Il reato di fabbricazione clandestina di alcole e bevande alcoliche rientra nei cosiddetti reati finanziari, ossia condotte che costituiscono un ampio spettro di fenomeni criminosi che colpiscono in modo diretto o indiretto l’economia e, quindi, la finanza pubblica e privata. In altre parole, illeciti che avvengono in un contesto di produzione di beni e servizi.
A prima vista, la fabbricazione clandestina di alcole sembrerebbe un’ipotesi criminosa non molto diffusa o detto diversamente “d’altri tempi”: l’immagine che viene subito alla mente è quella di una cantina impolverata o di una baita in montagna, al cui interno vengono messi in funzione distillatori ed alambicchi in rame. Eppure, leggendo i quotidiani, ci si accorge come il fenomeno sia invece ancora abbastanza diffuso.
La prima disposizione su cui porre l’attenzione è contenuta nell’art. 27 del decreto legislativo 504/95 (Testo Unico Accise) il quale prevede al comma 1) che sono sottoposti ad accisa la birra, il vino, le bevande fermentate diverse dal vino e dalla birra, i prodotti alcolici intermedi e l’alcole etilico.
Il comma 2) del medesimo articolo statuisce che i prodotti di cui al comma 1, fatto salvo quanto stabilito dall’art.5, comma 1, e dall’art.38, comma 2, sono ottenuti in impianti di lavorazione gestiti in regime di deposito fiscale. Può essere autorizzata la produzione in impianti diversi dai depositi fiscali sempreché vengano utilizzati prodotti ad imposta assolta, e l’accisa complessiva pagata sui componenti non sia inferiore a quella dovuta sul prodotto derivante dalla loro miscela. La preparazione, da parte di un privato, di prodotti alcolici, destinati all’uso esclusivo dello stesso privato, dei suoi familiari e dei suoi ospiti, con impiego di alcole ad imposta assolta, non è soggetta ad autorizzazione a condizione che i prodotti ottenuti non formino oggetto di alcuna attività di vendita.
Per entrare nel concreto, e per meglio comprendere la portata della sopra citata disposizione è bene ricordare che:
a) l’accisa è un’imposta indiretta a carattere specifico ossia una tassa -corrisposta alla fonte cioè dal produttore o dal venditore- che si applica su alcune merci al momento della produzione o scambio.
b) per impianto gestito in regime di deposito fiscale si intende un luogo/struttura ove si fabbricano e trasformano prodotti sottoposti ad accisa “in regime sospensivo”, ovvero stabilimenti dove nasce l’obbligazione tributaria che diventa esigibile con l’immissione dei prodotti al consumo. L’istituzione del regime di deposito fiscale avviene, previa richiesta di un’autorizzazione all’amministrazione finanziaria competente, con il rilascio del codice di accisa e del verbale di concessione della licenza.
c) il titolare dell’impianto autorizzato, oltre a dover corrispondere l’accisa e seguire specifiche prescrizioni, deve presentare i prodotti ad ogni richiesta ed a sottoporsi a controlli o accertamenti.
d) gli accertamenti – degli apparecchi e attrezzature, dei serbatoi e contenitori, delle materie prime, dei prodotti semilavorati e finiti- da parte dell’Autorità competente sono finalizzati sia alla tutela del consumatore del prodotto sia alla verifica del rispetto della normativa fiscale.
Il T.U. citato, dopo aver definito le regole per lo svolgimento dell’attività di fabbricazione di bevande alcoliche, detta dall’art. 40 e ss. alcune disposizioni riguardanti i comportamenti vietati e penalmente sanzionati. In particolare, ai fini della presente analisi, osserviamo l’art. 41 (FABBRICAZIONE CLANDESTINA DI ALCOLE E BEVANDE ALCOLICHE) che prevede tre diverse condotte sanzionate: un illecito penale e due illeciti amministrativi.
