Nel 1966 il Professor Paul Samuelson (poi premio Nobel per l’Economia nel 1970) scherzando affermò: “Il mercato azionario ha predetto 9 delle ultime 5 recessioni”. Egli si riferiva infatti a come i timori di recessione da parte degli operatori avessero in molti casi anticipato scenari economici rivelatisi poi meno negativi del previsto.
Sarà così anche in questa occasione? Con gli investitori eccessivamente preoccupati di un scenario economico destinato poi a non degenerare pesantemente come previsto?
Intendiamoci: il manifestarsi di una recessione negli Usa, nei prossimi mesi, è anticipato da alcuni indicatori leading che nel tempo si sono rivelati molto affidabili, come il Conference Board Leading Indicator[1] il quale, in calo ormai da mesi, segnala un’imminente verificarsi di un fenomeno recessivo.
Tuttavia, sull’entità della stessa recessione la discussione è aperta. Il CEO di JPMorgan Jamie Dimon, nel corso di una conferenza tenuta nel Maggio dello scorso anno, aveva parlato di un uragano in arrivo sull’economia americana. Recentemente ha però rivisto la sua opinione dichiarando che non avrebbe dovuto usare tale termine (hurricane), e che ciò che intendeva dire era che le nubi che si stavano addensando sull’economia avrebbero potuto mitigarsi o degenerare in uragano. E difatti, la banca americana da lui guidata prevede attualmente il manifestarsi di un recessione moderata negli Usa.
In generale, il termine hard landing sembra scomparso dal vocabolario delle principali case d’investimento; ciò non riguarda solamente gli Usa ma anche l’Eurozona, sulla quale, fino a pochi mesi fa, si addensavano nubi temporalesche (vedi figura)
Fonte: Osservatorio Conti Pubblici
Prevedere la futura evoluzione dell’economia a stelle e strisce resta ad ogni modo un bel grattacapo per gli analisti, alle prese con diversi elementi di preoccupazione quali l’andamento del settore immobiliare (che notoriamente funge da traino per il resto dell’economia) in recessione ormai da mesi, e vari indicatori leading poco rassicuranti: ad esempio gli indici PMI del settore manifatturiero e del settore dei servizi si trovano al di sotto della soglia dei 50 punti, livello che indica una contrazione dell’attività economica.
D’altra parte, un mercato del lavoro ancora molto sostenuto e caratterizzato ad un elevato numero di posizioni lavorative aperte (job openings) potrebbe far pensare che, se recessione fosse, essa non darebbe origine ad un aumento del tasso disoccupazione e ad una conseguente contrazione della domanda tali da indurre una brusca frenata dell’economia.
La situazione del mercato del lavoro
E proprio dalla situazione relativa al mercato del lavoro partiamo per cercare di identificare alcuni elementi che potrebbero far propendere per un atterraggio “morbido” da parte dell’economia Usa ovvero per il cosiddetto soft landing.
Il grafico sottostante evidenzia due statistiche tratte da altrettante indagini relative al mercato del lavoro e imprenditoriale Usa: la NFIB (National Federation of Indipendent business) Small Business Survey e il JOLTS report[2].
Tali statistiche, che generalmente mostrano analogo andamento, evidenziano il numero di posizioni aperte lavorative caratterizzante l’offerta di lavoro da parte delle imprese americane. E’ impressionante notare come il 45% delle piccole imprese Usa presenti posizioni lavorative aperte alla vigilia di una tanto anticipata recessione. Anche nel confronto storico tale dato si colloca su valori molto elevati, se pur in calo rispetto al picco raggiunto nel corso del 2022.
Fonte: Yardeni Research
Se da una parte le aziende Usa sono attivamente alla ricerca di forza lavoro, guardando all’offerta di lavoro da parte dei lavoratori americani notiamo come il numero delle persone uscite dal mercato del lavoro, schizzato verso l’alto nel corso della pandemia e successivamente parzialmente rientrato, presenti ancora livelli che si collocano al di sopra del trend pre-pandemico.
In altri termini, le persone uscite dal mercato del lavoro nel corso della pandemia, per i più svariati motivi (prepensionamento, motivi di salute, assistenza ai propri cari o semplicemente frustrazione per la difficoltà a reperire un impiego a seguito di un licenziamento) sono solo parzialmente rientrate nello stesso. Risultato: all’appello mancano 2,2 milioni di lavoratori rispetto a ciò che avremmo potuto aspettarci in base al trend pre-pandemico, evidenziato nel grafico sottostante dalla linea rossa[3].
Fonte: Sait Louis Fed
E’ abbastanza intuitivo pensare a come questo squilibrio fra un’offerta di lavoro rigida e una forte domanda dello stesso da parte delle aziende stia spingendo al rialzo i salari e gli stipendi dei lavoratori americani, alimentando l’inflazione e dando benzina alla Fed nell’implementazione di politiche monetarie restrittive.
