Molti investitori non si spiegano perché un’obbligazione indicizzata all’inflazione (di lunga durata) possa perdere terreno con un’inflazione al 9%. Il valore principale dell’obbligazione dovrebbe infatti essere strettamente legato ai movimenti del tasso inflazionistico: all’aumentare dell’inflazione aumenta, di conseguenza, anche il valore dell’obbligazione stessa verrebbe da pensare.

Se però prendiamo i titoli del Tesoro Americani protetti dall’inflazione (TIP), occorre ricordare che essi danno il loro “premio” all’inflazione solo alla scadenza; come i nostri BTP€i, cioè i titoli di stato italiani indicizzati all’inflazione europea[1], ma diversamente dai BTPItalia che pagano la rivalutazione dell’inflazione ogni sei mesi.

Inoltre, il prezzo dei titoli collegati all’inflazione è più legato alle aspettative di inflazione che all’inflazione realizzata successivamente. Ed infine, anche questi titoli subiscono l’andamento dei tassi reali: se questi crescono si ha comunque un effetto negativo sul prezzo.

Quindi, nell’arco di tempo in cui l’investitore non riceve il suo premio, l’economia può avere un’inflazione alta oppure essere in deflazione, tassi in aumento oppure in calo e tutto ciò che ne consegue, e i TIP, specie di lunga scadenza, possono oscillare. Si tratta di uno strumento volatile durante il suo percorso di vita. Ovviamente a scadenza (ed in assenza di un default dell’emittente) si riceve il rimborso del capitale rivalutato in base all’inflazione.

Ma come sono andati questi titoli?

Nel 2021 i TIP avevano in effetti sovraperformato il mercato obbligazionario, e detenerli aveva senso dato che l’inflazione si era rilevata molto più alta del previsto. Essi infatti proteggono da un’inflazione inaspettata perché quella attesa è già prezzata nel prezzo/rendimento. Inoltre con l’aumento dei tassi tali titoli subiscono un effetto negativo come le normali obbligazioni.

Ed oggi? Avrebbe senso acquistarli?

 

TIP – titoli del tesoro protetti dall’inflazione (linea rossa) vs AGG  – mercato obbligazionario US aggregato (linea arancione)

Dal grafico si evidenzia la buona performance dei TIP per tutto il 2021 rispetto al mercato obbligazionario e il successivo declino da inizio 2022.

Anche per questi titoli, quindi,  occorre identificare prima la tendenza del mercato, cioè la direzione che sta prendendo, dopo di ché concentrarsi sulle aree da “sfruttare” individuando gli strumenti  e le soluzioni più idonei per farlo. Non si può cioè pensare che i titoli indicizzati all’inflazione siano un buon rimedio all’inflazione in ogni momento[2].

 

Passiamo all’azionario

Non dobbiamo mai sottovalutare il potere dei tassi di interesse e dell’inflazione in un dato periodo. Ormai dovremmo saperlo: in questi due ultimi anni sono stati e sono tutt’ora i fattori principali che determinano l’andamento di molti assets e, di conseguenza, parte delle nostre decisioni. Nonostante il rimbalzo di mezza estate, il mercato ci ha ricordato nella settimana appena trascorsa che ci troviamo in un contesto di tassi in aumento.

Il simposio di Jackson Hole ha avuto i suoi effetti. La reazione alle parole di Powell questa volta è stata piuttosto decisa. Il presidente della FED ha dichiarato che la banca centrale americana continuerà l’aumento dei tassi di interesse e che essi resteranno elevati per un tempo prolungato (tono decisamente recessivo).

Dunque l’obiettivo resta quello di abbassare l’inflazione al 2%. Intanto l’S&P 500 sta perdendo quasi il 6%, registrando la sua peggiore performance dal minimo di giugno, mentre il Nasdaq sta andando oltre quella percentuale, -6.6% (al momento della stesura di questo articolo).

Con il Sell-off in atto è arrivata anche la prova della media 50 periodi che i principali indici avevano superato nel rimbalzo di metà luglio. Dal punto di vista tecnico questo era un livello fondamentale per i rialzisti che lo vedevano come un supporto, mentre i ribassisti aspettavano una rottura del prezzo (al di sotto). Per la maggior parte degli indici ciò è avvenuto.

Guardiamo il grafico dello S&P500.

