Affidereste mai le sorti dei vostri risparmi ad un algoritmo? Questo è il dilemma che si pone l’investitore che si affaccia al mondo dei roboadvisor, un’innovazione che si pone l’obiettivo di supportare nelle fasi di asset allocation la clientela retail (o le reti di consulenti finanziari e i consulenti finanziari autonomi. Non per niente si parla anche di Robo-for-advisor o Robo4advisor). Caratteristica peculiare di questo servizio, basato principalmente su ETF, sono i costi contenuti rispetto alle diverse forme di gestione attive: un elemento che con l’arrivo di Mifid II aggiunge ulteriore pressione sugli operatori tradizionali del settore del risparmio gestito.
I primi tentativi da parte del regolatore di armonizzare all’interno dell’Unione Europea la normativa in tema di investimenti e consulenza finanziaria portarono nel 2007 all’entrata in vigore della Mifid I (Markets In Financial Instruments Directive). Attraverso tale direttiva, il legislatore introdusse per la prima volta una classificazione della clientela in base a criteri riguardanti la conoscenza in materia di investimenti, con l’obiettivo di definire un profilo di rischio adeguato ad ogni risparmiatore.
Inoltre, la Mifid I rimodellava l’articolo 1 del TUF definendo la consulenza finanziaria (promossa a servizio di investimento riservato per legge) come: “la prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell’intermediario, riguardo ad una o più operazioni relative a strumenti finanziari. La raccomandazione è personalizzata quando è presentata come adatta per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente. Una raccomandazione non è personalizzata se viene diffusa al pubblico mediante canali di distribuzione”.
Dopo l’introduzione della MIFID I, la prima attività di consulenza erogata dalla banche fu la consulenza di base su singoli prodotti finanziari che, necessariamente, dovevano (e devono) essere adeguati al profilo di rischio del cliente. Tale consulenza non prevede(va), nella maggior parte dei casi, un compenso specifico, e veniva semplicemente fornita per rispetto della normativa. Successivamente, la valutazione dell’adeguatezza è stata rivista in un’ottica di portafoglio, andando cioè a verificare se, complessivamente, il portafoglio di un cliente rimanga adeguato al profilo di rischio anche in caso di nuovi apporti o ribilanciamenti. A partire dal 2010, quindi, si sono via via sviluppate forme di consulenza più avanzata, caratterizzate non solo da una più ampia gamma di strumenti sottoposti a valutazione, ma anche dalla richiesta di una specifica remunerazione da parte del cliente (del tipo fee on top o fee only). In questo caso, la clientela di riferimento è generalmente rappresentata dalle categorie affluent e HNW (High Net Worth) o UHNW (Ultra High Net Worth). Viene normalmente “tagliata fuori” da questo tipo di offerta la clientela prettamente retail, a cui non sarebbe ad evidenza adeguato richiedere una remunerazione per la consulenza su masse di dimensioni ridotte.
Sempre attorno al 2010 prende piede, in particolare nel mercato americano, il concetto di consulenza indipendente, cioè fornita da operatori non legati ad un intermediario finanziario/bancario e, quindi, svincolati da qualsiasi tipo di conflitto d’interesse[1]. Questa nuova modalità di erogazione di servizio si proponeva come garante della trasparenza e dell’oggettività: ed è proprio da questo nuovo approccio che iniziano a proliferare nuove proposte di consulenza supportate da algoritmi di asset allocation, i cosiddetti roboadvisor.
Queste piattaforme si propongono come operatori indipendenti e liberi da vincoli relativi a brand specifici. Più nel dettaglio, i roboadvisor rappresentano soluzioni di wealth management dedicate alla pianificazione e alla gestione del patrimonio personale attraverso canali digitali (browser o app dedicate) che attraverso algoritmi permettono la costruzione di portafogli e il mantenimento di portafogli efficienti. Nella maggior parte dei casi la consulenza e l’asset allocation avviene senza l’intermediazione di un consulente in carne ed ossa. Questo aspetto consente di contenere al massimo le commissioni di gestione da parte di chi offre il servizio di roboadvisory.