Tuttavia, ciò porta anche a pensare che tali politiche, raffreddando la domanda di beni e servizi espressa dal sistema, dovrebbero avere per prima cosa l’effetto di produrre un riequilibrio fra domanda e offerta di lavoro, diminuendo il numero di job opening e frenando, in questo modo, l’aumento delle retribuzioni. Solo in un secondo momento, se protratte nel tempo, esse porterebbero ad un aumento significativo del tasso di disoccupazione, provocando una brusca contrazione della capacità di spesa dei residenti americani.
Come a dire che se l’inflazione da salari scendesse abbastanza rapidamente, la Fed potrebbe togliere il piede dall’acceleratore evitando l’avvitarsi dell’economia in una pesante spirale recessiva.
Cosa possiamo dire, quindi, in merito alla dinamica della retribuzioni dei lavoratori americani? Si sta verificando l’auspicato raffreddamento dell’inflazione da salari? La risposta è ni.
Il grafico sottostante evidenzia un stabilizzazione più che un veloce raffreddamento della variazione anno su anno delle retribuzioni dei lavoratori Usa (ad esclusione del settore leisure and ospitality che, tuttavia, aveva raggiunto un picco ben più alto rispetto agli altri settori). Quindi bene, ma non benissimo. La situazione del mercato del lavoro va quindi attentamente monitorata, anche se l’elevato numero di job openings porterebbe a non propendere per futuri forti aumenti del tasso di disoccupazione[4].
Fonte: Adp Report Usa
Disinflazione e reddito reale disponibile
Un altro fattore da considerare è l’evoluzione del reddito reale disponibile dei residenti Usa.
Nel grafico seguente vengono riportate le variazioni di tale grandezza e del tasso d’inflazione (esemplificato dalla variazione dell’indice CPI) su base annua.
Fonte: Saint Louis Fed
Come facile notare, queste due misure macroeconomiche si muovono in direzione opposta (ovvero, se diminuisce il tasso d’inflazione, aumenta il reddito reale disponibile).
Il raffreddamento dell’inflazione Usa, il cui picco sembra essere ormai stato raggiunto, ha quindi avuto un effetto positivo sul reddito disponibile dei residenti Usa, sostenendone la capacità di spesa.
Anche in questo caso, se la Fed non sarà costretta a prolungati straordinari (facendo aumentare in modo consistente la disoccupazione e diminuendo per questa via, il reddito reale disponibile), lo scenario potrebbe volgere al meglio.
Siamo di fronte ad una rolling recession?
Il terzo e ultimo fattore che andiamo a considerare riguarda la contemporanea presenza all’interno dell’economia Usa di settori in recessione (ad esempio il settore immobiliare) ed altri che stanno invece sperimentando una fase di crescita molto sostenuta.
Non a caso, alcuni analisti descrivono la situazione dell’economia Usa usando il termine rolling recession, intendendosi con tale termine un contesto macroeconomico nel quale la recessione non affligge contemporaneamente tutti i settori dell’economia, bensì ne provoca la contrazione in momenti diversi.
In tale contesto macroeconomico, il recupero di un settore coincide con il propagarsi dello stato recessivo ad un altro comparto dell’economia, senza tuttavia che ciò determini quella prolungata, diffusa e profonda caduta del Pil su cui si traccia il manifestarsi di periodi di recessione.
In effetti il contesto americano potrebbe ben adattarsi a questo tipo di ipotesi. Allo stato recessivo del settore immobiliare, cui è seguita la contrazione della domanda di beni di consumo, in particolare durevoli, e successivamente la debolezza del comparto Tech, si contrappone un settore dei servizi tonico, guidato soprattutto dai comparti che maggiormente avevano risentito dei blocchi alla mobilità degli ultimi anni.
L’ultimo rapporto sul lavoro Usa sembrerebbe ben fotografare questo tipo di situazione, con gli occupati relativi al settore dei beni in calo e quelli appartenenti al settore dei servizi ancora in crescita.
Fonte: Adp report
Ora, se quest’ultimo settore non segnasse il passo in modo consistente, o quantomeno ciò avvenisse in concomitanza con il recupero di altri settori dall’attuale stato di profonda debolezza (esempio il settore immobiliare), si prospetterebbero le condizioni per un “atterraggio morbido”. Il buon dato sulle vendite al dettaglio (+3% m/m), uscito in questi giorni, sembrerebbe in effetti supportare questo tipo di visione.
Conclusioni
Cosa possiamo quindi attenderci dai mercati finanziari nel caso in cui si verificassero le condizioni per un atterraggio “morbido” dell’economia Usa?
