Colpa dei diamanti, o colpa della banche?

La combriccola del Blasco/Era poco più di un pugno/Ma se si stringeva colpiva molto duro”.

In fondo, lui stesso l’aveva predetto: quando un gruppo, o compagnia di persone unite per scopi generalmente non lodevoli o equivoci (definizione di combriccola data dalla Treccani on line) si accorda per colpire… può fare veramente male.

E forse, con il senno di poi, gli sarebbe stato utile seguire il consiglio di De Andrè: “…dai diamanti non nasce niente/ dal letame nascono i fior…”, sebbene investire in letame, per quanto ne sappia, non dovrebbe poi essere un business così redditizio[1].

La truffa perpetrata nei confronti della ormai epica rock star italiana, e di altre celebrità del mondo dello spettacolo, (al riguardo si veda: Diamanti, come funziona secondo i pm la truffa in cui è caduto anche Vasco Rossi) ci permette tuttavia di effettuare alcune considerazioni sull’utilizzo dei diamanti a scopo di investimento, e sul ruolo giocato dalle banche nella losca e ampiamente nota faccenda.

Innanzitutto, però, una premessa “grammaticale”: si definisce soggetto l’essere o la cosa che compie una azione. L’oggetto, o meglio il complemento oggetto, indica invece l’essere o la cosa su cui va a finire direttamente l’azione espressa da un verbo transitivo attivo e, per forza di cose, compiuta dal soggetto. Ad esempio, nella frase “la banca vende diamanti” è facile intuire che la banca è il soggetto e i diamanti l’oggetto. E, similmente, nella frase “la banca truffa i clienti”, la banca è soggetto e i clienti, ahimè, l’oggetto. Evidentemente sgrammaticata sarebbe invece la frase “I diamanti truffano i clienti”, essendo i diamanti oggetti inanimati non in grado di compiere l’azione indicata dal verbo transitivo.

Il diamante, in sé, è quindi semplicemente un oggetto. Chi investe in un diamante da investimento (scusate la ripetizione, ma è proprio a questo tipo di diamanti che circoscriviamo le nostre osservazioni, sorvolando invece su quelli da gioielleria) deve allora capire che sta comprando un oggetto – e non uno strumento finanziario – dotato di particolari qualità, creato e venduto da una industria caratterizzata da una specifica catena del valore, il cui prezzo non solo può oscillare nel corso del tempo, ma è altresì soggetto a rischi differenti rispetto a quelli che normalmente permeano altri investimenti finanziari tipici (azioni, obbligazioni, fondi ecc..). E tuttavia, proprio per le sue caratteristiche, il diamante da investimento potrebbe avere importanti vantaggi per un investitore; naturalmente, e come sempre, se acquistato ad un prezzo corretto!

Facciamo allora alcune considerazioni sul settore dei diamanti seguendo le informazioni e i dati prodotti dal principale provider di questo mondo, la Bain & Company, che ogni anno propone un report dettagliato sui trend dell’industria.

 

L’industria dei diamanti: fasi, attori e forza contrattuale

Comprendere l’industria dei diamanti non è cosa semplice, ma neanche così complessa come potrebbe apparire; contrariamente ad altri mercati, in cui gli attori della domanda e dell’offerta, nonché le logiche di formazione del prezzo sono facilmente identificabili, il settore in esame risulta di non immediata lettura.

Innanzitutto, è importante delimitare l’oggetto dell’industria: sebbene si parli genericamente di diamanti, esiste in realtà un mercato dei diamanti grezzi, ed un mercato dei diamanti lavorati (cioè puliti e tagliati, che in definitiva sono quelli che tutti conosciamo). Sebbene ovviamente connessi tra loro, e per quanto si possa pensare che le dinamiche relative ai diamanti lavorati siano influenzate da quanto accade sul mercato del grezzo, in realtà i trend e i movimenti di prezzo nei due mercati possono seguire traiettorie molto differenti in alcuni periodi.

