Negli ultimi anni è aumentata l’attenzione delle organizzazioni internazionali, dell’accademia, del legislatore, del regolatore, e della comunità verso la digitalizzazione e la finanza sostenibile, visti come strumenti cruciali per creare valore nel lungo periodo, un valore che concili lo sviluppo economico, tecnologico, ambientale e sociale.

Il verde e il blu, mutuando il titolo di un volume di Luciano Floridi, come pilastri (anche) del sistema bancario. Due colori che hanno in realtà sempre permeato la nostra società, il mondo accademico e il mondo finanziario.

D’altronde la finanza etica / green e il digitale non sono temi così nuovi ma alcuni eventi – cigni neri e non – degli ultimi anni hanno accentuato e accelerato rivoluzioni che erano già lì, latenti, come sottofondo alle nostre vite.

La pandemia ha avvicinato ancor di più – anche per forza di cose – gli utenti finali, le istituzioni finanziarie ed i dipendenti ad un sistema contactless, ad un lavoro agile, ad una banca liquida[1]. Il combinato disposto con altri fenomeni cogenti, in primis il cambiamento climatico, ha poi evidenziato la necessità di riconsiderare gli equilibri e i rischi finanziari e di integrare i cosiddetti fattori ESG (Environment, Social e Governance)

 

La regolamentazione

Dal punto di vista regolamentare, la Commissione Europea ha alimentato l’interesse per questi due pilastri e delineato una roadmap ambiziosa in termini di obiettivi per i prossimi anni, attraverso l’emanazione di un piano d’azione finalizzato a:

  • stabilire un sistema di classificazione UE per le attività sostenibili e creare standard per la finanza verde e digitale;
  • favorire gli investimenti in progetti sostenibili;
  • sviluppare parametri e misure oggettive di “sostenibilità” e integrarle nelle valutazioni finanziarie;
  • promuovere best practice tra gli investitori istituzionali e i gestori di patrimoni;
  • incorporare la sostenibilità nei requisiti prudenziali;
  • rafforzare l’informativa di bilancio e al mercato sulla sostenibilità e sul digitale;
  • favorire una corporate governance “sostenibile” e attenuare l’enfasi dei mercati dei capitali sui soli risultati economici a breve termine.

 

Nell’ambito di questo piano d’azione la Commissione Europea ha emanato una “tassonomia” (EU taxonomy) finalizzata a creare una classificazione delle attività economiche sostenibili, ovvero che contribuiscono positivamente all’ambiente, su aspetti sociali e di governance.

Al riguardo, Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha dichiarato l’importanza di utilizzare il Green Deal europeo come «navigatore» nella ripresa post Covid-19. La «Green Recovery» appare dunque destinata ad essere valorizzata come opportunità per uscire dalla crisi pandemica ricostruendo il sistema economico per renderlo resiliente e sostenibile.

Tale contesto acuisce l’esigenza, per gli intermediari finanziari, di incrementare i propri sforzi in materia di prodotti e iniziative di finanza sostenibile, considerando i fattori ESG come nuovo elemento, anche strategico, di valutazione del business e del rischio.

 

La transizione ambientale, climatica, sociale (il verde)

La finanza verde e socialmente etica non è di certo un tema nuovissimo. Guidato inizialmente da movimenti religiosi, già dagli anni Settanta è emerso in Europa un approccio laico alla responsabilità e sostenibilità in finanza, che ha favorito il diffondersi di varie iniziative e la costituzione di nuovi intermediari finanziari fondati su principi sociali e ambientali.

Nel contesto odierno si è progressivamente sviluppato un orientamento sostenibile e responsabile da parte degli intermediari finanziari tradizionali, anche diversi da quelli ispirati al principio della mutualità senza fini di speculazione privata (es. credito cooperativo, casse rurali). L’integrazione delle cd. valutazioni ESG nell’approccio operativo delle banche è stata determinata da diversi fattori, interni ed esterni[2].

Tra i driver interni è possibile includere la accresciuta e crescente consapevolezza della rilevanza strategica della sostenibilità da parte dei manager. Producendo valore per la società e l’ambiente, la banca sostenibile ha la possibilità di incrementare il valore prodotto per il proprio business.

Dall’altra parte, l’evoluzione regolamentare ha incentivato ed incentiva approcci operativi più responsabili. Dal punto di vista delle Autorità di vigilanza, infatti, la sostenibilità può costituire una leva importante per incrementare il livello di stabilità del sistema finanziario e per favorire una più rapida transizione verso un’economia a basso impatto, in linea con i Sustainable Development Goals definiti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e con il piano di ripresa NextGenerationEu.