A mio modo di vedere, la risposta va articolata prendendo in considerazione due possibili scenari:
- L’economia Usa non cade in recessione: tale situazione coincide con la rolling recession appena In questo caso assisteremmo ad una diminuzione, anche marcata, del tasso di crescita dell’economia, ma non ad una contrazione della stessa tale da determinarne una recessione. In questo scenario potremmo attenderci, nei prossimi mesi, mercati finanziari senza una direzione precisa, in attesa di qualche catalizzatore (Fed o revisioni al rialzo degli utili aziendali) tale da innescarne un nuovo movimento al rialzo. Il fatto che le quotazioni dell’S&P 500 abbiano violato al rialzo la media mobile a 200 gg (spartiacque tecnico rilevante nell’individuare le tendenze di medio termine dei corsi azionari), potrebbe suggerire che questo è lo scenario prezzato attualmente dal mercato.
- L’economia Usa manifesta una moderata recessione: questo è lo scenario che, a mio modo di vedere, il mercato ha prezzato nel corso dell’anno appena terminato. Probabilità elevate di hard landing avrebbero infatti dato origine a discese anche più pesanti degli indici azionari, come storicamente avvenuto (esempio: inizio anni 70’). Ritengo che in tale scenario, assisteremmo a nuovi ribassi degli indici azionari che, tuttavia, nell’ambito di un portafoglio bilanciato, potrebbero essere compensati da una buona performance dei titoli di stato (in primis Usa), rispetto a quanto avvenuto l’anno scorso. Se infatti i mercati finanziari prezzano generalmente in anticipo lo stato dell’economia, in periodi di recessione (identificati, nel grafico sottostante dagli intervalli compresi fra le lettere P e T), essi hanno storicamente presentato quotazioni in discesa.
Fonte: Yardeni Research
Reference Shelf
-Why a recession would likely be mild
https://www.goldmansachs.com/insights/pages/why-a-recession-would-likely-be-mild.html
-L’indice Jolts. Job Openings and Labor Turnover Survey
https://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/jolts-195.htm
[1] Il Conference Board Leading Indicator è un indicatore leading composito molto utilizzato da operatori ed istituzioni per prevedere il futuro andamento dell’economia Usa. Storicamente, infatti, i punti di inversione di tale indicatore hanno anticipato il verificarsi di picchi e di punti di minimo dell’economia stessa. Esso è calcolato su 10 componenti, il cui peso all’interno dell’indice è inversamente correlato alla volatilità del componente stesso, in modo tale che i vari elementi di cui l’indice è composto contribuiscano in ugual misura a determinarne la volatilità complessiva. Va precisato che il Conference Board elabora questo indice anche per altre aree geografiche.
[2] Il Jolt Report (Job Openings and Labor Turnover Survey) è un’indagine che fornisce indicazioni sui volumi delle offerte di lavoro, sulle assunzioni e sul turnover, misurando l’eccesso di offerta di lavoro (posti vacanti) per un determinato settore e in un determinato periodo. L’indagine offre una valida panoramica dell’andamento del mercato del lavoro degli Stati Uniti. La creazione di occupazione è uno dei più importanti indicatori in grado di anticipare le tendenze dell’attività economica complessiva. Il dato viene pubblicato mensilmente dal Bureau of Labor Statistics (BLS), un’agenzia governativa che dipende dal Dipartimento del Lavoro e che raccoglie ed elabora dati statistici sul lavoro. Le indicazioni ricavabili da questo sondaggio aiutano nell’analisi dei cicli economici specifici di ogni settore, riflettendo ogni rapido cambiamento delle condizioni economiche nel mercato del lavoro USA. Inoltre offrono al governo americano un sostanziale aiuto per la formulazione di una corretta politica economica: il numero di offerte di lavoro aumenta durante le fasi di espansione del ciclo economico e diminuisce nelle fasi di recessione.
[3] Fra l’altro, la diminuzione del tasso di partecipazione al mercato del lavoro da parte dei cittadini americani costituisce un megatrend di lungo termine. Esso non trova quindi origine nel contesto pandemico, che ne ha comunque accentuato gli effetti, bensì in fattori strutturali inerenti dinamiche di carattere demografico. Il ritiro dal mercato del lavoro da parte dei cosiddetti Baby Boomers (ovvero i nati fra il 1946 e il 1964) non è infatti stato compensato, nel tempo, da un’uguale crescita della forza lavoro attiva sul mercato, essenzialmente a causa del basso tasso di crescita della popolazione Usa (fenomeno questo comune a gran parte del mondo sviluppato).
[4] Va precisato che la dinamica delle retribuzioni è, fra i fattori che contribuiscono a determinare le dinamiche inflattive, quello che attualmente la Fed attenziona maggiormente. Altri fattori quali i prezzi dei beni di consumo, soprattutto durevoli, e il costo degli affitti, evidenziano infatti un andamento discendente. Ricordiamo che il costo dei nuovi affitti (come detto, attualmente in discesa) viene inglobato con un certo ritardo negli indici dei prezzi al consumo.