Per quanto attiene invece alle finalità d’uso, si distinguono:

  1. i diamanti utilizzati nell’industria: meno pregiati ed eventualmente sostituibili con altri tipi di materiali rappresentano circa il 50% dei diamanti estratti;
  2. i diamanti da gioielleria, che pur rappresentando l’altro 50% della produzione, in termini di valori raggiungono il 95% (vedi Bain and Company, 2011). All’interno di questi, solo una piccola parte, quella caratterizzata dalle caratteristiche più pregiate (si veda oltre) possono essere considerati diamanti da investimento (circa il 5%, se non meno, della produzione); sono quelli normalmente venduti all’interno di appositi blister, accompagnati da un codice di autenticità oggi addirittura tatuato a laser sul diamante stesso[2].

Uno dei fattori principali dell’industria dei diamanti è rappresentato dalla storica situazione di oligopolio che la caratterizza. Le figure n. 1 e n. 2 ben evidenziano la situazione. In particolare, la figura n. 1 illustra le barriere all’entrata e il potere contrattuale lungo la catena del valore. All’inizio della catena vi sono 5 players che controllano circa il 70% della produzione mondiale: tra questi i più noti sono la russa Alrosa, lo storico e ben conosciuto gruppo De Beers, e la Rio Tinto. E’ facile intuire come il potere contrattuale di tali attori, peraltro tutelato da forti barriere all’entrata[3], sia notevolmente elevato; e ciò ha ovvie conseguenze sul controllo della produzione (e delle scorte) e, di conseguenza, dei prezzi.

 

Figura n. 1. Barriere all’entrata e potere contrattuale lungo la catena del valore

Fonte: Bain & Company, The Global Diamond Industry 2018

 

Figura n. 2. I principali player nel mercato dei diamanti grezzi

Fonte: Bain & Company, The Global Diamond Industry 2018

 

La situazione di oligopolio a monte della catena del valore comporta anche che i margini siano nettamente più elevati per gli oligopolisti produttori (vedi figura n. 3), che non per gli altri operatori del settore. In particolare, nel mezzo della catena del valore, vi sono numerose imprese che si occupano del taglio e della pulizia dei diamanti, per le quali la marginalità è molto bassa. I rendimenti si rialzano alla fine della catena, in special modo per i gradi distributori retail del prodotto da gioielleria finito.

 

Figura n. 3. La marginalità del business lungo la catena del valore

Fonte: Bain & Company, The Global Diamond Industry 2018

 

Un altro aspetto interessante da sottolineare attiene alla geografia della produzione, ovvero alle località in cui vengono estratti i diamanti. Come evidenziato nella figura n. 4, la produzione si concentra in un numero ristretto di paesi; nel 2017, ad esempio, il 90% della crescita della produzione è avvenuta in soli 5 paesi (Canada, Australia, Russia, Botswana, e Congo).

Le località in cui vengono invece tagliati e puliti i diamanti sono totalmente differenti, con una forte prevalenza dell’India. E ancor diverse sono le nazioni in cui vengono alla fine venduti i diamanti da gioielleria, con una netta prevalenza degli USA, seguiti dalla Cina e dall’Europa (vedi figura n. 5).

 

Figura n. 4. La geografia della produzione

Fonte: Bain & Company, The Global Diamond Industry 2018

 

Figura n. 5. La geografia delle vendite finali di diamanti da gioielleria

Fonte: Bain & Company, The Global Diamond Industry 2018

 

Il prezzo dei diamanti: come si forma e a cosa occorre fare attenzione

Avendo sinteticamente inquadrato le principali caratteristiche dell’industria dei diamanti, è ora possibile fare alcune considerazioni sull’andamento dei prezzi. La doverosa premessa, tuttavia, è che per i diamanti, contrariamente ad altri beni rifugio come l’oro, ma similmente ad altri beni fisici da investimento come le opere d’arte, il prezzo non è univoco.