 

S&P500 – rottura della media 50 periodi (linea verde) – supporti (linee e rattangoli bianchi) – livello psicologico (rettangolo rosso)

Graficamente possiamo notare la rottura della media, che ha portato l’indice vicino al livello psicologico dei 3900.

 

E le materie prime?

E possibile ipotizzare un ritorno della liquidità nei settori ciclici (energetici, materiali, industriali) e nelle materie prime che, dopo un piccolo stop, stanno ripartendo?

Dal grafico sottostante possiamo notare come l’indice delle materie prime (DJP) e le aspettative di inflazione a 10 anni (T10YIE) hanno un andamento molto simile. Questo perché le materie prime sono attività inflazionistiche, e performano nel contesto attuale (aiutate anche dalla situazione geopolitica).

 

Indice materie prime  (linea rossa) vs Aspettative di inflazione a 10 anni (linea arancione) – Picco (linea gialla sui grafici)

Il SUPER-CICLO delle materie prime continuerà oppure il picco è stato toccato?

 

Per quanto attiene invece al metallo prezioso per eccellenza, l’Oro, sembra che al momento non si possa fare molto affidamento sulle sue perfomance

Il suo prezzo ha infatti creato un canale laterale con il minimo di giugno 2020 ($1.680) e il massimo di agosto 2020 ($2.075) che non è riuscito a “rompere” in questi anni, nè al rialzo nè al ribasso. Dal suo ultimo massimo (marzo 2022) ha perso circa il 15%.

 

Gold (grafico a candele) – supporti (rettangoli viola) – prezzo psicologico (linea gialla) – livelli di attenzione (linee bianche)

Dal grafico potremmo aspettarci un retest dei minimi a 1.680 dollari e poi “aspettare” che il prezzo prenda la sua direzione: verso l’alto (usando il prezzo come supporto) oppure rompendo i minimi e andando verso i 1.600 dollari.

Sempre sull’Oro,  un ulteriore indicazione ci viene dallo Sprott Physical Gold Trust (PHYS) un ETF in oro fisico. Se rapportiamo il prezzo al NAV (spread), il valore risulta negativo (-1.87%): ciò potrebbe indicare che gli investitori ritengono che il metallo sia ancora diretto verso il basso.

 

Sprott Physical Gold Trust (PHYS): prezzo di mercato rispetto al valore patrimoniale netto (NAV)

Fonte: sprott.com

 

Non molti utilizzano questo indicatore come sentiment. Anzi, quasi nessuno lo guarda.

Nei giorni scorsi ha avuto un nuovo minimo al -1.96% mentre attualmente è leggermente risalito al -1.87%. Ciò si verifica quando gli investitori sono motivati a vendere l’asset, lettura coerente con i minimi del Gold (e con la tesi sopra riportata). Inoltre questo indicatore ha spesso “anticipato” i movimenti del metallo prezioso, salendo o scendendo prima che lo stesso si muovesse.

 

Concludendo …

In questo periodo si sente spesso dire, o si legge all’interno di analisi di mercato, che gli investitori non dovrebbero fare nulla, e mantenere un approccio passivo sui loro investimenti.

Per quanto in un’ottica di lungo periodo ciò può avere un suo senso, è bene ricordare che le performance positive sono determinante anche da periodi come quello attuale, mentre molti tendono a concentrarsi solo sui cicli rialzisti. È invece fondamentale, anche, evitare che i mercati ribassisti incidano troppo sui progressi fatti in precedenza, perché il recupero delle perdite può essere più lungo del previsto (anche parecchi anni).

Se consideriamo ad esempio Mega-Caps come Apple, Alphabet, Amazon, Microsoft e Tesla, esse hanno da recuperare gravi perdite da inizio anno: una media del 20% finora. E settembre potrebbe essere un altro mese all’insegna del rosso.

È quindi necessaria una gestione dell’esposizione azionaria (soprattutto), lasciando una parte del capitale liquido così da poterla utilizzare quando il mercato cambierà la sua tendenza, ovvero impiegandola gradualmente per acquistare a prezzi più bassi. La strategia buy and hold pura non funziona sempre e comunque.

 

 

[1] Il prezzo tel quel di questi titoli viene però calcolato moltiplicando il prezzo di mercato per un coefficiente di inflazione che varia tutti i giorni.

[2] Stiamo qui ragionando, ovviamente, sull’idea di comprare i titoli sul secondario. Cosa diversa è comprare i titoli all’emissione e detenerli in portafoglio fino a scadenza.

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