In foto: La danza macabra, affresco, Giacomo Borlone de Buschis, 1485, Oratorio dei disciplini, Clusone
La banca che non c’è più e quella che verrà. Forse.
Si sta avvicinando, e come il Natale … tutti gli anni arriva. Quest’anno le candeline da accendere sono addirittura 10, e forse qualcuno manco se lo ricorda più (o fa finta di non ricordarselo). Il fallimento di Lehman Brothers, 15 settembre 2008, segna uno spartiacque indelebile nella storia dei mercati finanziari mondiali, così come fu in passato per altre date fatidiche quali il 29 Ottobre del 1929 e il 19 Ottobre del 1987.
Cosa è successo in questi dieci anni sulle borse lo sappiamo, lo abbiamo vissuto tutti. La grande paura iniziò pian piano a scomparire quando la Fed estrasse dal cilindro uno sconosciuto coniglio chiamato Quantitative Easing, e si dissipò quasi del tutto con il bazooka di Draghi e l’eresia dei tassi negativi. La riforma fiscale di Trump? Solo una ciliegina sulla torta per portare lo SP500 ai massimi dei massimi (ma attenzione, fra un po’ è Ottobre).
Ma quello che qui ci interessa indagare, invece, è l’evoluzione del sistema bancario italiano che, dal fallimento di Lehman, passando per la crisi del debito pubblico, la burrasca delle sofferenze, l’implementazione del Bail-in e l’evoluzione del Fintech, ha subito profonde e non rimarginabili trasformazioni. Per farlo, vi proponiamo innanzitutto una disamina asciutta dei principali fenomeni occorsi ed in atto dal 2008 ad oggi, appoggiandoci ad alcuni dati tratti dalla Base dati Statistica di Banca d’Italia e da altre fonti. A seguire alcune nostre considerazioni.
Numero e tipologia di intermediari
Partiamo da una considerazione semplice: a seguito di continui fenomeni di concentrazione, trasformazione, acquisizione, se non anche di liquidazione o procedure similari, il numero di banche operanti in Italia è drasticamente sceso. Al 31/12/2008 se ne contavano ben 799, al 31/12/2017 gli intermediari censiti sono 538 (-261, ovvero il 32,7%). Vedi Figura n. 1.
Tutto sommato, si tratta di un fenomeno che, in sé, non sarebbe da considerare negativo; dopo anni passati a dibattere sul nanismo delle nostre banche, e sulla eccessiva frammentazione del sistema, la riduzione del numero di operatori potrebbe essere considerata una fisiologica svolta dovuta, anche, alla globalizzazione dei mercati. Certo, se come capitato in diverse occasioni negli ultimi tempi le banche vengono cedute alla simbolica cifra di 1 euro, allora la svolta non è del tutto fisiologica.
Figura n. 1. Numero di Banche operanti in Italia
Fonte: Banca d’Italia
Più nel dettaglio, se analizziamo le tipologie di banche operanti, è possibile sottolineare che: le banche in forma di Spa sono passate da 247 a 147; le banche popolari cooperative da 38 a 23; le banche di credito cooperativo da 432 a 289. Viceversa, le filiali di banche estere sono rimaste stabili (da 82 a 79).[1]
I canali distributivi
Fino ai primi anni del 2000, il canale distributivo prevalente delle banche era quello fisico (brick and mortar, come dicono gli americani). Anzi, gli sportelli bancari sembravano spuntare come funghi ad ogni angolo. E’ fin troppo noto che, con l’evolversi delle tecnologie informatiche e a seguito dei fenomeni di concentrazione di cui sopra, la spasmodica corsa all’apertura di sportelli non solo si è placata, ma si è anzi totalmente ribaltata in una affannosa corsa alla dismissione degli stessi (figura n. 2).
Figura n. 2. Numero degli sportelli
Fonte: Banca d’Italia
Considerando ancora il periodo 31/12/2008-31/12/2017, il numero complessivo di sportelli è passato da 34.139 a 27.374 (-6.765, ovvero 19,8%)[2]. Naturalmente, a tale diminuzione di sportelli è corrisposto un clamoroso calo dei dipendenti (meno 44.312 dal 2009 al 2017); se una volta il posto in banca era considerato alla stregua della vincita alla lotteria, oggi è divenuto una scelta di second best per i giovani neolaureati.
