In diverse occasioni, su queste come su altre colonne, abbiamo ragionato di petrolio. In particolare, abbiamo cercato di approfondire alcuni aspetti connessi al tema delle relazioni tra aspettative degli operatori “speculativi” di mercato ed andamento dei prezzi, da un lato, e tra livelli di produzione del petrolio ed andamento dei suoi prezzi, dall’altro.
E’ però necessario sottolineare un aspetto cruciale: il petrolio non è una Monade. In che senso, direte voi?
Qualche reminiscenza scolastica (altrimenti c’è Google), dovrebbe correre in soccorso al lettore nel recupero di questo termine, utilizzato sin dalla filosofia greca e, più recentemente, recuperato nel pensiero filosofico-logico-matematico di Goffredo Leibeniz. E’ cioè esistita un’epoca nella quale Filosofia e Matematica coabitavano nello stesso percorso di studi, e in quell’ambito l’analisi proposta dalle Scienze Matematiche non era separabile dall’Amore per la Sapienza: l’obiettivo ambizioso era quello di ricondurre ad un unico senso totale delle cose l’universalità dei fenomeni che popolano la sfera del reale. La complessità era cioè strutturalmente parte del processo di studio del reale e della realtà. Pare invece oggi prevalere la tendenza alla ipersemplificazione, allo sguardo inevitabilmente di breve termine, ai rapporti mono-causali, al Monadismo appunto dei fenomeni pur essendo noi immersi in una disturbante ipertrofia informativa.
Il petrolio, dicevamo, non è una Monade. Esso rappresenta infatti la materia di partenza su cui si innescano enormi catene di trasformazione chimico-fisiche le cui risultanti sono prodotti finiti che spaziano dal Bitume/Catrame, sino ai più sofisticati carburanti che hanno alimentato gli Shuttle, passando per materie plastiche dei più svariati tipi. Uno spettro amplissimo di beni ad alto contenuto tecnologico che rappresentano buona parte dell’ossatura della Civiltà dell’Energia di cui noi siamo (colpevolmente) inconsapevoli cittadini.
E tuttavia, nove volte su dieci, le analisi (tra cui le mie) che scandagliano le dinamiche di prezzo del petrolio rimangono eccessivamente, e spesso in maniera miope, focalizzate su alcuni aspetti lato offerta di questo importante idrocarburo. Perché? Bè, perché è più facile, e più di moda, raccontare fenomeni bellicosi (Libia), dispute geopolitiche (Venezuela-U.S.A.; Iran-U.S.A.), tensioni socio-politiche (Israele-Iran), disastri ambientali (Deep Water Horizon, Exxon-Valdez). Cattura molto più l’attenzione di un lettore la narrazione dei morti “a causa del petrolio”, dei “petrodollari” che corrodono i gangli delle democrazie occidentali (sempre che esistano ancora), che non la disamina settimanale delle relazioni tra livelli di consumo e livelli di produzione di tutta una serie di complessi composti chimici che sfuggono ai più, se non all’atto dell’effettuazione del proverbiale pieno in autostrada, immancabilmente rincarato proprio in occasione delle vacanze pasquali.
Eppure, it takes two to tango. Si balla in due.
Occorre quindi capire, innanzitutto, che i livelli di produzione del petrolio non sono nel breve termine legati ai livelli della sua domanda; essi sono infatti figli di decisioni di investimento a lungo termine (dai 10 ai 20 anni, ma anche oltre) che trascendono le dinamiche correnti della domanda, poiché si basano su complessi studi di fattibilità che debbono coniugare analisi geologiche, fisiche, finanziarie e reddituali. A differenza dei livelli di produzione, invece, i livelli di offerta di petrolio possono essere alterati in maniera molto più immediata.
Tensioni geopolitiche, eventi bellicosi, danni infrastrutturali, eventi meteorologici particolarmente estremi hanno tutti la possibilità di alterare anche per periodi di tempo non brevi i livelli di offerta di petrolio. Talora – ma in maniera ben residuale rispetto ai casi appena segnalati – anche colli di bottiglia infrastrutturali o livelli transitoriamente bassi di domanda possono suggerire ad alcuni produttori di contingentare i livelli di offerta. Il caso più recente in tal senso è stato quello della provincia canadese dell’Alberta[1] il cui Governatore, nel Dicembre 2018, ha per legge imposto una riduzione dei livelli di immissione sul mercato del petrolio estratto dalle sabbie bituminose albertane in ragione dell’inadeguatezza degli esistenti oleodotti (barriera infrastrutturale che inibisce la domanda) a garantirne una efficace ed efficiente esportazione, al punto da provocare un drammatico crollo locale dei prezzi di quella varietà di idrocarburo.
I livelli di domanda di petrolio sono invece figli di una pletora di fattori di breve, medio e lungo termine ben più complessi sia da analizzare che da sistematizzare. A mero titolo di (non esauriente) esempio: livelli di disoccupazione; età media, mediana e struttura demografica di un Paese; livelli dei tassi di interesse; natura, quantità e qualità delle flotte di autoveicoli a livello globale e regionale; costi di produzione e livelli di domanda di combustibili e/o fonti energetiche alternative al petrolio; variazioni di carattere normativo all’impiego di certi motori (si pensi al Diesel Gate ed al conseguente inasprimento ideologico della regolamentazione contro i motori diesel) e/o di certi carburanti (normativa IMO2020).
