Come era avvenuto settimana l’altra, con la SVB, tutto sembrerebbe essersi risolto in un weekend. La celerità dei regulators, e dei governi, lascia quasi senza parole.
Una banca, la SVB, fino a qualche giorno prima considerata da Forbes primario istituto bancario americano, subisce una immane corsa agli sportelli. Al venerdi intervengono i regulators, si crea una bridge bank, vengono salvati tutti i depositi scardinando il limite massimo dei 250.000 $ previsti dal sistema di tutela dei depositi americano; al sabato e alla domenica vengono ceduti assets in ogni dove; dopo una settimana quasi non ci si ricorda nemmeno del caso.
Nel frattempo, però, bilions di dollari escono dai depositi delle banche regionali americane per approdare alle banche più grandi (Bank of America e JPMorgan ad esempio). La FED apre subito i rubinetti per arginare la situazione e tutti gli sforzi di ridurre il proprio bilancio attuati tramite il Quantitative Tightening spariscono in pochi giorni.
Un’altra banca, la First Republic Bank, entra in crisi: e qui scatta un’altra pensata. I regulators chiamano le banche più grandi, quelle favorite dallo spostamento dei depositi, e chiedono loro di sostenere la banca in crisi versando (per iniziare) 30 billions di dollari di depositi nella stessa. Il sistema salva se stesso, si potrebbe dire.
Poi arriva la volta del Credit Suisse. In realtà storia diversa dalla SVB e dalle altre banche medie americane. Dopo anni di malagestio, e svariati tentativi di rilancio, la storica banca svizzera si ritrova sull’orlo del baratro. Ma come? Una banca SVIZZERA? Non sia mai.
Ed allora, anche qui, in un febbrile fine settimana si spinge gentilmente l’altro pilastro del sistema bancario elvetico, la UBS, ad intervenire. Non senza però aspetti eccezionali. Vista la velocità dei fatti, e l’impossibilità di una profonda due diligence, il governo mette la sua garanzia su non pochi billions di franchi di perdite che potrebbero emergere post acquisizione. La Banca Centrale svizzera apre i rubinetti a piene mani.
Ma ancor più eccezionale è il trattamento riservato ai possessori di bond subordinati, quelli che fanno parte del cosiddetto AT1, cioè la parte di capitale di vigilanza di primo livello aggiuntivo al più tradizionale CET1. Si tratta di strumenti obbligazionari che, tuttavia, hanno un livello di rischio similare a quello delle azioni in caso di dissesto della banca; ad esempio è previsto che possano essere trasformati in azioni all’occorrenza. Quindi, che chi detiene questi bond possa perderci è risaputo.La stranezza, tuttavia, consiste nel fatto che i possessori di questi bond siano stati intaccati dalle perdite ancor di più degli azionisti stessi, per cui invece sembrebbe essere rimasto parte del valore dei loro titoli (vedremo come saranno risolti gli aspetti legali). E la cosa sta sconvolgendo non poco il mercato di questi strumenti e gli operatori di mezzo mondo: come interpretarne il rischio dopo questa vicenda?
In definitiva, cosa si può dedurre da quello che sta avvenendo nei sistemi bancari di mezzo mondo in queste settimane. Proviamo a fare qualche considerazione:
* dopo la crisi del 2008, la celerità di intervento dei regulators sembra notevolmente aumentata. Tutto il possibile viene fatto per evitare contagi. Buona cosa, ma qualche distorsione e qualche dubbio si crea comunque. Ad esempio: qual è il limite di garanzia dei depositi, se poi la Banca Centrale interviene e copre tutti?
* l’aumento dei tassi di interesse prima o poi si traduce in aumento del costo del denaro per le stesse banche. In particolare, dopo queste vicende, quanto sarà più costoso per le banche raccogliere capitale?
* The winner takes it all. Ovvero bigger is bigger. Dopo questa crisi ci troveremo con giganti bancari ancora più grandi. E se poi si dovrà salvarli chi interverrà?
Elon Musk pensaci tu?