E’ però da osservare che il fenomeno di chiusura degli sportelli non è totalizzante. Un aspetto rilevante, a mio avviso, è la parziale e graduale sostituzione degli sportelli delle banche tradizionali con quelli facenti riferimento a reti di consulenti finanziari (ex promotori finanziari). In molti centri città, le sedi fisiche occupate da banche quali popolari, casse di risparmio, e grandi istituti sono state sostituite da sportelli od uffici di Fideuram, Fineco, Banca Mediolanum, Banca Generali ecc..
Anche questa è una curiosa trasformazione del nostro sistema bancario; proprio gli ex promotori finanziari, per antonomasia abilitati all’offerta fuori sede, si sono fisicamente radicati nel tessuto urbano e nel vissuto dei cittadini risparmiatori.
Ma anche alcune banche tradizionali non hanno abbandonato completamente l’idea di sviluppare la propria rete fisica, magari occupando spazi vuoti e quote di mercato lasciate libere da altri istituti in ritirata. Ad esempio, pur in una logica di ristrutturazione complessiva della sua strategia commerciale, anche un istituto di dimensioni minori come BiverBanca non disdegna di allargare il proprio territorio di riferimento (Piemonte orientale), entrando con i cari e vecchi sportelli fisici nel basso varesotto/alto milanese.
In merito agli altri tipi di canali distributivi, sappiamo che ormai quasi tutti gli istituti sono dotati di piattaforme on line e di servizi via internet più o meno sofisticati. La strategia mirante ad integrare in maniera forte sportelli fisici e tied agents (cioè dipendenti bancari e consulenti finanziari operanti come agenti) è rimasta invece limitata (Credem e BNL recentemente). Le principali reti di consulenti finanziari si sono ormai consolidate, e i progetti per sviluppare nuove realtà sono pochi (Banco Desio ci riprova).
Raccolta e impieghi
Ma le banche non sono cambiate solo in termini organizzativi e distributivi; anche il business model tradizionale si è dovuto adattare alle stranezze dei tempi moderni. Se anni fa era facile dire che una banca, per sua natura, raccoglie denaro e presta denaro, guadagnandoci dalla differenza tra tassi attivi e passivi (margine di interesse), nel corso degli ultimi 10 anni le dinamiche dello stato patrimoniale e del conto economico si sono modificate.
Partiamo dai tassi di interesse. Quelli (medi) sui depositi[3] sono passati dal 2% circa a praticamente zero; quelli sui prestiti per abitazioni dal 5% all’1,8%[4]. Facile dedurne la significativa riduzione del margine di interesse e, in generale, della redditività.
Come riporta l’ABI Montly Outlook di luglio 2018, il margine (spread) fra il tasso medio sui prestiti e quello medio sulla raccolta a famiglie e società non finanziarie permane in Italia su livelli particolarmente bassi, a giugno 2018 risulta pari a 187 punti base (189 punti base il mese precedente), in marcato calo dagli oltre 300 punti base di prima della crisi finanziaria (335 punti base a fine 2007).
Per quanto attiene alla composizione della raccolta, sono drasticamente crollate, soprattutto negli ultimi anni, le emissioni di obbligazioni, che per anni avevano infarcito i portafogli di molti risparmiatori italiani: dopo il picco massimo raggiunto nel 2012, circa 966 miliardi di euro, l’ammontare di obbligazioni bancarie in essere si aggirava ad Aprile 2018 intorno ai 263 miliardi. A sopperire al funding tramite obbligazioni ci ha pensato la BCE attraverso le ben note operazioni di politica monetaria straordinaria (LTRO, TLTRO).
In relazione ai prestiti, invece, occorre distinguere tra quelli erogati alle società non finanziarie, alle famiglie produttrici, e alle famiglie consumatrici. Infatti, se in generale i prestiti del settore bancario a residenti in Italia, circa 1.800 miliardi, sono pari al 107 per cento del PIL, e si attestano su un livello prossimo a quello del 2008 (ma di 16 punti percentuali inferiore al picco del 2012), la situazione diverge a seconda della tipologia di richiedente.
Per le società non finanziarie (Figura n. 3), l’ammontare al 31/12/2008 era di 869,4 miliardi, mentre a giugno del 2018 siamo a 703,4 miliardi. Viceversa, per le famiglie consumatrici (Figura n. 4) passiamo da 371,3 miliardi a 538,7 miliardi
Figura n. 3. Volume prestiti alle società non finanziarie
Fonte: Banca d’Italia
Figura n. 4. Volume prestiti alle famiglie consumatrici
Fonte: Banca d’Italia
Lo spostamento verso il credito alle famiglie, e la contemporanea riduzione dei prestiti alle imprese (seppur il picco del credit crunch sia stato superato), accompagnati dall’impressionante aumento dei fallimenti verificatosi tra il 2010 e il 2016 (più di 10.000 all’anno), e dalla consistente pulizia dei bilanci bancari realizzata tramite cartolarizzazioni di non performing loans (NPLs), sembrano aver finalmente riportato il rischio di credito in carreggiata (Figura n. 5)
Figura n. 5. La qualità del credito delle banche
Fonte: Banca d’Italia, Relazione annuale 2017.
