Negli ultimi anni, moltissimi risparmiatori hanno dirottato parte dei loro investimenti sul mercato azionario cinese, confidando nel potenziale di crescita del colosso asiatico e negli enormi progressi da questo realizzati in campo tecnologico: la “decade cinese” era slogan coniato dagli operatori di mercato
Tuttavia, dopo un difficilissimo 2022 ed un problematico 2023 (fino ad ora perlomeno) più di qualcuno si sta chiedendo se il gioco valga la candela.
Per comprendere la complessa situazione dell’economia cinese, è necessario allargare l’orizzonte di analisi oltre gli avvenimenti degli ultimi anni, e considerare i principali driver che ne hanno guidato lo sviluppo nel corso del tempo.
Ciò porta a constatare come, Covid 19 a parte, le attuali difficoltà del Dragone (crisi del settore immobiliare compresa) siano riconducibili ad inefficienze nell’allocazione delle risorse risalenti almeno al periodo post Grande Crisi Finanziaria.
Questa constatazione, se da un lato mette in luce gli enormi margini di sviluppo della prima economia asiatica, dall’altro evidenzia la necessità di una svolta nella politica economica posta in essere dal partito comunista, affinché tale potenziale possa trovare espressione.
Ma a quali fattori è attribuibile lo sviluppo economico di un paese?
Seguendo la letteratura macroeconomica, l’ammontare complessivo del prodotto realizzato da un paese dipende dalla quantità di forza lavoro ivi disponibile, dallo stock di capitale presente al suo interno (impianti, macchinari, strade, porti, ferrovie ecc..) e dalla produttività complessiva espressa dal paese in questione.
Quest’ultima grandezza dipende a sua volta da fattori quali la qualità della forza lavoro (elevati livelli di scolarità ed istruzione rendono la stessa maggiormente produttiva) la tecnologia disponibile, il ritmo dell’innovazione ecc.
In altri termini, il concetto di produttività ci fornisce una misura dell’efficienza con la quale i fattori della produzione (capitale e lavoro) vengono messi assieme ed organizzati per ottenere il prodotto complessivo. Negli studi relativi alla crescita economica tale grandezza viene definita Total Factor Productivity (TFP).
Vediamo allora nel dettaglio come si sono evoluti questi tre fattori in Cina nel corso del tempo.
Demografia
La Cina evidenzia attualmente una popolazione in rapido invecchiamento, fattore impattante in misura significativa sulla forza lavoro disponibile. Mentre tale trend è condiviso con molti paesi avanzati, ed una diminuzione del tasso di natalità è generalmente coerente con la crescita del reddito all’interno di un paese, in Cina esso è stato accelerato dalla politica del figlio unico introdotta a partire dal 1980.
L’investimento cinese in capitale fisico
Come riportato nel grafico sottostante, l’accumulo di capitale fisico ha storicamente rappresentato un forte driver di sviluppo per la Cina. Dal 2008 in poi, tuttavia, il peso di tale componente è aumentato in modo consistente fino a raggiungere addirittura l’80% dell’output per lavoratore.
Se ragioniamo in termini comparativi, tale valore è molto più elevato rispetto a quanto sperimentato in passato, allo stesso stadio di sviluppo dell’economia, da paesi come Giappone e Corea del Sud.
Fonte: World bank Group
Ora, se pensiamo ad una delle modalità principali di accumulo di capitale fisico in Cina, ovvero l’investimento in infrastrutture, è evidente come esso sia necessario al sostenimento del sentiero di crescita di un paese, soprattutto quando tale crescita è al suo stato iniziale.
Tuttavia, man mano che un paese di sviluppa, ogni investimento aggiuntivo in infrastrutture arrecherà un beneficio sempre minore alla produttività complessiva (non serve costruire autostrade e ponti all’infinito…) risultando al limite ridondante: a dire che, esso sosterrà la domanda e la produzione nel breve termine ma sottrarrà probabilmente risorse da utilizzi più produttivi.
Questo è ciò che è successo in Cina a partire dal 2008: il corposo piano di stimoli fiscali promosso dal Governo, prima in risposta alla Grande Crisi Finanziaria e poi al rallentamento del 2015-2016, ha favorito l’investimento in capitale fisico, in primis infrastrutture e settore immobiliare.
Oltre ad un contributo sempre minore alla produttività complessiva fornito da questo tipo di investimenti (degenerati, per la parte immobiliare, in una vera e propria bolla), tale tendenza ha sottratto risorse all’investimento a livello aziendale, la cui dinamicità costituisce il principale motore di produttività di un paese.
Il grafico sottostante mette in evidenza questa dinamica:
Accumulo capitale fisico per settore. Fonte: World Bank
La produttività delle aziende cinesi
Tornando al primo grafico proposto, notiamo come la Total Factor Productivity abbia costituito una forte leva di crescita per l’economia cinese a partire dagli anni 80’ (contribuendo fra il 2% e il 4% annuo) ovvero da quando il successore di Mao, Deng Xiaoping (in carica dal 1978 al 1989) introdusse una serie di riforme volte a rendere l’economia maggiormente orientata al mercato. Ulteriore impulso venne poi dall’adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) nel Dicembre 2001.
