Che l’Italia sia un paese sotto-assicurato, in particolare nel ramo danni, è cosa abbastanza nota, perlomeno agli operatori del settore.

Secondo i dati ANIA relativi al 2020, il valore medio dei premi pro-capite del ramo danni, escluso l’auto, si attesta in Italia a 300€, a fronte di un valore medio di 937€ nell’Unione Europea. E anche nel ramo vita, se escludiamo le polizze ad elevato contenuto finanziario utilizzate a scopo di investimento, la diffusione delle polizze puro rischio, come le polizze temporanee caso morte, è intorno al 20%. Il che significa che solo una famiglia su cinque si protegge dalla prematura morte del principale percettore di reddito.

Questa situazione deriva certamente da diverse cause e fattori di tipo sociale e culturale, ma anche da criticità distributive e normative nel settore assicurativo. Riteniamo tuttavia che la più importante ragione alla base dei deludenti dati di cui sopra sia la scarsa cultura assicurativa degli italiani.

 

L’approccio multidisciplinare all’educazione assicurativa 

Ma cosa significa esattamente scarsa cultura assicurativa? E come dovrebbe essere interpretata?

Da un lato, potrebbe darsi che gli italiani non si rendano adeguatamente conto dei rischi puri a cui sono esposti. E in questo senso, sarebbe doveroso, e magari sufficiente, informarli meglio. Viceversa, e forse più correttamente, si potrebbe ipotizzare che tali rischi siano più o meno effettivamente avvertiti dai nostri concittadini, ma che per qualche motivo essi non vengano affrontati.

Le domande da porsi sarebbero allora: “Ma perché gli italiani non provvedono a coprirsi? Perché non trasferiscono questi rischi alle compagnie assicurative?”

Rispondere a queste domande è essenziale per comprendere quali iniziative prendere per colmare il gap che ci divide dagli altri paesi europei. Nel ramo danni tale gap ammonta a circa 2 punti di PIL, cioè circa 35 miliardi di euro di premi annui che potremmo recuperare se riuscissimo a portarci allo stesso livello medio dei paesi UE.

Una grande opportunità per il settore se si riuscisse a convincere gli italiani che proteggersi dai rischi puri non solo è razionale, ma addirittura conveniente.

Entrando nel merito della questione, per comprendere perché gli italiani, pur avvertendo la pericolosità dei rischi puri, non provvedono a coprirsi da essi (e di conseguenza per capire come aiutarli a superare questa situazione) è necessario approfondire tre diverse aspetti/discipline:

  • La logica assicurativa. Si tratta di comprendere attraverso quali principi e quali tecniche è possibile, pagando un premio, trasferire all’impresa assicurativa il rischio. Si dovrebbe cioè spiegare agli italiani come fa l’impresa assicurativa a trasformare un insieme di rischi in un business (disciplina statistica)

  • Il modo in cui prendiamo le decisioni. Da questo punto di vita occorre indagare i meccanismi cognitivi che il nostro cervello utilizza per prendere decisioni complesse, ed in particolare capire come le cosiddette “scorciatoie mentali” (in gergo tecnico euristiche) portino a commettere errori sistematici (disciplina comportamentale)
  • L’ascolto e il dialogo. Due elementi fondamentali per portare i nostri interlocutori a riflettere, a meglio valutare i rischi e ad usare quella parte del sistema cognitivo che ci evita di commettere errori (disciplina delle tecniche della comunicazione).

L’educazione assicurativa è quindi un processo complesso che richiede lo studio e l’applicazione di tre discipline, che devono essere trasmesse in maniera semplice e chiara.

 

La logica assicurativa

Secondo l’enciclopedia Treccani, per rischio si intende l’eventualità di subire un danno o la possibilità che si verifichi un evento considerato svantaggioso, caratterizzata da una sua probabilità di accadimento.

Dobbiamo però distinguere due tipi di rischio: i rischi speculativi ed i rischi puri.

I rischi speculativi sono quei rischi che possono dare risultati positivi o negativi. Ad esempio, sono rischi speculativi quelli di un’impresa o quelli di un investimento. 

I rischi puri sono invece quelli da cui si possono ottenere solo risultati negativi o al massimo un risultano nullo. Ad esempio, il rischio furto: se mi rubano l’auto ricevo un danno, se non me la rubano non ci guadagno nulla.

L’esposizione ai rischi speculativi è volontaria, effettuata nell’intento di conseguire un risultato positivo. Si investe volontariamente il proprio denaro in borsa o si avvia volontariamente un’attività imprenditoriale.

Viceversa, l’esposizione ai rischi puri non è volontaria. Nessuno si espone volontariamente al rischio malattia, o al rischio furto. Per fortuna, però, la stragrande maggioranza dei rischi puri sono l’oggetto dell’attività assicurativa, cioè tramite le polizze possono essere trasferiti dal soggetto su cui gravano all’impresa assicurativa.