Per sintetizzare l’impatto dei fenomeni sopra descritti, basta osservare la Figura n. 6 che riporta le principali voci di conto economico delle banche italiane (fonte Banca d’Italia). E’ facile notare che, dal 2008, il margine di interesse si è notevolmente ridotto, e la redditività rappresentata dal ROE è scesa praticamente a zero dopo la crisi del debito pubblico; anzi, nel 2016 la redditività complessiva del sistema bancario è stata negativa. Nel 2017 il ROE è risalito al 7% (ma anche grazie ad alcune operazioni straordinarie, al netto delle quali si attesterebbe al 4,1%). Fortunatamente la stabilità del margine di intermediazione, cioè dei ricavi derivanti da commissioni (in particolare collocamento di prodotti di risparmio gestito), e la riduzione dei costi operativi (specie quelli del personale), hanno contribuito ad evitare il tracollo del business tradizionale.
Figura n. 6. Principali voci di conto economico delle banche e dei gruppi bancari italiani
Fonte: Banca d’Italia, Relazione annuale 2017.
Tutto quanto sopra non poteva non incidere sulle performance borsistiche delle principali banche commerciali italiane. La Figura n. 7 illustra tale performance nel periodo 27/08/2008 (base 100) – 27/08/2018. Non c’è bisogno di commentare sul fatto che, per alcune banche, il tracollo è stato purtroppo sensazionale.
Figura n. 7. Performance delle principali banche tradizionali (27/08/2008-27/08/2018)
Fonte: Exact 4.0 di Analysis
Il private banking passa di mano
Se per le banche commerciali tradizionali, cioè basate prevalentemente sul classico business model dell’intermediazione creditizia, l’ultimo decennio è sotto molti aspetti da dimenticare, la situazione risulta molto più rosea per le gli intermediari il cui business è incentrato su servizi di advisory alla clientela privata e sul collocamento di prodotti di risparmio gestito: Fideuram, Fineco, Banca Mediolanum, Banca Generali ecc… Grazie all’aumento delle masse gestite, i risultati reddituali di queste realtà sono risultati spesso più che soddisfacenti negli ultimi anni.
E’ poi da sottolineare come le reti di consulenti finanziari siano sempre più presenti anche nel settore alto della clientela privata, ovvero quel “Private banking” o “Wealth Management” che fino ai primi anni 2000 sembrava loro precluso (io ero tra i pochi che, già allora, asseriva invece che i promotori finanziari potessero essere degni competitors in tale ramo di attività)
New kids on the block
Avete mai sentito parlare delle 5 forze di Porter? Si tratta di un modello di strategia aziendale che deriva il proprio nome dal prof. Universitario americano Michael Eugene Porter.
In termini semplici, il modello mette in guardia le aziende su quali siano, all’interno di un settore industriale, le principali forze competitive; a parte i concorrenti diretti, Porter indica che anche i fornitori e i clienti possono divenire potenziali competitors[5]. Inoltre, occorre prestare attenzione ai produttori di beni sostitutivi che soddisfano comunque lo stesso bisogno per il consumatore finale (ad esempio, il the freddo potrebbe essere sostitutivo di una bevanda gasata). Infine, mai dimenticarsi di potenziali nuovi entranti nel settore, cioè aziende che oggi fanno tutt’altro (apparentemente) ma che potrebbero decidere repentinamente di entrare in un altro settore sfruttando vantaggi competitivi specifici.
Se pensiamo al sistema bancario italiano, le 5 forze di Porter non hanno influito più di tanto sulle dinamiche competitive fino a qualche anno or sono. E ciò per i seguenti motivi:
- il sistema bancario è comunque caratterizzato da barriere all’entrata discretamente elevate. Aprire una nuova banca non è cosa da poco, a meno che a farlo non sia una banca stessa che decide di creare una sua controllata. In generale, diciamolo pure, le banche italiane non si sono mai fatte una concorrenza spietata tra di loro.
- il rischio che fornitori o clienti decidano di integrarsi a valle o a monte è difficilmente immaginabile. Da un lato, la banca non ha dei fornitori veri e propri (se non di strutture informatiche e di servizi ancillari); dall’altro è difficile pensare che un gruppo/tipologia di clienti decida di farsi una banca in proprio. Ovvero… ciò è già accaduto in tempi remoti con lo sviluppo del credito cooperativo e popolare.
