Come ogni anno, l’avvicinarsi del 31 dicembre è normalmente accompagnato da una revisione ragionata di quello che è successo nei dodici mesi precedenti, effettuata spesso con l’ambizione di prevedere ciò che potrebbe accadere nei successivi dodici. Accade nell’ambito dello sport, dello spettacolo e, soprattutto, in campo economico-finanziario. Quest’anno non vogliamo sottrarci alla moda, e anche noi ci cimentiamo nell’impresa; ma per farlo in maniera speriamo più curiosa ed accattivante, abbiamo deciso di seguire lo sviluppo degli eventi attraverso le copertine del The Economist, capaci (a mo’ di Crozza) di sintetizzare (a volte ironicamente, a volte traumaticamente) in una singola immagine gli accadimenti principali della settimana. Sembrandoci però troppe cinquantadue copertine, ci siamo permessi di sceglierne venticinque a nostro piacimento e a nostro insindacabile giudizio. Vediamo cosa ci dicono.

La parte del leone la recita sicuramente The Donald: presente in 5 delle 25 copertine da noi scelte (ma anche in altre scartate), l’inaspettatamente eletto presidente americano, con il suo poco carismatico ciuffo biondo e i suoi twitter, ha condotto le danze nel 2017. A partire dal discorso di insediamento di gennaio (buy America, hire America), fino alla tanto agognata riforma fiscale definitivamente approvata il 22 dicembre, non c’è stato mese in cui Trump non sia apparso sulla scena. Come noto, tuttavia, la popolarità del presidente è andata via via scemando, vuoi per le topiche, gli scandali e gli errori politici commessi (Russiagate, siluramenti di collaboratori, gaffe ecc…), vuoi per il semplice fatto che un conto è strillare in campagna elettorale, un altro è riuscire a far passare in Parlamento le riforme desiderate (bastava guardare a quello che succede da anni in Italia per rendersene conto).

Emergono allora altri personaggi ad occupare lo spazio lasciato (politicamente) vuoto dagli USA (già a partire dalla precedente amministrazione a dire il vero). In particolare Xi Jinping, non per niente indicato come “The world’s most powerful man” in una copertina di Ottobre[1], giusto in prossimità del Congresso del Partito Comunista[2] cinese che lo ha nettissimamente rieletto presidente per i prossimi 5 anni. Ora, che la Cina sia divenuta (o stia per diventare a secondo dei parametri di misura) la più grande economia del mondo è noto a tutti, ed ormai nemmeno tanto sconvolgente (specialmente per i tifosi di Inter e, forse, Milan): la maratona dei cento anni, sapientemente descritta da Michael Pillsbury[3], intrapresa dai cinesi per superare gli USA, probabilmente si concluderà a breve. Più sorprendenti, invece, sono le parole pronunciate dallo stesso Xi Jinping nel gennaio 2017, nel suo opening speech al World Economic Forum: “Protectionism is like locking yourself in a dark room, which would seem to escape wind and rain, but also block out the sunshine,  ….. No one is a winner in a trade war”. Xi Jinping come paladino del libero scambio, dunque? La copertina di settembre, raffigurante il panda cinese con una carta nascosta nella manica ci mette in guardia da tale interpretazione (per un ulteriore prova vedasi il grafico a lungo termine del rapporto di cambio dollaro-yuan)

L’altro protagonista sullo scacchiere politico è sicuramente Putin, il nuovo Zar a cent’anni dalla Rivoluzione di ottobre. A parte il machismo e gli indubbi successi (per lui) nella gestione della questione siriana, nonché gli ammiccamenti amorosi con Trump (vedi copertina di febbraio), la carriera di Putin[4] è accompagnata da un alto gradimento dei suoi concittadini (sopra l’80% negli ultimi due anni) e da una continua crescita del PIL procapite a partire dal 2000, dopo il tonfo susseguente al crollo della ex Unione Sovietica negli anni ’90. Certo, la Russia non ha la potenza economica della Cina, pur rimanendo militarmente ben posizionata; ma apprendere che hacker russi possano influenzare le elezioni americane, o il referendum per la Brexit, ci riporta al “romantico spionaggio” della guerra fredda.

Proseguendo nella disamina delle copertine prescelte, non possiamo non sottolineare come il 2017 sia stato l’anno della Brexit: si è vero, il referendum si è tenuto nel 2016, ma l’iter burocratico è partito il 29 marzo di quest’anno e si concluderà (forse con una pseudo Brexit) il 29 marzo del 2019. Per ora non sembra che i lavori siano avanzati più di tanto, ma qualche effetto inizia a vedersi, se non altro perché i paesi facenti parte dell’Unione si stanno pian piano dividendo le spoglie del Regno Unito (vedasi le agenzie traslocate ad Amsterdam e Parigi, con somma iella per Milano). A nostro avviso, tuttavia, la Brexit una cosa per lo meno la sta dimostrando: uscire dall’Europa (nemmeno dall’Euro) non è cosa semplice! Con somma gioia per i consulenti legali, probabilmente i veri vincitori del referendum del 2016.

Almeno un paio di copertine a testa se le aggiudicano da un lato la Merkel (e la Germania), e dall’altro Macron, il gerontofilo enfant prodige della politica europea.

Per quanto attiene alla Merkel, è curioso pensare come il simbolo della stabilità europea, al suo quarto mandato, arranchi ora per cercare di costituire un governo e per non essere costretta a ripresentarsi agli elettori nel 2018. Ma ancora più interessante è la copertina di Luglio: sì, proprio quella centrale con l’aquila nera che sovrasta baldanzosa un surplus commerciale di 300 miliardi di dollari nel 2016 (circa l’8% del PIL): The German Problem. Neanche Barisoni, l’odiatore degli Alemanni per antonomasia, l’avrebbe pensata così bene!

Su Macron, il giudizio può considerarsi sospeso. Rimane valido il titolo dell’approfondimento di Massimo Lovetti redatto poco dopo il secondo turno delle elezioni presidenziali di Maggio: troppo champagne, troppo presto (vedi sezione Miscellanea). Un interessante report sui piani di riforma di Macron è rinvenibile nell’ultimo numero di settembre del The Economist.

Ci rimangono infine alcune copertine su argomenti vari in ordine sparso. La stretta dittatoriale di Erdogan, il caos in Venezuela e il caso Catalogna, le riforme mancate nell’India del presidente Modi, la minaccia atomica dalla Nord Corea. Ed ancora: il peso dei social media sulla democrazia, la necessità di apprendere fino in tarda età in un’era dominata dalla crescente automazione, il ritracciamento delle multinazionali costrette a tornarsene a casa da un rampante protezionismo. Poco altro.

Manca qualcosa a vostro avviso?

Beh, l’Italia sembra essere inesistente (d’altra parte manco ai Mondiali andiamo). Ma c’è sicuramente un altro personaggio che sembra essere sfuggito al The Economist (o almeno alle sue copertine) nel 2017 e che, invece, dovrebbe essere considerato a torto o a ragione, nel bene e nel male, il personaggio dell’anno: avete mai sentito parlare di Bitcoin?

Buon anno.

 

[1] The Economist riporta che la frase sarebbe da attribuire, secondo il Washington Post, allo stesso Donald Trump quale ossequio più o meno sincero al suo contraltare cinese.

[2] Ricordiamo che la Cina è un paese comunista. Si veda al riguardo, Xi Jinping, Governare la Cina, 2016, Giunti Editore.

[3] Pillsbury M., The Hundred- Year Marathon. China’s secret strategy to replace America as the global superpower.

[4] Si veda al riguardo Sangiuliano G., Putin. Vita di uno Zar, Mondadori 2015