Non esiste infatti un fixing unico e riconosciuto (come per l’oro), in quanto ogni diamante, una volta tagliato, ha delle caratteristiche specifiche che lo rendono unico. Un po’ come i quadri di un grande pittore: molti possono essere simili ma non perfettamente identici, e quindi avere un valore nettamente differente. E non esiste nemmeno una borsa (o più borse) ufficialmente riconosciute, sebbene sia noto che i principali mercati all’ingrosso si trovano a New York, Anversa e Tel Aviv[4].

L’unico punto di riferimento è il famoso, e anche po’ leggendario (diciamocelo), listino Rapaport. Nato negli anni ’70 dalla intuizione di Martin Rapaport, esso rappresenta una vera e propria lista con quotazioni in dollari USA per carato, pubblicata ogni giovedì pomeriggio a New York, la cui consultazione è riservata agli addetti ai lavori che sottoscrivono l’abbonamento al servizio.

Il Rapaport Diamond Report indica il prezzo sul quale basare le trattative e questo significa che, in considerazione delle specifiche proprietà gemmologiche di un diamante, il suo prezzo finale verrà determinato a premio o a sconto rispetto a quanto indicato sul listino. In termini semplici, quindi, ciò significa che il listino dà solo una indicazione di massima; gli addetti ai lavori, in particolare gli acquirenti all’ingrosso, contrattano poi il prezzo sulla basse delle caratteristiche del singolo pezzo o lotto[5].

Ad ogni modo, il listino Rapaport riporta i prezzi distinguendo i diamanti sulla base delle cosiddette “4 C”, ben note agli operatori del settore, e cioè:

 

  • Carat = ossia il peso espresso in carati. Un carato (il termine deriva dal greco Keration ed indicava il seme di carruba) è uguale a 0,2 grammi; occorrono quindi 5 carati per formare un grammo. Sebbene per i profani possa apparire ovvio che il prezzo sia direttamente proporzionale al peso (un diamante più grande varrà di più di uno più piccolo), le cose non stanno esattamente così. Il peso, per quanto rilevante, è solo una delle 4 C!
  • Colour = il colore. Il diamante è l’unica gemma in cui è l’assenza di colore a determinarne il valore. Normalmente vengono considerati diamanti da investimento solo quelli nella parte alta della scala del colore, che va da D a V: quindi solo da D (bianco eccezionale+) ad H (Bianco). E’ pur vero che spesso si sente parlare di vendite/battute d’asta di diamanti colorati; ma si tratta di pezzi di eccezione che vengono spesso usati per creare prodotti da gioielleria unici, ovvero che assumo un significato più di altissimo collezionismo che non di investimento.
  • Clarity = ogni diamante possiede una sua precisa identità dovuta alla presenza di piccole tracce di carbonio o di piccoli cristalli di diversa natura rimasti imprigionati durante il processo di cristallizzazione. Si chiamano inclusioni e sono delle disomogeneità strutturali che vengono considerate delle “impronte naturali”. Il loro numero, colore, dimensione e posizione determinano il grado di purezza del diamante. La purezza è valutata secondo una scala su cui ci si basa per descrivere il livello di inclusioni. Anche in questo caso, solo i diamanti classificati nella parte alta della scala possono essere considerati da investimento
  • Cut = Il taglio è un processo di fondamentale importanza per la resa visiva di un diamante. Il taglio a brillante classico prevede 58 sfaccettature di cui 33 sulla parte superiore (o corona) e 25 su quella inferiore (o padiglione) (vedi figura sottostante). Questa è senz’altro la più importante delle 4C, poiché più alta è la qualità del taglio, migliore è la combinazione tra brillantezza e fuoco della pietra.