Generalmente, nella fase di sottoscrizione del prodotto il risparmiatore deve compilare un questionario che rispetta i requisiti Mifid e che consente di comprendere l’esperienza in materia finanziaria, la situazione patrimoniale, gli obiettivi di investimento e la propensione al rischio del soggetto. Una volta raccolti tutti questi dati, il sistema è in grado di fornire in tempo reale un portafoglio che incorpora le specifiche del cliente e che nel tempo verrà ribilanciato da un algoritmo in base all’andamento dei mercati. Il risparmiatore sarà informato delle movimentazioni (operazioni di acquisto o vendita), attraverso degli alert sul proprio dispositivo mobile o via mail.
Occorre comunque sottolineare che in questo caso, come in altri settori impattati sempre più dall’automazione, i roboadvisor hanno l’obiettivo di conquistare quella quota di mercato in cui l’intermediazione umana non apporta alcun valore aggiunto. La value proposition dei roboadvisor è infatti quella di creare un prodotto semplice, con commissioni gestionali basse (per questo motivo lo strumento su cui si basano sono prevalentemente gli ETF) e quindi in grado di rivolgersi, anche, ad una clientela retail, democratizzando così i servizi di gestione patrimoniali che fino a qualche anno fa erano esclusiva delle categorie di risparmiatori più facoltose. Questo cambio di paradigma va quindi ad attaccare il modello classico di consulenza sfruttando al massimo la penetrazione di internet nel nostro quotidiano.
Inoltre, è bene ricordare che i servizi di roboadvisory possono presentare differenze sostanziali nella modalità di erogazione del servizio. Possiamo infatti individuare due principali tipologie di offerta: i roboadvisor stand-alone e i roboadvisor ibridi.
Nel primo caso, la piattaforma di roboadvisory interagisce direttamente con il risparmiatore. Quest’ultimo accede al proprio portafoglio attraverso un portale e ne può visualizzare l’andamento ed eventuali ribilanciamenti. Non è quindi prevista l’interazione con alcun essere umano in nessuna delle fasi di investimento poiché l’algoritmo (che di fatto è una black-box) cercherà di operare nel rispetto degli obiettivi fissati durante la fase di onboarding[2].
Infine, per quanto riguarda la seconda categoria di servizio, sono i consulenti appartenenti ad una rete a veicolare le indicazioni fornite dall’algoritmo. In questo caso specifico si parla di Robo4Advisors, un prodotto che consente alla banca di supportare e alleggerire il carico lavorativo dei propri promotori e che di fatto consente di rendere più scalabile ed efficiente il servizio offerto.
Le prospettive future
I roboadvisor si propongono come strumento innovativo in grado di sfruttare al meglio i dati generati da un utente per confezionare su misura un servizio attraverso strumenti di analisi all’avanguardia. Tutto questo è possibile grazie alla crescente digitalizzazione della clientela bancaria che, una volta digerita l’introduzione dell’home banking e la migrazione dei servizi di filiale sul proprio computer, sarà forse più incline ad accettare che anche la consulenza finanziaria avvenga attraverso un portale specializzato. Possiamo quindi attenderci che in futuro i risparmiatori propenderanno per un servizio di gestione standard e completamente automatizzato per piccoli importi, mentre in casi di somme importanti sarà comunque richiesto l’intervento di un consulente fisico. Questo fenomeno replicherebbe in chiave finanziaria quanto accaduto nel corso degli ultimi anni alle agenzie di viaggi.
Guardando alla situazione italiana, uno dei principali freni alla diffusione di questo servizio è rappresentato sicuramente dalla scarsa educazione finanziaria del risparmiatore medio. Proprio per questo motivo il modello di roboadvisory stand-alone, quello che non prevede l’intermediazione di un consulente finanziario, difficilmente prenderà piede nel nostro paese. Non si deve infatti dimenticare che, almeno per ora, i roboadvisor stand-alone sono ancora caratterizzati da diversi limiti tra cui:
- la scarsa capacità di ragionare in termini di pianificazione finanziaria e patrimoniale, essendo per lo più focalizzati sulla gestione del portafoglio finanziario;
- la difficoltà nel gestire in maniera proattiva l’emotività del cliente in momenti di mercato difficili (un alert su un app non ha lo stesso valore della chiamata di un consulente fisico);
- l’impossibilità di leggere dietro le affermazioni date in fase di profilazione la psicologia del cliente.
