Da un paio di mesi sentiamo sempre più spesso parlare di Cashback di Stato, una tra le ultime manovre economiche adottate dal precedente governo Conte per cercare da un lato di risollevare l’economia e dare un aiuto alle famiglie in un momento tanto difficile, dall’altro per attuare l’ennesimo tentativo di limitazione del contante e, di conseguenza, dell’evasione fiscale (o almeno così si spera).
Molti sono stati i commenti e le critiche in merito a questa manovra; c’è chi crede che il rimborso di queste spese promesse non avverrà mai; altri, più complottisti, pensano che sia una trovata dello Stato per privare i cittadini della propria libertà di scelta su quale mezzo di pagamento utilizzare, indirizzandoli ai pagamenti elettronici così da poterli meglio controllare (come se non lo fossero già abbastanza).
In realtà il discorso è molto più semplice in quanto il Cashback è una conseguenza del processo di digitalizzazione monetaria che è stato avviato già da diversi anni, e a cui anche la BCE aspira indicando la volontà di emettere un euro digitale.
Altri paesi, quali ad esempio la Corea del Sud e il Portogallo, hanno da tempo avviato questa politica di rimborso percentuale delle spese nei confronti dei cittadini con il risultato sperato, ovvero aumento dell’uso della moneta elettronica e progressivo abbandono delle banconote.
La digitalizzazione e il miglioramento della tracciabilità dei pagamenti dovrebbero consentire, inoltre, di contrastare l’evasione fiscale, che in Italia viaggia su livelli sempre più elevati ormai da anni.
La logica sarebbe quella di rendere più difficile il finanziamento delle attività illecite tramite il tracciamento dei pagamenti; similmente, il riciclaggio del denaro diverrebbe più complicato se la moneta elettronica fosse molto più diffusa di quanto è oggi.
Ma a parte quanto sopra, è importante ricordare come la moneta elettronica sia molto utile sotto diversi aspetti:
- è facile e sicura da utilizzare nella quotidianità:
- velocizza i pagamenti che avvengono in cassa
- può essere posseduta anche attraverso una semplice carta prepagata
- riduce la possibilità di subire furti.
D’altra parte, è giusto anche non dimenticare alcuni rischi legati al maggior utilizzo di moneta elettronica; ad esempio fenomeni di phishing[1] attraverso cui gli hacker riescono a simulare pagine internet per accedere ai nostri dati personali e, talvolta, anche ai nostri conti correnti.
Ma come funziona il Cashback in Italia?
Il primo periodo di prova del Cashback in Italia, avviato l’8 dicembre 2020, è terminato il 31 dicembre 2020. Per accedere al rimborso del 10% delle spese effettuate presso gli esercenti abilitati era sufficiente effettuare un minimo di 25 transazioni per un rimborso totale di 150€. Tuttavia, per ogni singola transazione il massimo rimborsabile era di 15€: dunque anche con una spesa di 200€, il rimborso sarebbe stato comunque di 15€ per quella transazione.
Concluso il primo periodo bisognerà ora attendere il prossimo rimborso delle spese che dovrebbe avvenire entro il 1° marzo 2021.
Per i successivi periodi il Cashback prevede un rimborso semestrale (gennaio-giugno e luglio-dicembre) con un massimo di 300€ ma sempre con il tetto limite di 15€ rimborsabili per singola transazione.
Inoltre è previsto che i primi 100.000 cittadini che avranno effettuato più transazioni accederanno ad un bonus di 1.500€ che si aggiunge al rimborso del 10% già accumulato definito Super Cashback.
Come noto, questo Super Cashback ha però prodotto comportamenti anomali; per registrare il massimo delle transazioni possibili molti cittadini hanno infatti iniziato a frazionare in maniera iperbolica le loro spese. Ad esempio: per fare 10€ di benzina si effettuano 10 transazioni da 1€. Pur essendo lecito operare in tal senso in punta di diritto (a meno di non rifarsi al concetto di abuso del diritto), sarebbe opportuno che il legislatore rivedesse le modalità di funzionamento di questo ulteriore premio per chi utilizza la moneta elettronica.
[1] Truffa informatica effettuata inviando una email con il logo contraffatto di un istituto di credito o di una società di commercio elettronico, in cui si invita il destinatario a fornire dati riservati (numero di carta di credito, password di accesso al servizio di home banking, ecc.), motivando tale richiesta con ragioni di ordine tecnico.