I rischi assicurabili sono quindi quei rischi puri legati ad eventi futuri incerti e dannosi

È facile comprendere che per assumere su di sé il rischio di un evento futuro, incerto e dannoso, le assicurazioni devono avere la possibilità di quantificarlo, cioè di misurarlo sia in termini di probabilità di accadimento, sia in termini di valore medio del danno in caso l’evento si verifichi.

Per far questo si ricorre alla statistica.

Il premio puro, cioè il premio richiesto dalla compagnia per assumersi il rischio (senza calcolare i costi di esercizio ed il margine d’impresa) è pari al danno medio, di quel tipo di rischio, per la probabilità che l’evento di verifichi. In formule: Premio puro = Danno medio x Probabilità.

Poiché la probabilità è un dato teorico di difficile individuazione, sull’impronta del matematico svizzero Jakob Bernoulli (vissuto nel XVIII secolo) si procede sostituendo alla probabilità teorica la frequenza osservata.

Bernoulli, infatti, intuì che se analizziamo un fenomeno di cui abbiamo poche osservazioni otterremo risultati molto diversi tra loro e caratterizzati da un’ampia dispersione.

Per esempio, lanciando in aria una moneta dieci volte e registrando quante volte esce testa e quante volte viene croce, si ottengono spesso risultati come nove a uno, sette a tre, o anche dieci a zero: molto distanti dalla probabilità teorica che è cinque a cinque.

Se invece registriamo i risultati di cento lanci vedremo che i risultati sono per esempio cinquantasette a quarantatré, o similari. E se proviamo con mille lanci i risultati tenderanno a concentrarsi in un range più vicino al 50%-50%.

All’aumentare delle osservazioni il risultato si avvicina sempre più alla probabilità teorica al punto che se abbiamo un grande numero di osservazioni del fenomeno, la frequenza osservata tende alla probabilità teorica (cosiddetta legge dei grandi numeri).

Possiamo quindi inserire al posto della probabilità (dato teorico) la frequenza (dato osservato) a condizione che tale dato sia calcolato su un grande numero di osservazioni. Il calcolo del premio puro diviene quindi: Premio puro = Danno medio x Frequenza.

Alla luce di quanto detto, l’attività assicurativa e tutto ciò che genera le sue entrate, quindi i relativi premi, si basano su solide logiche nonché teorie matematico-statistiche e probabilistiche, che riconoscono a questo settore un’affidabilità e un’importanza non solo puramente economica, ma soprattutto sociale. Trasferendo, infatti, i “rischi assicurabili” alle compagnie assicurative, milioni di italiani possono godere delle adeguate coperture e vivere in serenità.

 

Il modo in cui prendiamo le decisioni

Purtroppo, il modo in cui gli individui prendono decisioni di fronte a problemi complessi è completamente diverso, spesso opposto, alla logica assicurativa/statistica appena descritta. E per la verità questo problema non riguarda solo il settore assicurativo, ma l’intero sistema economico-finanziario.

Tutta l’economia classica è infatti basata sul presupposto che l’uomo è razionale ed avverso al rischio, e quindi le sue scelte dovrebbero sempre essere prese razionalmente e ben documentate da un numero sufficiente di dati.

Ma la realtà e ben diversa. Vediamo perché.

 

I due sistemi cognitivi

Gli studi di psicologia cognitiva hanno dimostrato che ogni individuo utilizza due sistemi per apprendere: uno veloce (sistema1) ed uno lento (sistema2)[1].

Il Sistema 1 opera in fretta e automaticamente, con poco o nessuno sforzo e nessun senso di controllo volontario. È sempre attivo, elabora in continuazione ad ogni istante e velocemente una interpretazione di quello che accade intorno a noi.

Il Sistema 2 indirizza l’attenzione verso le attività mentali impegnative, che chiedono focalizzazione e sforzo come i calcoli complessi.

La maggior parte di ciò che noi pensiamo e facciamo origina dal sistema 1; ma il sistema 2 prende il sopravvento quando le cose si fanno difficili.

Facciamo un esempio per capire il funzionamento dei due sistemi. Se ci viene chiesto di dire quanto fa due per due rispondiamo immediatamente quattro (sistema 1). Se ci viene chiesto quanto fa 17×24 non riusciamo a dare una risposta immediata tramite il sistema 1. Per risolvere il la moltiplicazione 17×24 dobbiamo attivare il pensiero lento del sistema 2. Il sistema 2 recupera dalla memoria il programma cognitivo della moltiplicazione imparato a scuola, esegue la moltiplicazione e per fare ciò fa fatica e consuma energia.

 

Il meccanismo per saltare alle conclusioni

Il sistema 1 è abilissimo nell’elaborare la migliore storia possibile con le idee attivate al momento, ma non tiene (non può tenere) conto delle informazioni che non ha.

Per il sistema 1 la misura del successo è la coerenza nella storia che riesce a costruire. La quantità e la qualità dei dati su cui si basa la storia sono, in gran parte, irrilevanti. Quando le informazioni sono scarse, cosa che accade spesso, il sistema 1 funziona come una macchina per saltare alle conclusioni.