Si prospetta decisamente più roseo il futuro del modello di roboadvisory ibrida, in cui il cliente si interfaccia con il proprio consulente che si fa portatore delle indicazioni da e verso l’algoritmo. Il motivo principale riguarda la resistenza al cambiamento intrinseca nella natura umana e nel fatto che se un cliente è sempre stato abituato a interfacciarsi o chiedere chiarimenti ad una persona fisica in carne ed ossa, difficilmente vi rinuncerà anche a fronte di costi di gestione più bassi. Occorre comunque sottolineare che l’entrata in vigore della Mifid II nel 2018, che obbliga gli operatori ad esplicitare tutti i costi relativi ai servizi di gestione e consulenza offerti, potrebbe portare ad un cambiamento nelle abitudini degli investitori.
Il secondo freno alla diffusione di questa innovazione riguarda la difficoltà nel diffondere consapevolezza e conoscenza di un brand nuovo. Infatti, una startup fintech per quanto promettente e basata su algoritmi sofisticati difficilmente riscuoterà la stessa credibilità nella clientela rispetto a un istituto finanziario con un nome conosciuto. Per questo motivo raggiungere il punto di break even per i roboadvisor stand-alone sarà sempre più difficile e sfidante mentre le banche, che già hanno importanti masse di capitali in gestione, potranno valutare se rilevare le realtà più promettenti e le rispettive proprietà intellettuali.
Le società già operanti
In conclusione a questa prima introduzione al mondo dei roboadvisor, riportiamo in sintesi una breve descrizione delle principali realtà già operanti nel settore:
- Yellow Advice: è il roboadvisor di CheBanca! (Gruppo Mediobanca), che consente la profilazione del risparmiatore attraverso un portale dedicato. Inoltre, il cliente prospect può utilizzare un simulatore per valutare se i propri obiettivi di guadagno sono coerenti con il proprio profilo di rischio. Trattandosi di un servizio di roboadvisory ibrido il servizio offre il supporto al risparmiatore da parte di un consulente. La soglia minima di ingresso è di 20.000 euro. Costi: 0,3% annuale.
- Moneyfarm: è un roboadvisor stand-alone che ha come capisaldi la diversificazione dell’investimento (geografica, temporale, tra asset class) e i costi di gestione contenuti (offrendo portafogli basati su ETF). La soglia minima di ingresso è 0 euro, con il vincolo di dovere versare mensilmente almeno 100 euro fino al raggiungimento della soglia di 3.000 euro. Una volta raggiunto questo livello il cliente può scegliere se proseguire con i versamenti ricorrenti.
Costi: 1,3% (incluso il costo medio dei fondi) per somme da 0 a 14.999 euro; 0,9% (incluso il costo medio dei fondi) da 15.000 a 199.999 euro; 0,7 % (incluso il costo medio dei fondi) da 200.000 a 499.999 euro; 0,6% (incluso il costo medio dei fondi) per cifre oltre i 500.000 euro. - RoboBox: è una piattaforma online che consente di scegliere il roboadvisor più in linea con le proprie esigenze così da avere un servizio di consulenza finanziaria personalizzato ed automatizzato. La soglia minima di ingresso è di 50.000 euro. Consente di scegliere tra due offerte con approcci e costi differenti:
- Alfa SCF
- Modello di investimento: trend following.
- Volatilità portafogli: 4% – 12.
- Costo annuale:
- 0,7% per somme da 50.000 a 150.000 euro;
- 0,6% per somme da 150.001 a 500.000 euro;
- 0,5% per somme superiori a 500.000 euro.
- Ambrosetti AM
- Modello di investimento: Absolute Return.
- Volatilità portafogli: 4% – 10%.
