In questi ultimi giorni il flusso di notizie è particolarmente tortuoso. Stiamo passando dalla minaccia di guerra a missili lanciati dai “non so chi”; dall’acquisizione di Twitter alla questione (SCAM) di FTX nata proprio sul social da parte di CZ (CEO di Binance); dai licenziamenti delle Big Tech al dato sull’inflazione in ribasso a alle conseguenze delle elezioni di midterm
Attenzione a non cadere nel vortice.
Ci eravamo lasciati nell’ultima nostra analisi con la Fed che aveva alzato i tassi di altri 75 pb (cioè il quarto aumento consecutivo di questa portata e il sesto dell’anno) fino a portarli in un nuovo intervallo compreso tra 3.75% e 4.00%. L’attuale Fed Funds Rate è ora al livello più alto dal gennaio 2008.
FED FUNDS RATE (linea rossa) – livello attuale (linea bianca)
Il mercato sta già scontando un ulteriore aumento di 50 pb a dicembre (quindi fino ad area 4.25-4.50%), e poi nel 2023 una possibile pausa seguita da un nuovo ciclo di taglio (e dico taglio) dei tassi. E comunque Powell ha ribadito che “manterremo la rotta fino a lavoro finito“.
Ma cosa potrebbe portare la Banca Centrale americana a smettere di aumentare i tassi e a fissare un nuovo pivot?
Situazione Salari USA (linea blu)
Tre possibili fenomeni. L’economia che si indebolisce ulteriormente, l’inflazione che continua ad abbassarsi e i salari che, superando di nuovo quest’ultima, smettono di crescere.
Proviamo però a cercare altri spunti altrove. E’ interessante, ad esempio, guardare i dati sui viaggi e l’intrattenimento, non solo per vedere se l’influenza e la paura del Covid sono realmente finite, ma anche per valutare la frequenza con cui le persone (vista l’inflazione) continuano a vivere senza privarsi di alcuni piaceri voluttuari. La TSA è il sito ufficiale del governo USA che aggiorna ogni giorno i dati sui viaggi ed altre voci.
Numero di viaggi dal 2019 al 2022 – Percentuale traffico nel 2019 – fonte: calculatedrisk
Questi dati, messi in grafico con una media di 7 giorni del traffico totale, mostrano l’andamento degli ultimi quattro anni: con la linea azzurra il 2019, la linea nera il 2020, con la linea blu il 2021, con la linea rossa il 2022 e la linea tratteggiata è la percentuale settimanale del traffico nel 2019.
I viaggi sono aumentati nell’ultima settimana a 1.889.169. Nello stesso periodo, nel 2020 erano poco più di 600.000 e nel 2021 circa un 1.500.000 mentre nel 2019, che possiamo identificare come l’anno della normalità, erano poco superiori a quelli attuali, 1.900.895.
È interessante osservare la ripresa di questo settore travolto dall’impatto della pandemia prima, dell’inflazione e della guerra dopo. Ciò ci conferma che l’erosione del potere d’acquisto, nel caso dei viaggi, ancora non si è fatta sentire (abbastanza): non c’è stato un ennesimo shock.
Indice maggiori compagnie aeree e low cost
Creando un indice delle maggiori compagnie aeree internazionali e di quelle low cost (europee) con più passeggeri (escludendo però la Cina per via della sua politica zero Covid) possiamo notare come il valore sia crollato nel 2020 a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia (riduzione dell’80% dei voli). Il 2021 invece è stato un anno di alti e bassi, dove si è però vista una netta ripresa rispetto al crollo di marzo 2022, con una performance positiva del 25%.
L’industria aerea rimane comunque ancora sottoposta a pressione importanti, dovute a varie tensioni politiche ed economiche; questo settore dovrebbe quindi essere considerato come investimento a lungo termine. Ci vuole pazienza e disciplina e un grado di rischio appropriato.
Torniamo ora un po’ più indietro alle elezioni americane di medio termine: solitamente hanno sempre avuto un impatto rialzista sui mercati (ed in parte ciò è avvenuto) ma questa volta l’incognita resta ancora la Fed e le sue decisioni sui tassi. Molti ignorano, o comunque non pongono la giusta attenzione all’effetto ritardato che la politica monetaria ha sulla crescita economica e sugli utili.
In termini semplici: mentre la Banca Centrale è intenta, oggi, ad alzare i tassi, ogni aumento impiega circa dai 9 ai 12 mesi per avere un impatto visibile sul sistema economico. Pertanto, gli aumenti dei tassi non si rifletteranno nei dati economici fino alla seconda metà del 2023 e oltre, aggravando il loro effetto soprattutto sul consumatore a causa dell’aumentato costo della vita
L’economia è quindi proiettata verso una recessione più o meno intensa? Quello degli ultimi tempi sarà solo un rally rialzista in un mercato comunque ribassista? Nessuno può saperlo.