 

Ora, a parte le caratteristiche tecniche di cui sopra, cosa determina in definitiva il prezzo dei diamanti? Ovvero, cosa incide sulla domanda e sull’offerta? Proviamo a fare alcune considerazioni:

  • Innanzitutto, diversamente da quanto avviene per gli strumenti finanziari che sono replicabili ad libitum, per i diamanti (e per altri beni quali oro, platino, ovvero in generale le commodities) occorre tenere conto dei costi di estrazione e, più in generale, del fatto che la quantità di tali beni non è infinita (sebbene l’ultimo report di Bain & Company indichi un notevole incremento della produzione nel 2017). Considerando poi che il settore estrattivo, come sopra osservato, è in condizione di oligopolio, è facile intuire come nel corso del tempo il prezzo dei diamanti, a causa dell’effetto rarità e del crescere dei costi di estrazione (a meno di scoperte di nuovi giacimenti facilmente accessibil), sia destinato, ceteris paribus, a salire. Anzi, rispetto all’oro, il cui prezzo è anch’esso influenzato da limiti fisici di estrazione, il diamante è caratterizzato altresì dall’impossibilità di un suo riutilizzo una volta tagliato. Detto in altri termini, se da un kg di oro è possibile tramite fusione ricavare dieci lingotti da 100 g (o viceversa), da un diamante da 2 carati non si possono di certo ricavare due diamanti da 1 carato (e nemmeno viceversa).
  • Dal lato della domanda, si è indicato come i diamanti possano essere utilizzati a fini industriali o in gioielleria. Diversamente dal settore dell’oro, dove l’utilizzo industriale ha un peso comunque rilevante, per i diamanti è principalmente l’uso da gioielleria, ovvero il valore estetico quello che conta. Non si deve quindi nascondere il fatto che il prezzo dei diamanti è supportato da anni da una massiccia campagna di marketing, accostandosi in questo senso al settore del lusso. “Un diamante è per sempre” (noto slogan pubblicitario della De Beers), “I diamanti sono i migliori amici di una donna” (Marilyn Monroe), “Le grandi donne hanno bisogno di grandi diamanti” (Elizabeth Taylor); sono solo alcuni degli aforismi sviluppatisi nel tempo per sostenere il valore dei diamanti. Ora, è lecito aspettarsi che coloro che sostengono il prezzo, cioè in definitiva l’industria nel suo complesso (dall’estrattore al gioielliere retail), lo continuino a fare anche in futuro, così come similmente avviene nel settore del lusso: se una borsa di Louis Vuitton costava tanto 30 anni fa, così come 20 anni fa, così come 10 anni fa, così come costa tanto oggi beh… il tutto lascia intendere che costerà tanto anche tra 10, 20 o 30 anni. E allora, anche per i diamanti è difficile pensare che perdano completamente il loro valore estetico (“il diamante non fallisce”, ecco un altro slogan), a meno di non ipotizzare che, per un non so quale motivo, il gusto dei consumatori cambi così radicalmente da non considerare più di interesse un anello trilogy o un braccialetto tennis.
  • A questo punto, però, è giusto osservare che il prezzo dei diamanti, così come avviene per molti altri beni di lusso, è comunque influenzato dall’andamento generale dell’economia: se la ricchezza complessiva nel mondo cresce si compreranno più diamanti, e viceversa. Il grafico in figura n. 6 riporta l’andamento del prezzo dei diamanti dal 2004 al primo semestre del 2018. Sebbene venga qui rappresentato un indice sintetico (come detto, in realtà ogni diamante ha un suo prezzo), è facile osservare come le oscillazioni seguano essenzialmente i periodi di boom e sboom economico.

 

Figura n. 6. L’andamento del prezzo dei diamanti grezzi e tagliati

Fonte: Bain & Company, The Global Diamond Industry 2018

 

Conclusioni

Le principali caratteristiche del diamante da investimento lo rendono classificabile, a ragione, tra i cosiddetti beni rifugio. Si tratta infatti di un bene che ha un alto valore per unità di volume, non deperibile, che permette di trasportare e trasferire risorse in maniera tutto sommato semplice. Il diamante non è infatti un bene registrato, e quindi può circolare liberamente.