- Costo annuale: 0,9%
- Alfa SCF
- Euclidea: è una SIM milanese che costruisce i portafogli dei proprio clienti (un mix di ETF e di fondi) combinando algoritmi di asset allocation con l’esperienza maturata negli anni dai fondatori. Si può accedere ai servizi di Euclidea attraverso il loro sito internet. L’investimento minimo richiesto è di 10.000 euro.
- Costi (al netto dell’IVA):
- 0,7% per somme da 10.000 a 99.999 euro;
- 0,55% per somme da 100.000 a 999.999 euro;
- 0,4% per cifre superiori al milione di euro.
- Costi (al netto dell’IVA):
Guardando al di fuori dei confini italiani, i principali player globali sono:
- Betterment: è uno dei primi roboadvisor stand-alone al mondo e attualmente ha oltre 10 miliardi di dollari di AUM. La soglia minima di investimento è di 0 dollari. Costi: abbonamento Digital: commissione annua del 0,25% per cifre da 0 a 99.999 dollari; abbonamento Premium: commissione annua dello 0,4% per cifre superiori a 100.000 dollari.
- Personal Capital: è un roboadvisor ibrido con circa 5 miliardi di AUM. In aggiunta alla gestione di portafoglio, consente al cliente di collegare il proprio conto corrente per monitorare le proprie abitudini di spesa. La soglia minima di investimento è di 100.000 dollari.
Costi: tra lo 0,49% e lo 0,89% annuo - Schwab Intelligent Portfolios: questo roboadvisor ha un AUM di circa 10 miliardi e offre un servizio a zero commissioni poiché queste vengono generate dalle gestione che hanno come sottostante gli ETF con il marchio Schwab. È richiesto un investimento minimo di 5.000 dollari per potere sottoscrivere il servizio.
- Wealthfront: questo roboadvisor stand-alone ha circa 7.5 miliardi di AUM. L’investimento minimo è di 500 dollari e non è previsto il pagamento di commissioni fino al raggiungimento della soglia di 10.000 dollari. Per cifre a partire da 10.001 dollari la commissione di gestione è dello 0,25%.
Reference Shelf
- Chishti, S., & Barberis, J. (2016). The FINTECH Book: The Financial Technology Handbook for Investors, Entrepreneurs and Visionaries. John Wiley & Sons.
- Conti, V., Sabatini, G., & Comporti, C. (2007). La Direttiva MiFID e gli effetti del suo recepimento. Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa (ASSBB), Quaderni Rossi, (238).
- Ferrari, R. (2017). Fintech Era: Digital Revolution in Financial Services. FrancoAngeli.
- Kim, H., Maurer, R., & Mitchell, O. S. (2016). When and How to Delegate? A Life Cycle Analysis of Financial Advice.
- Sironi, P. (2016). My Robo Advisor was an iPod–Applying the Lessons from Other Sectors to FinTech Disruption. The FinTech Book: The Financial Technology Handbook for Investors, Entrepreneurs and Visionaries, 152-154.
- Sironi, P. (2016). FinTech Innovation: From Robo-advisors to Goal Based Investing and Gamification. Wiley
[1] In Italia, come noto, l’introduzione (con la MIFID I) della figura del consulente finanziario indipendente (poi rinominato autonomo) e delle società di consulenza finanziaria non è approdata ad una operatività concreta in via definitiva, non essendosi ancora data attuazione all’albo per tali soggetti (albo poi confluito in quello dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, ex promotori finanziari). Le ultime notizie danno per definitiva la partenza dell’albo, e quindi della categoria, entro dicembre del 2018. Ciò nonostante, in Italia è già da anni presente la Nafop, associazione dei professionisti e delle società di consulenza finanziaria indipendente fee only.
[2] Alcune indagini hanno comunque rivelato che gli algoritmi di asset allocation attivi sul mercato sono basati prevalentemente sulla teoria del portafoglio efficiente elaborata da Markowitz negli anni ’50 del secolo scorso, mentre sono molto pochi quelli che adottano approcci più elaborati.