Intanto, tuttavia, l’elenco dei settori sopra la media a 200 giorni continua a crescere. Energetico prima, poi finanziario e industriale ed infine assistenza sanitaria e dei materiali. L’importanza della media 200 giorni (soprattutto nel trading) è che se un titolo è al di sopra di essa, probabilmente non è più in una tendenza al ribasso.
Ultimamente, tutti sperano inoltre in un rally di Natale che, solitamente, si verifica nelle settimane che precedono o seguono il 25 dicembre.
Il rendimento degli ultimi 20 anni dello S&P 500 la settimana prima di Natale
Fonte: Investopedia
Ma esiste veramente il rally di Natale? Proviamo con un po’ di fact checking. Il rendimento medio degli ultimi 20 anni dello S&P 500 (nella settimana precedente al 25 dicembre) è stato dello +0.39%. Di queste 20 settimane (una ogni anno), 13 hanno avuto un rendimento positivo, 4 un rendimento negativo e 3 hanno chiuso in parità. Dal 2018 i rendimenti sono andati dal -10.7% al +5.4% nel 2021. L’escursione maggiore in un’unica seduta è stata mediamente dell’1.58%, mentre la perdita media è stata del 3.28%. Nulla di così entusiasmante a dire il vero.
Analizzando però le performance tra il 1950 e il 2020 nell’ultima settimana di dicembre e i primi giorni del nuovo anno, il rally di Natale appare nel 79% dei casi, con un aumento medio dell’S&P 500 del +1.33% (percentuale triplicata rispetto ai dati precedenti). In altre parole, i rally di Natale avvengono più del doppio di quanto ci si aspetterebbe ma i giorni successivi al Natale (rally di fine anno o rally della befana allora?). E il rally più ampio, sorprendentemente, si è verificato tra il 2008 e il 2009, con un rialzo del 7.36%.
Se però cerchiamo il vero attore protagonista del 2022, non possiamo non parlare del dollaro, che la scorsa settimana ha registrato la sua più grande perdita giornaliera dal 2015. Dal grafico possiamo vedere che il breakout fallito a $112 rappresentava un pavimento importante per recuperare i massimi degli anni 2000 e poi la rottura al ribasso dei $110 (rompendo la media 50 giorni) supporto che delineava il trend rialzista (attualmente invertito), ha portato come conseguenza “positiva” il trend rialzista dell’azionario
Dollaro USA (grafico a candele) – RSI (linea viola)
Sarà solo un ritracciamento? In questo caso dovremmo fare attenzione nuovamente all’RSI: una sua lettura al rialzo (oltre i 50 punti) potrebbe significare un nuovo cambio di rotta per il dollaro ed eventuali ribassi per i titoli azionari.
Vi chiederete, perché tutta questa attenzione su una singola valuta?
A differenza di qualsiasi altra valuta, il dollaro guida l’economia globale e di conseguenza i mercati finanziari. E il suo status di riserva mondiale accende i riflettori sulla politica monetaria della Fed che influenza, non solo l’economia USA, ma tutte le economie.
Curva US10Y vs US02Y (linea rossa) – Curva US10Y vs US03M (linea arancione)
Intanto, un segnale pessimista arriva dalle curve US10Y vs US02Y e vs US03M, che fluttuano in territorio negativo (in modo più profondo) dopo il dato del CPI (Consumer Price Index). Se ne deducono aspettative di crescita economica al ribasso nel breve termine (6M – 1Y – 2Y).
Non solo…
Sebbene il GOLD abbia faticato in termini assoluti, ha comunque sovraperformato l’S&P 500 dall’inizio dell’anno. Da un lato le azioni hanno avuto un forte ribasso, dall’altro la parabola rialzista del dollaro ha impedito al metallo prezioso di essere un rifugio sicuro per gli investitori. Sarà ancora così nel prossimo futuro?
GOLD (linea gialla) – Rendimento decennale USA (linea blu)
Nelle ultime 2 settimane l’oro ha avuto un rialzo di circa il 9% avvicinandosi al livello psicologico dei 1800, spartiacque per possibili forti rialzi. Anche ciò preannuncia una recessione? Per giunta, si sta muovendo in maniera inversa al rendimento decennale che dal picco del 4.2% è comunque sceso sotto il 4% (si stanno acquistando obbligazioni). Normalmente quando quest’ultimo sale l’oro va al ribasso, e viceversa.
Fino a che punto l’azionario andrà avanti per la sua strada distaccandosi dall’economia?
Un reale pivot consiste nell’avere una crescita economica solida. Oggi la percentuale di possibilità di tale evento è davvero bassa, vista l’inflazione ancora così alta. E attenzione alle trimestrali Q1- Q2 – Q3 del 2023 perché non è così certo che siano già state scontate.