Ha un valore relativamente stabile e con una tendenza alla crescita nel medio-lungo termine (si vedano le considerazioni di cui sopra). Rispetto ad altri tipi di investimento, in particolar modo finanziari, è meno soggetto ad eventi politici ed economici. Anzi, in quanto bene rifugio, il suo valore potrebbe in effetti aumentare proprio al verificarsi di shock esogeni estremi (guerre, disfacimento dell’euro, catastrofi naturali…)

Al momento, la rivendita di diamanti non è soggetta a tassazione in caso di realizzo di plusvalenze. E anche in caso di passaggio generazionale si hanno notevoli vantaggi (si veda https://www.contemplata.it/2018/04/denaro-gioielli-mobilia-e-opere-darte-come-passano-in-successione/).

Naturalmente, vi sono anche alcuni aspetti negativi e diversi rischi relativi all’investimento in diamanti. Il prezzo comunque può oscillare nel tempo, la liquidabilità non è immediata (al riguardo si veda tuttavia quanto da noi già indicato in precedente articolo: https://www.contemplata.it/2018/08/liquido-liquidabile-vendibile/)[6], il rischio di furto (e di smarrimento), nel caso in cui i diamanti non siano depositati in apposite strutture assicurate, esiste. Inoltre i diamanti, come quasi la totalità dei beni fisici, non produce flussi finanziari durante il tempo.

In definitiva, ed in una logica complessiva ed ampia di diversificazione del proprio patrimonio, una piccola percentuale investita in diamanti è plausibile. Tuttavia, è facile comprendere che, come per qualsiasi altro investimento, il prezzo di acquisto rappresenta un fattore fondamentale; qualsiasi bene (fisico o finanziario) se acquistato al giusto prezzo, o magari a sconto, può essere un buon affare; se acquistato ad un prezzo troppo elevato diviene quasi certamente una perdita.

La truffa dei diamanti perpetrata da alcuni principali istituti bancari italiani (mi domando al riguardo a cosa sia servito che tanti accademici si siano cimentati nel corso del tempo nell’analisi del rischio reputazionale delle banche) è proprio incentrata sul prezzo di vendita, e non sulla autenticità dei diamanti: i diamanti sono veri, il prezzo è falso!

 

[1] Una antica presa in giro in stretto bustocco recita: te vendù il rudu, cioè hai venduto il letame, detto scherzosamente a chi, in un ambiente contadino certamente non ricco, per potersi permettere un piccolo bene di consumo in più (ad esempio una nuova giacca) doveva appunto aspettare di ricavare qualche extra dalla vendita del letame.

[2] Naturalmente nulla vieta di aprire il blister ed incastonarli su un anello. Ciò renderebbe però più difficoltosa la successiva rivendita, sebbene si possa eventualmente procedere ad una nuova certificazione.

[3] Barriere non tanto di tipo regolamentare, ma di tipo economico-finanziario; mettersi a cercare diamanti in giro per il mondo non è così semplice.

[4] Esistono oggi anche piattaforme virtuali per lo scambio di diamanti.

[5] Lo stesso listino riporta un disclaimer che indica quanto segue: “Prices in this report reflect our opinion of HIGH CASH NEW YORK ASKING PRICES. These prices may be substantially higher than actual transaction prices. No guarantees are made and no liabilities are assumed as to the accuracy of the information in this report.”

[6] Come appunto indicato in nostro precedente articolo, in realtà la liquidabilità del diamante e di altri beni fisici da investimento (opere d’arte, immobili, auto d’epoca ecc..) non è in sé preclusa; tutto è vendibile in effetti. Ovviamente il prezzo che si andrà a realizzare dipenderà dal momento di mercato e dal tempo a disposizione per vendere: chiaramente, se si ha l’immediata necessità di monetizzare, si dovrà accettare un forte sconto. Ciò avviene ormai usualmente nel campo degli investimenti immobiliari.

 

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