Tuttavia, a partire dalla Grande Crisi Finanziaria, il contributo della produttività alla crescita dell’economia è sensibilmente diminuito. In parte, ciò può essere attribuito al normale percorso di sviluppo di un’economia emergente che, nella sua prima fase, si caratterizza per la riallocazione della forza lavoro dal settore agricolo al più produttivo settore industriale (fenomeno avvenuto in Cina in modo molto consistente ma destinato nel tempo ad esaurirsi).
Per quanto sia da osservare che anche a livello globale la produttività abbia subito una battuta d’arresto nel periodo post 2008, l’intensità di questo fenomeno in Cina merita un approfondimento.
Al riguardo, un paper del Fondo Monetario Internazionale risalente a Febbraio 2022 intitolato China’s Declining Business Dynamism evidenzia alcuni aspetti molto interessanti.
- Minor contributo delle aziende più giovani alla produttività complessiva: il peso percentuale in termini di fatturato delle cosiddette young firms (al di sotto dei 10 anni di vita), generalmente caratterizzate da innovazione e maggior produttività, è sceso dal 70% del 2004/5 al 30% del 2017/18. (vedi grafico sottostante)
Fonte: Fondo Monetario Internazionale
- Le young firms crescono più lentamente rispetto al passato riuscendo più difficilmente a raggiungere una dimensione ottimale: ciò è connesso ad una minore capacità di investimento ed innovazione e potrebbe essere in parte dovuto ad una minore capacità di accesso al capitale.
- La reattività nella circolazione dei capitali da realtà meno produttive a realtà più produttive (importante driver di produttività nelle economie avanzate) e molto diminuita negli anni. In altri termini, i capitali non si muovono a seconda dell’efficienza ma esistono frizioni, connesse probabilmente alla difficoltà di accesso agli stessi da parte delle aziende più giovani e di dimensioni minori, che ne determinano la staticità a detrimento dell’efficienza complessiva.
- Esistono ancora elevate differenza in termini di produttività fra aziende pubbliche e private.
Nel breve termine più politica fiscale, nel lungo più mercato.
Risulta chiaro, dalle evidenze riportate, come il problema cinese presenti risvolti più immediati e questioni connesse ad un orizzonte di più lungo termine.
Nel breve, le autorità cinesi sono alla ricerca di un nuovo impulso capace di dar fiato ad un’economia in deflazione, zavorrata da consumatori in crisi di fiducia e da investitori oltremodo guardinghi. Gli effetti delle chiusura legate al Covid e dei pesanti provvedimenti presi nei confronti del settore immobiliare e tecnologico risultano infatti più difficili del previsto da smaltire.
Le misure implementate finora, fra cui l’ampia liquidità fornita al sistema bancario, il taglio dei tassi d’interesse, la riduzione dell’imposta sulle transazioni finanziarie, nonché la stretta sulle IPO onde prevenire la dispersione di fondi sul mercato azionario, non hanno al momento sortito gli effetti sperati.
E’ tempo di un altro round di politica fiscale? L’impressione di chi scrive è che il Presidente Xi, stretto su più fronti, dalla situazione interna al conflitto geopolitico, possa andare in quella direzione: ciò, nel breve, potrebbe avere effetti molto positivi sul mercato azionario cinese (considerate le depresse quotazioni attuali), e aumentare la fiducia all’interno dell’economia così da incentivare la trasformazione degli ingenti risparmi accumulati nei vari periodi di lockdown in maggiori consumi.
In ottica di lungo termine, però, le logiche cambiano ed il percorso risulta quasi obbligato se la Cina vuole veramente imporsi al rango di economia avanzata.
Sono necessari un minor focus sullo accumulo di capitale fisico ed un miglioramento della produttività, ottenibili lasciando maggior spazio all’azione delle dinamiche di mercato all’interno dell’economia. Dinamiche che sembrano invece essere state scarificate dalla realpolitik almeno a partire dalla Grande Crisi Finanziaria.
Ciò risulta necessario anche alla luce di un contesto internazionale in cui il confronto geopolitico rende più difficile il trasferimento di tecnologia dall’esterno (driver di forte impulso per la produttività) tramite Investimenti Diretti Esteri (IDE).
Guardando oltre al futuro prossimo, un altro elemento fondamentale è il peso dei consumi interni sul Pil, che oggi rappresenta solamente il 37%, e che rappresenta un fattore cardine nell’evoluzione di un paese da economia emergente ad economia avanzata.
Per intenderci, il peso di tale componente negli Usa è del 68% circa. Da questo punto di vista, vanno implementate politiche volte ad aumentare la domanda interna, quali per esempio il rafforzamento del sistema di welfare: basti pensare che oggi la possibilità di accesso risulta in buona parte legata al concetto di residenza, privandone in tal modo i lavoratori che, provenendo dalle zone rurali, lavorano in città.
Il prossimo decennio sarà quindi la Decade Cinese?
Molto dipende dalla direzione che il governo del Presidente Xi deciderà di prendere: in presenza delle giuste politiche, la decade potrebbe addirittura allungarsi
Reference Shelf
–China’s Productivity Slowdown and Future Growth Potential
https://elibrary.worldbank.org/doi/abs/10.1596/1813-9450-9298
– China’s Declining Business Dynamism
https://www.imf.org/en/Publications/WP/Issues/2022/02/18/China-s-Declining-Business-Dynamism-513157
-China,s economic choices: Where to from here?
https://www.lowyinstitute.org/publications/china-s-economic-choices