Secondo Bellucci et al. (2021), l’evoluzione normativa è stata anche condizionata dagli effetti della crisi finanziaria internazionale innescatasi nel 2008. Infatti, diffusi fenomeni di irresponsabilità morale e sociale da parte di intermediari finanziari – spesso associati ad un livello di trasparenza limitato e ad eccessivi livelli di sofisticazione dei prodotti finanziari – hanno profondamente alterato la relazione tra finanza, economia reale e società, dando il là anche all’esplosione di un’altra trasformazione, quella relativa al blu delle tecnologie e del fintech.

A livello europeo negli ultimi anni la regolamentazione si è focalizzata sull’incremento dei livelli di disclosure degli intermediari finanziari e sulla tassonomia delle attività economiche che possono essere considerate sostenibili.

A tale riguardo, si citano la normativa sul Non-Financial Reporting (Direttiva 2014/95/Eu), la European Taxonomy Regulation (Regulation Eu 2020/852) e la Sustainable Finance Disclosure Regulation (Regulation Eu 2019/2088), finalizzate ad aumentare i livelli di trasparenza sui prodotti e sui processi degli intermediari finanziari, affinché i risparmiatori e gli investitori siano in grado di comprendere i rischi e le opportunità, distinguendo i servizi cosiddetti genuinely sustainable.

In finanza lo strumento cardine che gli investitori e le banche utilizzano per avere un’informazione sintetica sulle performance delle imprese è il rating.

Sul mercato si sono diffusi vari rating Esg o rating di sostenibilità, con i quali vengono valutati gli emittenti di titoli sui mercati finanziari dal punto di vista delle performance ambientali, sociali e di governance. Tali giudizi vengono formulati da agenzie specializzate nella raccolta e nell’analisi di dati sugli aspetti di sostenibilità dell’attività delle imprese, sulla base del contenuto di documenti aziendali, in via prevalente pubblici.

Tuttavia, proprio in virtù della novità e del dinamismo che riguarda attualmente le tematiche ESG, i rating ESG non sono ancora consolidati e “universalmente riconosciuti” tant’è che si parla di aggregate confusion e divergenze tra i vari modelli di rating dei principali provider (Berg et al., 2019[3]).

Al riguardo, si veda anche l’analisi di Crespi e Migliavacca[4] sui fattori determinanti del rating ESG nell’ambito dei servizi finanziari.

Nel novembre 2020 la Banca Centrale Europea ha pubblicato una Guida sui rischi climatici e ambientali definendo le aspettative in merito alle modalità di integrazione nella strategia e nel modello di business, nei processi di governance e nel risk management framework delle banche significative in ambito SSM, nonché alla tipologia di informazioni da pubblicare nella disclosure al pubblico.

L’8 aprile 2022 la Banca d’Italia, in linea con analoghe iniziative della BCE e di altre Autorità di vigilanza nazionali, ha elaborato un primo insieme di aspettative di vigilanza sull’integrazione dei rischi climatici e ambientali nelle strategie aziendali, nei sistemi di governo, controllo e gestione dei rischi e nella informativa al mercato.

In estrema sintesi, è importante che gli intermediari finanziari predispongano idonei presidi e sviluppino adeguate azioni per identificare, misurare, monitorare e mitigare tali rischi, continuando a garantire il necessario accesso al credito e assistendo le aziende impegnate nel processo di transizione con nuova finanza e adeguati servizi di consulenza. Tutto ciò perché i rischi emergenti, come i rischi climatici e di governance, avranno ripercussioni e potenziali impatti sui rischi tradizionali che un’istituzione finanziaria deve affrontare nella propria operatività (ad es. rischi di credito, rischi operativi, rischi reputazionali).

 

La transizione digitale (il blu)

La storia delle banche e della finanza è stata sempre caratterizzata da ondate di innovazione e distruzione creatrice.

Le ultime evidenze, riportate in alcuni documenti della Banca d’Italia e raccolte attraverso i piani strategici, gli incontri con gli intermediari, i dati, consentono di identificare alcuni driver che guidano il cambiamento digitale in atto.

In primis, la fintegration, ossia un’integrazione (nelle varie forme di partnership, acquisizione/incubazione, collaborazione) con il mondo delle imprese fintech che consente alle banche di approvvigionarsi di competenze e tecnologie non disponibili all’interno e di ridurre i tempi di realizzazione dei progetti (il time to market): l’80% dei progetti fintech è sviluppato dagli intermediari collaborando con società terze e istituzioni – ad esempio Università e spin-off – oppure esternalizzando  l’intero ciclo di realizzazione del progetto.

Poi il paradigma open banking, che, a circa quattro anni dalla entrata in vigore della PSD2 e delle norme di attuazione, continua a dispiegare i suoi effetti sui modelli di business degli intermediari.

In base alle evidenze Bankit, negli ultimi due anni gli intermediari italiani che offrono i nuovi servizi PIS e AIS sono raddoppiati (da 11 a 22). In questa fase, più matura, anche le banche si avvantaggiano delle potenzialità offerte dalla grande disponibilità di dati contenuti nei conti correnti.