L’illecito penale, previsto dal comma 1), si ha quando l’autore fabbrica alcole o bevande alcoliche clandestinamente, vale a dire in locali o con apparecchi non previamente denunciati o verificati, o costruiti od alterati in modo che il prodotto possa essere sottratto all’accertamento.
Dal punto di vista probatorio, la fabbricazione clandestina è dimostrata anche dalla sola presenza in uno stesso locale, o in locali attigui, di alcune delle materie prime occorrenti per la preparazione dei prodotti e degli apparecchi necessari per tale preparazione o di parte di essi, prima che la fabbrica e gli apparecchi siano stati denunciati all’Ufficio dell’Agenzia delle dogane e da esso verificati.
La pena prevista è della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa dal doppio al decuplo dell’imposta evasa, non inferiore in ogni caso a euro 7.746.
Quindi, la presente fattispecie si perfeziona quando sono rinvenute le materie prime unitamente agli apparecchi; invece, nell’ipotesi di sola presenza degli apparecchi da utilizzare per la lavorazione è prevista, come vedremo oltre, esclusivamente una sanzione amministrativa.
Quanto all’elemento soggettivo, si ricorda brevemente che il delitto è punibile a titolo di dolo generico ossia per effetto della mera coscienza e volontà (dell’autore) di fabbricare clandestinamente alcole o bevande alcoliche; è irrilevante invece la volontà o la decisione di evadere il pagamento dell’accisa dovuta.
La norma punisce la fabbricazione clandestina ovunque essa sia svolta, sia con modalità industriale e a scopo di lucro che privatamente.
Lo scopo perseguito dal Legislatore è duplice: da una parte tutelare la salute dei cittadini da una fabbricazione non controllata e perciò potenzialmente causa di bevande alcoliche caratterizzate da dannose impurità – es. glicolene etilenico, acetone, metanolo- e da odori anomali; dall’altra, tutelare le aziende regolari che corrispondono allo Stato l’accisa sul prodotto messo in commercio.
Per fare un esempio pratico, al fine di comprendere meglio la pericolosità di una distillazione non a norma e non controllata, si può ricordare come nel processo di distillazione di vinacce e di acqua (per ottenere la grappa) i vapori delle sostanze in ebollizione sino alla temperatura di 78,4 gradi sono formati da alcool metilico, aldeide acetica e acetato di etile (sostanzialmente metanolo), che se ingeriti diventano estremamente tossici e pericolosi per la salute. Al di sopra di tale temperatura e sino ai 100 gradi, si ha il “c.d. cuore” della grappa, composto da alcol etilico e sostanze volatili che conferiscono gusto e aroma del distillato.
Gli illeciti amministrativi, invece, sono previsti dai commi 4) e 5) e si hanno:
1- quando vengono rinvenuti nei locali i soli apparecchi o parte di essi non denunciati o verificati, senza la contemporanea presenza delle materie prime o di prodotti;
2- nel caso in cui l’autore costruisce, vende o comunque dà in uso un apparecchio di distillazione o parte di esso senza averlo preventivamente denunciato.
In entrambe le ipotesi è prevista l’applicazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 258 a euro 1.549.
L’Autorità Giudiziaria, riscontrata in fase di indagini la presenza di una distilleria clandestina, sottoporrà a sequestro il distillato, le materie prime e la strumentazione, beni tutti che saranno poi soggetti confisca come previsto dall’art.44 T.U. citato.
Come già anticipato, l’art. 27 T.U. citato dispone che la preparazione, da parte di un privato, di prodotti alcolici, destinati all’uso esclusivo dello stesso privato, dei suoi familiari e dei suoi ospiti, con impiego di alcole ad imposta assolta, non è soggetta ad autorizzazione a condizione che i prodotti ottenuti non formino oggetto di alcuna attività di vendita.
