Sulla stampa specializzata e sui social sono già apparsi diversi commenti in merito alla delega per la riforma della tassazione delle attività finanziare. E più di qualcuno qualche gesto apotropaico ha iniziato a farlo.
Che finalmente sia la volta buona? Che finalmente sparisca la diabolica distinzione tra redditi diversi e redditi di capitale introdotta dalla famigerata riforma Visco?
Sembrebbe di sì, anche se, come noto, il diavolo sta nei dettagli. Finchè non avremo il quadro definitivo della riforma (se ci sarà) è difficile fare previsioni. Anche perchè, a parte i redditi diversi e di capitale, bisognerà vedere come saranno rimodellati i tre regimi della tassazione (dichiarativo, amministrato, gestito) che, comunque, dovrebbero permare, e altri “ammenicoli” quali la tassazione dei prodotti pensionistici.
Ad ogni modo, mi risulta divertente provare ad immaginare lo scenario che si avrebbe nel caso in cui i redditi derivanti da attività finanziarie fossero considerati tutti alla stessa stregua, e quindi compensabili senza distorsioni. Che conseguenze ne deriverebbero?
Innanzitutto, una forte spinta per i prodotti di risparmio gestito, i più penalizzati dall’attuale regolamentazione. Non ci sarebbe più bisogno di inserirli in wrapper assicurativi o all’interno delle gestioni patrimoniali per rendere possibile la compensazione redditi diversi/redditi da capitale.
Non che queste soluzioni sparirebbero, in quanto la loro ragion d’essere potrebbe essere comunque ricondotta ad altri elementi, ma fiscalmente si avrebbe un minor vantaggio rispetto ad oggi.
In secondo luogo, la riforma potrebbe riportare in auge la “cedola”, ovvero il “dividendo”. Compensabili direttamente con le minus, questi flussi reddituali avrebbero un maggior appeal da un punto di vista fiscale. Ovviamente, rimarrebbe lo svantaggio finanziario: cioè, se prendo la cedola e non la reinvesto non sfrutto l’effetto capitalizzazione composta.
Di conseguenza, potrebbero essere meno apprezzabili i certificates, ovvero le cedole derivanti dai certificates che, come noto, sono spesso utilizzate per compensare le minus.
In questo nuovo scenario, quindi, i fondi a distribuzione dei proventi, ovvero i semplici titoli obbligazionari, avrebbero minori svantaggi e potrebbero condurre ad una revisione dell’asset allocation del cliente (ovviamente rimanendo in linea con i suoi obiettivi e con il suo profilo di rischio). Ad esempio, sarebbe più interessante partire da una sostanziosa quota obbligazionaria e utilizzare le cedole per alimentare un pac sull’azionario.
Un altro aspetto attiene ai regimi fiscali. Non sappiamo ancora come verranno ritarati, ma potrebbe anche essere che il regime dichiarativo, oggi ben poco (e in alcuni casi ingiustamente) utilizzato, possa divenire una soluzione efficiente per alcuni clienti multibancarizzati.
Infine, l’innovazione di prodotto. Il mercato finanziario è sempre stato celere nell’adeguarsi ai cambiamenti normativi, trovando sempre le soluzioni più congeniali per gli investitori nel rispetto del perimetro posto dal legislatore. Anche in questo caso, è prevedibile che la riforma fiscale porti a ripensare alcune soluzioni sia di risparmio gestito, sia di tipo assicurativo o semplicemente di amministrato.
Complessivamente, comunque, la riforma dovrebbe favorire gli investitori finali, pur rimanendo (almeno sembra), il limite di compensazione nei 4 anni successivi al sorgere della minusvalenza. Su questo punto si dovrà fare un’altra “battaglia.
Fatemi sapere cosa ne pensate.