E’ una domanda che tutti dovrebbero porsi, ma che in Italia siamo ancora troppo abituati ad eludere pensando che, tanto, c’è lo Stato.
Agli operatori del settore è però ben noto che il tasso di sostituzione delle pensioni pubbliche dei loro clienti, ossia il rapporto tra l’assegno pensionistico e l’ultima retribuzione, sarà via via più basso.
Ed allora, costruirsi per tempo una pensione integrativa diventa un must per la maggioranza degli italiani. Ma quanti soldi servono per potere andare in pensione confortevolmente?
Beh, in realtà non esiste una risposta definitiva e valida per tutti. Molto dipende dal tenore di vita a cui un individuo è abituato. Più alto tale tenore, più alta dovrà essere la somma da trasformare in rendita per integrare la pensione pubblica.
E’ indubbio tuttavia che sul punto vi sono non poche distorsioni e false illusioni. Se ne stanno accorgendo coloro che giunti all’età fatidica chiedono al loro consulente quanto riceveranno di rendita dal capitale accumulato in fondi pensioni e PIP.
Ne emerge infatti che per avere una buona rendita, vitalizia, di soldi ne occorrono veramente tanti!
Eh sì, perchè oltre al tasso di sostituzione, un altro aspetto critico è il tasso di trasformazione in rendita, cioè quanta rendita mensile genera un capitale accumulato nel tempo. Sul calcolo attuariale di tale somma incide ovviamente la speranza di vita delle persone: più aumenta la longevità più il tasso di trasformazione si abbassa.
Ma allora quanto ci vuole per andare in pensione tranquilli?
Ha provato a dare una risposta Bloomberg attraverso un sondaggio a livello globale: la risposta media è 3 milioni di dollari.

Ovviamente le risposte variano da paese a paese. In aree geografiche dove il costo della vita è minore ci si accontenta anche di molto meno.
Ora, sebbene il sondaggio sia basato su un numero di rispondenti non troppo significativo, rimane il fatto che la cifra media indicata appare indubbiamente alta. Ma chi ce li ha 3 milioni di dollari al momento della pensione? Ben pochi, sia in Italia sia in altri paesi.
Siamo allora destinati, in gran parte, a vivere una pensione di stenti e rinunce? Non è detto. Come avevo avuto già modo di scrivere tempo fa in questo articolo, alcuni accorgimenti potrebbero aiutare a risolvere, almeno in parte, il problema.
Ed inoltre, non è detto che la rendita debba essere per forza di cose vitalizia. Soluzioni di decumulo adeguatamente calibrate potrebbero fare al caso, rendendo necessario accumulare una somma più contenuta.
Ad ogni modo, è indubbio che il problema esiste e deve essere affrontato correttamente dai consulenti e dai loro clienti. In particolare, occorre che siano chiari fin da subito i termini della questione, ovvero il cliente deve essere conscio di quanto potenzialmente potrà ottenere in termini di rendita alla fine del suo piano di accumulo pensionistico.
E, a mio avviso, non guasterebbe anche una rivisitazione dello schema giuridico-fiscale dei prodotti in questione. Tassazione zero (sia prima che dopo) ma con obbligo di trasformazione totale in rendita potrebbe essere un’ipotesi.
Ditemi cosa ne pensate.