In termini pratici tutto ciò significa che la produzione di distillato – ad esempio la grappa partendo dalle vinacce- da parte del privato per uso personale o per venderla è vietata, essendo consentita solamente una produzione attraverso gli impianti autorizzati. E’ invece permessa al privato la preparazione per uso personale di un prodotto alcolico utilizzando grappa in bottiglia o alcol per liquori con imposta assolta (ad esempio il nocino, la grappa al miele, la grappa al mirtillo). E’ consigliabile in tali casi conservare la bottiglia o il contrassegno di Stato.
La produzione di birra è soggetta invece ad una normativa meno restrittiva (anche alla luce del basso tasso alcolico raggiunto dalla bevanda) rispetto a quella appena analizzata; l’art.34 comma 3 T.U. citato prevede infatti l’esenzione da accisa della birra prodotta da un privato e consumata dallo stesso produttore, dai suoi familiari e dai suoi ospiti, a condizione che non formi oggetto di alcuna attività di vendita. Il privato, quindi, può produrre birra senza essere soggetto ad accisa purché la produzione sia per esclusivo uso personale e senza scopo di vendita.
La giurisprudenza
Tra le pronunce giurisprudenziali in tema di fabbricazione clandestina si trova un’interessante ordinanza, la numero 157, emessa dalla Corte Costituzionale nell’anno 1999.
E’ una vicenda che risale al lontano febbraio 1997: il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bolzano aveva promosso giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 41 T.U. citato in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui punisce la fabbricazione clandestina di alcole o di bevande alcoliche con la pena minima di sei mesi di reclusione e di lire quindici milioni di multa.
Secondo il Giudice di Bolzano:
a- il Legislatore, con la previsione di sanzioni minime così elevate, sembrerebbe non aver tenuto conto “della realtà sociale del fenomeno disciplinato, delle concrete limitate dimensioni dei singoli casi, della inferiorità economica delle persone che distillano, delle tradizioni agricole e domestiche di alcune zone d’Italia, della mancanza di disvalore della condotta sanzionata”;
b- la sanzione prevista dalla disposizione censurata risulterebbe del tutto sproporzionata rispetto alla gravità della condotta (che nel caso oggetto del processo era di 8 litri di grappa realizzata con un alambicco rudimentale ) e alla funzione della pena (nel caso di specie, a fronte di accise evase per lire 100.000, la condanna sarebbe stata decisamente più alta anche solo in riferimento alla multa).
La Corte Costituzionale con l’Ordinanza predetta dichiarava la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale motivando che il termine alambicco non compariva nella disposizione legislativa e che l’aggettivo rudimentale usato dal Giudice generava il dubbio che l’oggetto rinvenuto fosse effettivamente riconducibile a quelli indicati nel censurato articolo 41 T.U. cit.; e che, in presenza di una così modesta quantità di liquido rinvenuto, si imponeva una più circostanziata descrizione della fattispecie che rendesse immediatamente evidente la rilevanza della questione.
Trattandosi pertanto di un’ordinanza di inammissibilità è rimasto precluso alla Consulta ogni ulteriore esame del merito della questione sollevata; la conseguenza pratica è stata che l’interrogativo di allora riguardante la proporzionalità tra pena edittale minima e il quantitativo concretamente rinvenuto non ha avuto una risposta giurisprudenziale immediatamente applicabile.
Considerazioni finali
E’ opportuno ricordare rapidamente che nell’aprile 2015 è entrato in vigore il d.lgs. n. 28/15 che introduce nell’Ordinamento l’istituto giuridico della non punibilità per particolare tenuità dell’offesa (al comma 1- la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale) nei reati puniti con la pena pecuniaria da sola o congiunta alla pena detentiva non superiore a cinque anni.
Il delitto di cui all’art. 41 T.U. cit. commina una pena che rientra nei limiti richiesti dal nuovo istituto giuridico e questo significa, in conclusione, che il Giudice di merito sarà chiamato ad effettuare una valutazione e un giudizio di particolare tenuità ex art. 131 bis c.p. anche nei processi che avranno ad oggetto.