Per il pensiero intuitivo del sistema 1 la regola è: quello che si vede è l’unica cosa che c’è.

La spiegazione di questo funzionamento deriva dal fatto che il sistema 1 è stato plasmato dall’evoluzione umana e animale perché fornisse una valutazione costante dei principali problemi che gli esseri viventi devono risolvere per sopravvivere. Come stanno andando le cose? Si presenta una minaccia o una grossa opportunità? È tutto normale? Devo avvicinarmi o allontanarmi?

Il sistema 1 valuta continuamente e velocemente se le situazioni sono positive o negative e se impongono la fuga o permettono l’approccio.

 

L’ascolto e il dialogo

Per superare il contrasto tra la logica assicurativa basata sulla statistica e sulla osservazione sistematica dei fenomeni (legge dei grandi numeri) ed il meccanismo delle scorciatoie mentali con cui prendiamo le decisioni basate sul principio quello che si vede è l’unica cosa che c’è (legge dei piccoli numeri) è necessario ricorrere ad una terza disciplina: le tecniche della comunicazione, ed in particolare dell’ascolto attivo e del dialogo.

L’obiettivo è quello di accogliere il cliente, ascoltare le sue preoccupazioni, ascoltare le sue ragioni e, con la dialettica, condurlo a ragionare, ad attivare il sistema cognitivo 2.

Queste tecniche, facili da comprendere ma difficili da mettere in atto, sono stato oggetto di approfondimento sia da parte di grandi pensatori del passato sia da parte di studiosi contemporanei.

 

L’ascolto attivo

Per quanto riguarda l’ascolto, già nel primo secolo dopo Cristo, Plutarco così scriveva nel suo libro intitolato l’arte di ascoltare: “I più, a quanto ci è dato vedere, sbagliano, perché si esercitano nell’arte del dire prima di essersi impratichiti in quella di ascoltare, e pensano che per pronunciare un discorso ci sia bisogno di studio e di esercizio, ma che dall’ascolto, invece, possa trarre profitto anche chi vi si accosta in modo improvvisato

Venendo agli studiosi contemporanei, come Carl Roger, possiamo dire che l’ascolto attivo è la pratica di prepararsi ad ascoltare, osservare quali messaggi verbali e non verbali vengono inviati dall’interlocutore, e quindi fornire un riscontro appropriato per mostrare attenzione al messaggio presentato. Questa forma di ascolto trasmette una comprensione reciproca tra chi parla e chi ascolta.

 

La dialettica maieutica

Come sappiamo Socrate non lasciò nulla di scritto ma Platone, uno dei suoi allievi, ci ha tramandato il suo pensiero attraverso libri strutturati in forma di dialoghi. In uno di questi libri Socrate dice: Il mio lavoro di ostetrico somiglia in tutto a quello delle levatrici, solo che loro operano sulle donne ed io sugli uomini (sulle menti umane), loro sui corpi ed io sulle anime”. Socrate inoltre sosteneva che dobbiamo dire a noi stessi “So di non sapere.  So di non sapere quali sono le sue opinioni, so di non sapere quali sono le sue priorità, so soltanto che sono disponibile ad ascoltarlo”.

Partendo da questi concetti, ed utilizzando le moderne tecniche della comunicazione efficace esposte da Thomas Gordon, sulle quali non mi soffermo per brevità, dobbiamo sforzarci ad eliminare il più possibile le barriere della comunicazione per creare un dialogo empatico e un ascolto attivo con il nostro interlocutore.

In altre parole, dobbiamo cercare con la dialettica di condurre al ragionamento chi abbiamo difronte, facendo domande e cercando di approfondire l’argomento, pur rispettando le sue opinioni.

In questo modo possiamo cercare di indurre il nostro interlocutore ad attivare il suo sistema cognitivo 2, quello razionale e lento che può valutare razionalmente l’opportunità di sottoscrivere un contratto assicurativo a copertura di un rischio percepito come importante.

L’educazione finanziaria è importantissima, si è vero…ma senza l’educazione assicurativa non raggiunge la sua massima efficacia.

L’educazione finanziaria ci sottolinea l’importanza che ricoprono la “pianificazione finanziaria” e “le scelte di investimento” nella nostra vita, ma senza un’adeguata protezione assicurativa dai “rischi fisiologici” a cui siamo sottoposti la stessa pianificazione avrebbe poca valenza ed efficacia.

Ecco perché sarebbe vitale e opportuno oggigiorno aumentare la nostra educazione e cultura anche in ambito assicurativo, al fine di slegarci dai falsi miti, dalla diffidenza e disinformazione che caratterizza questo settore.

Non c’è una corretta pianificazione, senza un’adeguata protezione.

 

 

 

[1] Si veda al riguardo, Kahnema D., Pensieri lenti e veloci.