Questi e numerosi altri fattori impattano quindi, con tempi e dimensioni diverse, sui livelli di domanda di tutta una serie di prodotti finali o intermedi che rivengono dai processi di trasformazione del petrolio. Potremmo quindi dire che, in primissima approssimazione, i livelli di scorte dei semilavorati e dei prodotti finiti derivanti dal petrolio rappresentano dei sensori che non possono essere trascurati da chi, seriamente, provi a studiare le dinamiche di prezzo del cosiddetto Oro Nero.
Tentiamo di mantenere un qualche senso di realtà portando come esempio la situazione corrente del mercato statunitense, utilizzabile come barometro del più ampio mercato globale. I prezzi del petrolio varietà W.T.I. e varietà Brent sono, oramai un paio d’anni, “squassati” da un profluvio quasi da sindrome da Disturbo Iperattivo di tweet che attraversano lo spazio cibernetico tra gli Stati Uniti (Trump) e le capitali mediorientali, Teheran in particolare. L’attenzione di media ed analisti è quindi stata rapita da queste isolate epifanie.
Sotterraneamente, però, si sono sovrapposti due fenomeni di cui pure già abbiamo accennato: l’approdo sui mercati internazionali di circa 6 nuovi milioni di barili al giorno di produzione statunitense nel corso degli ultimi 6 anni circa, e la conseguente lenta trasformazione di certi cicli di produzione che, a livello planetario in generale, e statunitense in particolare, hanno alterato tempi e modi secondo cui certi tipi di carburanti e prodotti semilavorati vengono prodotti e stoccati.
Quando pubblicammo su questo sito un articolo dedicato alle dissonanze cognitive nel settore del petrolio (https://www.contemplata.it/2018/11/dissonanze-cognitive-il-caso-del-petrolio/), stigmatizzavamo proprio quella transitoria fase (culminata nel crollo del 45% del prezzo tra i mesi di Ottobre e Dicembre 2018) durante la quale l’accumulo di posizioni speculative sul petrolio greggio aveva raggiunto valori particolarmente elevati (Grafico n. 1), in una situazione in cui, negli Stati Uniti, si assisteva ad un precipitoso assottigliarsi delle scorte sia di greggio (Grafico n. 2) che di Diesel (Grafico n. 3) rispetto ai loro valori medi a 5 anni
Ed oggi? Cosa accade? L’analisi delle posizioni nette in contratti Futures ed Opzioni (Grafico n. 1) indica come gli Speculatori stiano detenendo una posizione che, per quanto elevata, risulta meno estrema di quella toccata durante l’estate del 2018.
L’analisi dei livelli di scorte di petrolio greggio (Grafico n. 2) mostra come, in effetti, la quantità di barili di petrolio negli U.S.A. sia non troppo diversa da quella dell’estate scorsa in termini di livelli, ma stia navigando su una traiettoria ascendente (bearish) mentre quella del 2018 veleggiava lungo una dinamica discendente (bullish).
L’analisi dei livelli di scorte di prodotti afferenti alla famiglia “diesel” (Grafico n. 3) suggerisce, invece, che le quantità immagazzinate di questo tipo di prodotto finito siano oggi in fase calante, non dissimilmente da quanto registrato nel 2018 in concomitanza al rally dei prezzi del greggio.
L’ultimo tassello da aggiungere per rendere meno parziale però il quadro del lato della domanda è quello del secondo prodotto chiave derivato dalla lavorazione del petrolio: la benzina.
Il Grafico n. 4 prova che ad oggi i valori di scorte di Gasoline negli U.S.A. non solo sono ben più bassi di quelli registrati durante l’estate del 2018 (e si badi bene che andiamo verso la stagione estiva, comunemente nota come driving season, cioè quella durante la quale avviene il maggior consumo di questo carburante per trazione da diporto) ma si assestano a quote addirittura inferiori a quelle della media mobile a 5 anni, dopo essere precipitati a seguito di un violento tonfo (linea arancione) nel corso degli ultimi tre mesi.
Il lettore attento a questo punto avrà probabilmente annusato quale sia la chiave di lettura che abbiamo voluto offrire con questa lunga e noiosa (noiosa perché non indulge su morti, razzi, donne discinte ed assassini di stato[2]) disamina. La semplicistica lettura dei soli dati inerenti alle scorte di petrolio offre infatti al lettore una visione parziale del quadro.
Se è infatti vero che sul momento, o nel brevissimo termine successivo all’orario di pubblicazione dei dati settimanali sulle scorte di petrolio per gli U.S.A. (ore 16.30 italiane del Mercoledì) i prezzi tendono a muoversi al ribasso od al rialzo in risposta rispettivamente a dati di scorte in aumento (o maggior aumento del previsto) o riduzione (o maggior riduzione del previsto), è altrettanto vero che il motore di medio termine delle traiettorie dei prezzi del greggio è inscindibilmente legato alle dinamiche di domanda ed offerta – a loro volta sintetizzate dal dato aggregato sulle scorte – dei prodotti semilavorati e finiti che dal petrolio derivano. Una seria valutazione di carattere fondamentale sul greggio non può in nessun caso prescindere da questo ordine di analisi.
L’approssimarsi della stagione estiva, caratterizzata da una domanda crescente di carburanti – specie quelli per trazione automobilistica come la benzina – in un contesto di sottodimensionamento delle relative scorte rende probabilmente fuorviante ed eccessivamente pessimistica la lettura sulle attese traiettorie del prezzo del petrolio laddove ci si fermasse alla sola analisi delle sue proprie scorte.
[1] https://twitter.com/degiorgiod/status/1069008191894315008?s=20
[2] E’ qui sotteso il triste episodio dell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi brutalmente squartato da un commando di agenti speciali sauditi presso l’ambasciata della monarchia araba in Turchia alla fine del 2018