I nuovi servizi di pagamento vengono utilizzati dagli intermediari tradizionali come leva per ampliare la gamma dei prodotti e servizi offerti e, in particolare, per supportare imprese e famiglie nella gestione della tesoreria, nella riconciliazione dei pagamenti e nella gestione delle finanze.

Allo stesso tempo, queste informazioni possono contribuire a rendere più accurata e precisa la valutazione del merito di credito della clientela. Il modello open introdotto dalla PSD2 si sta espandendo, anche sulla spinta dell’azione regolamentare della Commissione Europea, verso nuovi paradigmi di più ampia portata, riassumibili nei concetti di Open Finance e Open Data.

Con l’avvento dell’Open Finance il grado di apertura si estenderà oltre i dati dei conti di pagamento, interessando anche il mondo del credito, degli investimenti e delle assicurazioni: lo sfruttamento massivo dei dati dei clienti dischiuderà opportunità per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi finanziari. Ciò non sarà esente da rischi e occorrerà anche individuare il corretto bilanciamento tra offerta di nuovi servizi digitali e rispetto dei diritti dei consumatori, assicurando che le tecniche di sfruttamento utilizzate siano prive di errori che inducono a pregiudizi algoritmici (bias) e garantendo a tutti la possibilità di accesso ai nuovi servizi digitali.

Bisognerà gestire il difficile equilibrio tra tutela dei dati personali ed utilizzo / apertura verso l’esterno dei medesimi. Inoltre, nuovi modelli di business, che già osserviamo sul mercato, si diffondono progressivamente.

Altro fenomeno centrale per l’innovazione nel banking è il graduale ricorso al cloud: gli studi della Banca d’Italia evidenziano una correlazione elevata tra migrazione al cloud e propensione ad innovare. Sulla base della rilevazione sull’IT nel settore bancario italiano, condotta dalla CIPA e pubblicata nello scorso mese di luglio, nel 2021 il 58 per cento delle banche partecipanti fruisce, seppur con differenti livelli, di servizi erogati in cloud da fornitori esterni; un ulteriore 29 per cento ha avviato un percorso di trasformazione tecnologica per la fruizione di servizi in cloud.

Il cloud è una tecnologia abilitante per l’innovazione perché permette di gestire agevolmente notevoli quantità di dati e di accedere a tecniche innovative di sfruttamento ed elaborazione (ad esempio il machine/deep learning); è anche in grado di favorire il contenimento dei costi aziendali grazie alle sue caratteristiche di scalabilità. Tuttavia, si tratta di una tecnologia non priva di rischi per la sicurezza dei dati e, soprattutto in alcuni modelli di adozione di cloud pubblico, per il rapporto di dipendenza dal fornitore che ne può derivare (i cd. rischi di lock-in).

In conclusione, il blu – così come il verde di cui sopra – rappresenta una enorme opportunità per il sistema bancario, ma anche una delle preoccupazioni principali da parte dell’Autorità di Vigilanza.

Sebbene gli istituti finanziari abbiano dato prova di una forte resilienza operativa durante la pandemia, dal 2020 è aumentato il numero di incidenti cibernetici segnalati alla BCE, molti dei quali a intento doloso e suscettibili di causare perdite rilevanti in futuro. L’accelerazione delle strategie digitali e la crescente dipendenza delle banche dalle tecnologie digitali rendono pertanto essenziale rafforzarne il presidio contro le minacce cyber.

In tale contesto, le Autorità di vigilanza rivolgeranno una sempre maggiore attenzione alla valutazione dell’adeguatezza della resilienza digitale e sostenibile delle banche e seguiranno attivamente le azioni intraprese dagli enti vigilati.

 

 

[1] Secondo un’indagine annuale campionaria della Banca d’Italia, tra il 2020 e il 2022 il numero dei bonifici allo sportello si è ridotto di quasi il 20 per cento; ed anche i prelievi allo sportello e presso gli ATM hanno subito una riduzione significativa pari rispettivamente al  44 e al 18 per cento, a vantaggio dell’operatività online, come ad esempio i bonifici, il cui numero nello stesso periodo è mediamente raddoppiato.

[2] Bellucci et al. (2021), ESGi Score: un sistema di misurazione delle performance non finanziarie delle banche italiane, Bancaria – Settembre 2021

[3] Berg, F. et al. (2019), Aggregate Confusion: The Divergence of ESG Ratings (August 15, 2019). Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3438533 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3438533

[4] Crespi F., Migliavacca A. (2020), “The Determinants of ESG Rating in the Financial Industry: The Same Old Story or a Different Tale?”, Sustainability MDPI, disponibile al seguente link:  https://www.mdpi.com/2071-1050/12/16/6398/htm