Gestione attiva o gestione passiva? E’ questo l’eterno dilemma nel mondo del risparmio gestito da almeno 40 anni. E se gli accademici sono più o meno concordi nella risposta (meglio quella passiva nel medio termine), i pratictioners hanno sempre lasciato molto spazio all’interpretazione.
A lanciare, nuovamente, il sasso nello stagno è stata la S&P Dow Jones, in un articolo dall’intrigante titolo “Shooting the messanger”. Beh, la S&P Dow Jones crea degli indici su cui poi vengono creati ETF a gestione passiva; un po’ in conflitto di interesse si potrebbe pensare. Ma si tratta sempre di una fonte autorevole, e sui cui dati e metodi di calcolo non si può certo dubitare.
Facciamo allora qualche considerazione sulla spinosa faccenda.
I fondi indicizzati, che prima degli anni ’80 esistevano a malapena, hanno oggi un ruolo fondamentale nei mercati finanziari moderni.
Il grafico sottostante mostra la crescita degli asset gestiti da prodotti che replicano l’S&P 500, probabilmente l’indice più importante all’interno del mercato azionario mondiale. Si stima che siano arrivati a $7,1 trilioni. Ovviamente questa tendenza non è limitata agli USA e alle azioni, ma all’intero sistema finanziario globale.
AUM dei fondi indicizzati con sottostante lo S&P500
Fino agli anni ’70 i fondi azionari erano gestiti attivamente; l’ingresso della gestione in passiva nel mondo del risparmio gestito può essere considerato uno degli sviluppi più importanti per il settore finanziario.
Ma perché è avvenuto questo cambiamento?
Con la crescita dei mercati, e della tecnologia, si sono sviluppate metodologie statistiche più appropriate per misurare le performance dei prodotti di risparmio gestito. Metriche più precise hanno così iniziato a mostrare che i gestori attivi non riescono a produrre rendimenti relativi positivi; l’obiettivo dichiarato di sovraperformare le medie di mercato non viene raggiunto in via sistematica. Battere il mercato è molto complicato.
Come mostra il grafico sottostante, la maggior parte dei fondi attivi americani hanno sottoperformato i benchmark di riferimento (dati al 30 giugno 2022) negli ultimi anni. Ed in particolare, più si guarda ad un orizzonte temporale maggiore, peggio sembra andare la gestione attiva. Solo nel breve (1 anno) sembrano esserci buone probabilità di ottenere rendimenti relativi positivi. E anche se consideriamo le performance dei fondi al lordo delle fee le cose non migliorano di molto
Fondi attivi che hanno sottoperformato il benchmark
Ma perché non si riesce a battere i mercati?
Vi sono diverse ragioni che possono essere addotte come risposta alla domanda. Ma una delle difficoltà maggiori può essere individuata nella asimmetria dei rendimenti azionari.
Guardiamo il grafico sottostante. Mostra la distribuzione dei rendimenti delle azioni che hanno formato lo S&P 500 negli ultimi 20 anni (975). Il rendimento mediano è stato dell’88%, ben inferiore alla media aritmetica del 358%. Dal 2002 al 2021 solo 253 azioni su 975 hanno fatto più della media; la probabilità che, scegliendo una azione a caso, questa possa battere il mercato è quindi inferiore al 50% (così come avverrebbe invece se i rendimenti fossero distribuiti in maniera normale). In altri termini, quando poche azioni sovraperformano, la gestione attiva diventa più difficile.
Rendimenti medi delle azioni S&P500 (dicembre 2001-dicembre 2021)
Ciò che realmente dovrebbe fare la differenza, nella gestione attiva, è saper analizzare se il valore di un asset sia realmente riflesso nei prezzi del mercato (stock picking); ma sapendo che nei prossimi anni (statisticamente) la maggior parte degli asset è destinata a sottoperformare il rendimento medio dei mercati pochi riescono ad ottenere risultati interessati.
Guardiamo ora un altro grafico: la composizione dell’industria degli ETF
Come illustra il grafico a torta, nelle prime 3 posizioni ci sono Ishares, Vanguard e SSGA, grandi nomi e ben consolidati. C’è da sottolineare, peraltro, che Vanguard e BlackRock (Ishares) detengono azioni nel 99% delle società quotate dell’S&P500. Vanguard è il principale detentore di azioni nelle società del principale indice americano.
Vista la crescita delle masse dei fondi a gestione passiva, contrapposta a non pochi deflussi avvenuti invece nel mondo dei fondi attivi, se ne potrebbe dedurre che l’approccio passivo sia ormai considerato il migliore.
Ma è proprio così?
I due stili di gestione, come spesso erroneamente si pensa, non sono in realtà sempre e comunque in conflitto, ma possono convivere e “collaborare” a produrre performance positive.
I fondi passivi puntano su velocità, basso costo ed un portafoglio ben diversificato che replica un indice. I fondi attivi preferiscono selezionare le azioni migliori per sovraperformare il loro benchmark.
Perché allora non pensare ad investire in maniera attiva (possibilmente a costi contenuti) e passiva insieme? Durante un mercato ribassista i fondi attivi potrebbero/dovrebbero gestire il momento e destinare, in maniera tempestiva, parte del portafoglio alla componente difensiva, ruotando gli investimenti verso società con beta minore. I fondi passivi, invece, sono colpiti dal ribasso senza poter controbattere; se tenuti nel lungo termine, con disciplina, producono buone performance a basso costo.
Guardiamo però il grafico sottostante, relativo all’andamento di alcuni principali indici azionari dai loro massimi. Con il senno del poi, è accettabile affermare che i mercati ribassisti sono solo temporanei (i mercati nel lungo termine tendono a salire). Ma i ribassi possono fare molto male nel durante.
Andamento dei principali indici azionari da inizio anno