalla Germania e dalla Corea del Sud. Ovviamente gli unicorni non si ritrovano solo nel settore finanziario, e nemmeno sempre e solo in settori avanzati (si pensi ad Uber); la caratteristica che solitamente li accomuna è però quella di sfruttare la tecnologia per modificare in maniera dirompente le logiche e i processi produttivi di un settore tradizionale (vedasi figura n. 1).
Figura n. 1. Gli unicorni nel mondo
Fonte: https://howmuch.net/articles/the-worlds-unicorn-companies-2017
Ma di cosa hanno veramente paura le banche tradizionali?
Per gli intermediari tradizionali, la rivoluzione tecnologica è percepita più come una minaccia piuttosto che come un fattore d’innovazione e una opportunità. Eppure, anche queste imprese hanno beneficiato e potranno beneficiare in futuro delle migliorie che la tecnologia continua ad apportare. Ad esempio, la tecnologia permette oggi di offrire servizi anche in assenza di personale; si tratta delle cosiddette chat bot, ossia software progettati per rispondere e simulare una conversazione tra essere umani attraverso l’utilizzo della voce o del solo testo. Questi programmi possono essere utilizzati al posto dei classici operatori di contact center per interagire con i clienti 7 giorni su 7, h24.
La paura maggiore è ovviamente di tipo economico; la minaccia consiste nel fatto che la tecnologia riesce a proporre servizi similari (se non migliori) di quelli proposti dalle banche tradizionali a costi notevolmente inferiori. Tuttavia, si ritiene che questa paura non sia del tutto fondata; diversi esperti affermano infatti che la tecnologia non potrà mai sostituire, completamente, tutte le mansioni della banca tradizionale, poiché la tecnologia stessa ha bisogno del fattore umano per funzionare.
Di converso, sarebbe allora auspicabile, strategicamente, che l’industria della tecnologia collabori anziché competere con l’attuale sistema bancario tradizionale, in modo da giovare di tutte le infrastrutture già presenti.
Un altro aspetto da considerare attiene all’adattabilità e all’innovazione delle soluzioni di FinTech, caratteristiche che invece le istituzioni tradizionali non sono in grado di garantire. Non è un caso che i principali vantaggi che i clienti associano alle soluzioni di FinTech sono la facilità d’uso e la rapidità del servizio.
Ora, per quanto il FinTech abbia ancora uno spazio marginale nel settore bancario in termini di quota di mercato, la consapevolezza che esso, prima o poi, entrerà prepotentemente nell’industria dovrebbe portare le banche tradizionali a meglio ragionare su come affrontare il fenomeno; e adattarsi all’innovazione piuttosto che combatterla sembrerebbe essere la scelta migliore. In realtà, però, persistono sul mercato diversi player che hanno finora abbracciato il FinTech solo in maniera superficiale, quasi per seguire la moda del momento; altri invece, stanno sviluppando un forte interesse per la tecnologia finanziaria, cercando di sfruttare e mettere in pratica le potenzialità che essa può offrire.
Su cosa impatta veramente il FinTech?
Secondo una dichiarazione del CEO di Deutsche Bank, l’area su cui il FinTech sta avendo maggiore impatto sono le risorse umane. I robot potranno svolgere nel prossimo futuro una serie di mansioni oggi svolte dal personale bancario; e ciò fa il paio con clienti che sempre più preferiscono non recarsi fisicamente in banca per svolgere operazioni di base quali prelievi, depositi o acquisto titoli. In futuro, anche il personale addetto alla verifica e al controllo delle varie operazioni sarà sostituito dalla tecnologia, in particolare grazie allo sviluppo della blockchain.
Per quanto attiene al mondo della consulenza finanziaria, si sa che i Robot Advisor rappresentano un nuovo competitor, almeno per quanto attiene al processo di asset allocation; meno incisiva, al momento, sembrerebbe invece la presenza del Fintech nella attività di pianificazione finanziaria e di consulenza patrimoniale, attività nelle quali la componente e la relazione umana rimangono fondamentali.
Anche in questo caso, però, alle minacce fanno da contraltare non poche opportunità: pensate semplicemente a quali e quanti benefici un giovane aspirante consulente può avere da un efficiente utilizzo della tecnologia, in termini commerciali, relazionali e di organizzazione del lavoro.
In conclusione, se il FinTech sia un dolcetto, o uno scherzetto, per il mondo della finanza tradizionale dipende dal modo in cui ad esso ci approccia; tentare di chiudersi a riccio ed erigere barriere non sembra la via più opportuna.
[1] Nonostante l’enorme impatto del bancomat nella vita quotidiana, John Shepard Barron non lo brevettò mai e non ne ricavò nulla, tranne un’onorificenza ottenuta nel 2005 dalla Regina Elisabetta. In seguito, come sempre accade per le invenzioni più rivoluzionarie, anche altre persone ne rivendicarono la paternità. Il primo modello accettava solo voucher monouso che venivano trattenuti dalla macchina. Era anche parsimonioso e distribuiva al massimo una banconota da dieci sterline. Per vedere il primo sportello automatico in Italia si dovranno aspettare nove anni. La prima banca ad installarlo fu la Cassa di Risparmio di Ferrara.
[2] March of the machines, Economist, 5 ottobre 2019