Che la finanza sostenibile sia uno dei più potenti trend nel mondo del risparmio gestito è palese.

Non passa giorno che sui social, sulla stampa specializzata on line, e nelle riunioni o convention del settore si senta parlare di SRI, ESG, green bonds, climate change, investimenti tematici e quant’altro abbia a che fare con l’obiettivo di spingere, in maniera più o meno gentile, gli investitori a ripensare in maniera green (e sociale) le loro logiche di scelta dei prodotti.

Fine alquanto lodevole, e ci mancherebbe! Con una buona dose di marketing e di story telling (aggiungerei) comunque più che lecita visto appunto la finalità.

Ma a parte l’effetto scenico, per meglio analizzare il fenomeno nelle sue diverse sfaccettature si dovrebbe ragionare di più sui dati, così da capire effettivamente a che punto siamo del percorso evolutivo.

Per quanto attiene in particolare ai fondi comuni a caratterizzazione sostenibile, ci vengono in soccorso le periodiche analisi effettuate da Morningstar, autorevole fonte di informazione quando si parla di risparmio gestito.

Vediamo allora cosa possiamo ricavarne.

Innanzitutto prendiamo a riferimento il report trimestrale dal titolo “Global Sustainable Fund Flows: Q3 2020 in Review”. Da questa analisi emerge immediatamente il dominio europeo sia in termini di nuovi flussi, sia di asset gestiti, sia di numero di fondi. La tabella sottostante, tratta dallo stesso report, evidenzia come alla fine del terzo trimestre 2020 l’82% degli asset in gestione (più di un trillion di dollari) sia riferibile a fondi sostenibili domiciliati nel vecchio continente. Il numero dei fondi europei (2.898) supera di gran lunga quello presente in altre aree: 367 negli USA, 151 in Asia e 128 in Giappone.

Nota:

The global sustainable fund universe encompasses open-end funds and exchange-traded funds globally that, by prospectus, fact sheet, or other available resources, claim to have a sustainability objective and/or use binding ESG criteria for their investment selection. The sustainable funds group does not contain funds that employ only limited exclusionary screens such as controversial weapons, tobacco, and thermal coal, nor does it contain the growing number of funds that now formally integrate ESG considerations in a nondeterminative way for their investment selection. Money market funds, feeder funds, and funds of funds are excluded.

Il dominio europeo perdura peraltro ormai da anni. I dati sui flussi e sugli asset in gestione rappresentati nelle due successive figure ben evidenziano il fenomeno

Andiamo allora a vedere nel dettaglio quanto succede in Europa.

Prendiamo allora un altro report di Morningstar dal titolo “European Sustainable Fund Flows: Q3 2020 in Review”. Qui troviamo indicato che i flussi del terzo trimestre 2020 sono stati di 52,6 billion di euro, un pò di meno dei 55,5 billion registrati nel secondo quarto dell’anno appena trascorso. E comunque si tratta del 40% dei flussi in ingresso in tutti i fondi europei.

La raccolta dei fondi sostenibili continua ad essere spinta dall’interesse degli investitori verso le tematiche ESG, che sembra essersi intensificato con lo scoppio della pandemia. A livello di prodotti, nel solo terzo trimestre sono stati lanciati 105 nuovi fondi; nei primi 9 mesi dell’anno le matricole arrivano a 333.

Inoltre, gli asset manager continuano a “rinverdire” (greening) la loro offerta convertendo prodotti tradizionali in fondi sostenibili e, spesso, rinominandoli (si veda oltre). La figura sottostante mostra peraltro come si stia pian piano incrementando la raccolta dei fondi sostenibili a gestione passiva, fenomeno ancor più evidente (sebbene su dimensioni quantitative minori) negli USA.

Andando ancor più nello specifico delle categorie di fondi, la figura sottostante mostra come siano i fondi azionari sostenibili a tirare il trend. Per questi fondi, infatti, la raccolta è nettamente superiore rispetto a quella dei fondi azionari convenzionali. Situazione inversa nella categoria Fixed Income: qui la finanza sostenibile non sembra ancora aver fatto breccia.

Il fenomeno appena descritto, sia per i fondi azionari sia per I fondi obbligazionari, è ancor più evidente se si considera il periodo Q4 2017- Q3 2020 (si vedano figure sottostante).

Sempre in termini di raccolta, il mercato dei fondi sostenibili mostra peraltro segni inequivoabili di maturità; nel senso che vi sono sicuramente strumenti che vedono trimestre per trimestre incrementare le loro masse, ma anche strumenti con segni di raccolta negativa. Come a dire: si entra e si esce, ovvero va bene la finanza sostenibile ma poi vi saranno prodotti più o meno performanti.

I nomi delle case di investimento che più raccolgono sono essenzialmente quelli noti. In prima posizione nel terzo trimestre, nettamente, BlackRock seguita da Amundi e UBS.

Il numero dei fondi, come detto, è in continua crescita: circa 100 a trimestre negli ultimi due anni, come evidenzia la figura sottostante.

Ci sono poi i cosiddetti fondi “rebranded”. Sebbene numericamente inferiori a quelli di nuova fabbricazione, il loro peso percentuale è in netta crescita. Interessante peraltro osservare quali siano i termini comunemente aggiunti al nome del fondo per rimarchiarlo: ESG, sustainable, ISR, climate ecc… (vedi figure)

Fino ad ora Morningstar ha contato 648 fondi convenzionali che sono stati convertiti in prodotti a strategia sostenibile, e di questi 534 hanno cambiato nome. Questi fondi contano oggi per il 22% e il 18% rispettivamente dell’universo dei fondi sostenibili

Ovviamente si potrebbe qui obiettare che, forse, un pò di greenwashing in queste ritinteggiature ci sia. Morningstar ci rassicura però al riguardo, osservando che i fondi ribrendizzati hanno comunque rating sostenibili (i globi di Morningstar) elevati.

Per quanto attiene infine alle masse gestite, la crescita negli ultimi anni – ad eccezione del primo periodo di crisi pandemica – è evidente: praticamente più di 400 billion in pochi anni. La gestione passiva è in aumento ma quella attiva la fa ancora da padrona.

Quanto è ancora lunga la strada?

La finanza sostenibile corre veloce, specie nel settore azionario. Ed è opinione diffusa che in pochi anni tutto sarà ESG.

Ma di strada, in realtà, ce n’è ancora tanta da fare. La figura sottostante (riferità alla categoria azionario) è la rappresentazione plastica di quanto le masse gestite da fondi convenzionali siano ancora prevalenti rispetto a quelle sottostanti ai fondi ESG.

 

L’intensa produzione legislativa che sta prendendo corpo a livello europeo – si pensi agli obblighi informativi che a breve saranno applicati alle case di investimento [1]– fa comunque ritenere che un ulteriore acellerazione sarà impressa nell’anno corrente e nei successivi anni.

 

[1] I fondi europei saranno divisi in 3 categorie: quelli Sustainable (article 9 funds, so called after the regulation that defines them as those investing in activities contributing to environmental objectives according to the proposed EU regulation on taxonomy); altri fondi ESG (Article 8 funds, a catchall category of financial products with different environmental or social ambitions that do not qualify as sustainable investments); e poi tutti gli altri non sostenibili.