- Per quanto riguarda produttori di beni sostitutivi, possiamo pensare ad intermediari quali SIM ed SGR. Oppure, in passato, gli operatori di quello che veniva denominato parabancario (leasing e factoring). Ma sappiamo che in questi casi le banche reagiscono in modo semplice e lineare a tali nuovi concorrenti: se li comprano! Mancano solo le Poste; con le compagnie di assicurazione si è proceduto ad una pacifica integrazione.
Qualcosa però sta cambiando. Seppur marginalmente, nuovi entranti si affacciano nel settore. Pensiamo alle banche create dalle case automobilistiche (FCA Bank, Volkswagen Bank), a quelle messe in piedi dalla grande distribuzione (Banca Carrefour), alle iniziative derivanti dal mondo internet e delle nuove tecnologie. Amazon che presta alle imprese, Facebook che vuole entrare nel sistema dei pagamenti, Apple e Samsung che già ci sono. Ed ancora: fenomeni di disintermediazione sfacciata quali il Peer to Peer lending (vedasi https://www.contemplata.it/2017/10/lascesa-del-peer-to-peer-lending-in-italia/), o guidata come i minibond, i fondi di private debt o gli stessi PIR. E tutto quello che presto arriverà dal Fintech.
Si tratta, in termini generali, di nuovi competitors in grado di mettere sul piatto iniziative commerciali e di marketing non facilmente contrastabili (vedi foto sottostante), e dotati spesso di dimensioni tali da poter tranquillamente sedersi al tavolo dei big players bancari.
Considerazioni conclusive
“Banking is necessary, banks are not”. La celebre sentenza di Bill Gates datata 1994 era forse un po’ prematura. Ma pian piano il suo senso sembra emergere sempre più chiaro. L’attività bancaria è necessaria e, probabilmente, lo sarà anche in futuro; le banche, se non si attrezzano, potrebbero diventare obsolete.
Ragionamento troppo apocalittico? Direi di sì.
Personalmente credo che le banche (anche quelle tradizionali) non spariranno dalla scena (che farebbero altrimenti gli accademici del mio settore disciplinare!). Certo, dovranno ridefinire il loro modo di operare e la loro organizzazione, come peraltro stanno già facendo, ed imparare a condividere il mercato con nuovi competitors. Ma potrebbero tornare in auge nel momento in cui i tassi di interesse risalissero a livelli fisiologici; in tal caso, infatti, la classica intermediazione creditizia tornerebbe ad essere redditizia, nonostante l’accresciuto fardello normativo.
E’ probabile, inoltre, che la concentrazione del sistema prosegua ancora per un certo tempo, e che differenti modelli di business si consolidino ulteriormente: chi fa commercial banking fa commercial banking, chi fa private banking fa private banking (pur operando, magari, all’interno dello stesso gruppo bancario). Ma contemporaneamente, altri modelli operativi ed altri intermediari, ad oggi sconosciuti, potrebbero divenire velocemente dominanti.
Rispetto alla famigerata “Foresta Pietrificata” …. ci sarà da divertirsi.
Reference Shelf
- Crespi F., Mascia D., Bank funding strategies. The use of bonds and the Bail-in effect, Palgrave 2018
- Relazione annuale della Banca d’Italia, 2017
- ABI Monthly Outlook, Luglio 2018
[1] Al 31/12/2017, i gruppi bancari classificati come significativi nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico europeo (Single Supervisory Mechanism, SSM) erano 11 – 3 in meno rispetto al 2016 – a seguito della fusione tra 2 ex banche popolari di grande dimensione e dell’uscita dal mercato di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ai gruppi significativi era riconducibile il 74 per cento del totale delle attività degli intermediari italiani. Banca d’Italia, Relazione annuale, 2017
[2] Nel 2018 è prevista una ulteriore discesa. Vedi Relazione annuale Banca d’Italia, 2017
[3] Banca d’Italia. Tassi di interesse armonizzati, depositi, società non finanziarie e famiglie.
[4] Banca d’Italia. Tassi di interesse armonizzati, prestiti per acquisto di abitazioni.
[5] I fornitori potrebbero decidere di scavalcare l’azienda andando a contattare direttamente i clienti finali (integrazione a valle); viceversa i clienti potrebbero scavalcare l’azienda andando direttamente dai produttori o decidendo di prodursi in proprio un bene intermedio che l’azienda vende (integrazione a monte).