Si sa che gli italiani, storicamente, sono sempre stati dei grandi risparmiatori. Ma un conto è risparmiare, un altro è saper investire, un altro ancora è saper pianificare. Le indagini relative alle scelte finanziarie delle famiglie italiane, in primis quella realizzata annualmente dal Centro Studi Einaudi in collaborazione con Intesa, dimostrano infatti che la pianificazione finanziaria non è proprio nelle corde dei nostri concittadini. Semplice riprova: l’enorme massa di denaro giacente sui conti correnti.
La principale causa della mancanza di strategia nelle scelte di investimento deriva, a mio avviso, dai retaggi del passato. In fondo, una volta, le “cose” erano semplici e non c’era bisogno di pianificare: i titoli di stato rendevano bene, il mattone era sicuro e poco tassato, la famiglia tradizionale italiana, spesso caratterizzata da una stretta convivenza fisica tra generazioni, o comunque da una loro marcata prossimità (si viveva tutti sotto lo stesso tetto o per lo meno nello stesso comune), garantiva un rete sociale forte nel caso un membro avesse necessità di sostentamento.
Ma le “cose” stanno velocemente cambiando e, purtroppo, le persone non sempre se ne stanno altrettanto velocemente accorgendo. Un punto critico è rappresentato dai mutamenti socio-demografici che emergono dai dati Istat e che, per quanto diffusamente riportati dai mass-media, non vengono pienamente colti nelle loro conseguenze economico-finanziarie. Eppure, sono proprio questi cambiamenti nella struttura della nostra società che richiederanno, sempre di più, una pianificazione oculata delle scelte di investimento se si vuole mantenere inalterato il proprio tenore di vita. Facciamo qualche considerazione al riguardo.
Innanzitutto, è bene sottolineare che stiamo parlando di trend, ossia di tendenze di lungo periodo; si tratta cioè di fenomeni che, difficilmente, mutano da un anno all’altro. Un trend può sì cambiare, o essere artificialmente modificato, ma occorrono anni. Non possiamo quindi pensare che certe problematiche si risolvano da sole a breve termine.
L’invecchiamento della popolazione
Partiamo allora da quello che, probabilmente, è l’aspetto più conosciuto: l’invecchiamento della popolazione. Si tratta di un fenomeno che, chiaramente, è da un certo punto di vista molto positivo: vivere di più fa piacere a tutti! Ma l’allungamento della propria speranza di vita comporta una serie di conseguenze da non sottovalutare. Vediamo però prima qualche dato.
Come riporta l’Istat, nel corso degli anni il continuo aumento della sopravvivenza nelle età più avanzate e il costante calo della fecondità hanno reso l’Italia uno dei paesi più vecchi al mondo. La situazione è rappresentata graficamente da una piramide delle età (vedi figura), caratterizzata da una base, corrispondente alle classi di età più giovani, particolarmente contratta e da una punta, che rappresenta invece le età più anziane, piuttosto allargata.
La speranza di vita alla nascita è in continuo aumento. Siamo arrivati a 84,9 anni per le donne e a 80,6 anni per gli uomini. Ma ancora più interessanti sono le previsioni per il futuro. In un report dal titolo “Il futuro demografico del Paese”, l’Istat indica che entro il 2065, la vita media potrebbe crescere di oltre cinque anni per entrambi i generi, giungendo a 86,1 anni e 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne.
Collegato al tema dell’invecchiamento della popolazione, vi sono altri due indicatori molto interessanti su cui si deve ragionare:
- l’indice di vecchiaia, dato dal rapporto tra la popolazione di 65 anni e oltre e quella con meno di 15 anni; al 1° gennaio 2017 è pari al 165,3 per cento, ancora in crescita rispetto all’anno precedente (161,4 per cento).
- l’indice di dipendenza, dato dal rapporto tra le persone considerate in età “non attiva” e quelle considerate in “età attiva”. Nello specifico, si tratta del rapporto tra persone con meno di 14 e più di 65 anni, e le persone tra i 14 e i 64 anni. Tale indice ha raggiunto il valore di 55,8%[1]
Indice di dipendenza e indice di vecchiaia
Fonte: Istat
Da un punto di vista economico-finanziario, e in particolare in una logica di pianificazione finanziaria, l’invecchiamento della popolazione comporta le seguenti considerazioni:
- innanzitutto, è chiaro che la crescita della longevità, dell’indice di vecchiaia e di dipendenza, renderà sempre meno sostenibili i sistemi pensionistici e di welfare. Pur non volendo entrare nel merito delle scelte politiche in materia, è facile intuire che i fattori di conversione in rendita dei capitali accumulati a fini pensionistici sono destinati a diminuire.
- Quanto sopra comporterà per i cittadini italiani la necessità di accumulare molte più risorse finanziarie per avere una rendita adeguata al mantenimento dello stesso tenore di vita, anche perché è prevedibile che in tarda età aumenteranno le spese sanitarie direttamente a carico del contribuente (vedi anche nostro video https://www.contemplata.it/2018/05/sanita-chi-paga-e-chi-paghera/).
- Altro aspetto interessante attiene alla speranza di vita a 65 anni (e non tanto alla nascita). Per i maschi è di 19 anni e per le femmine di 22,2. Ciò significa che la fase di pensionamento si è notevolmente allungata e, contrariamente a quanto si riteneva in passato, l’orizzonte temporale di investimento non è breve in tale fase di vita. In altri termini, anche a 65 anni e oltre, occorre prendere decisioni di investimento non solo a breve termine; si tratta, a mio avviso, di un passaggio molto importante anche per i consulenti finanziari che devono probabilmente ripensare il proprio approccio alla gestione delle persone che stanno per entrare nella fase di post-pensionamento
Il bilancio demografico
Se l’invecchiamento della popolazione costituisce un trend che potrebbe avere un impatto devastante nel nostro futuro, ad esso è drammaticamente collegato lo stato del bilancio demografico. Prosegue infatti nel 2017 la diminuzione della popolazione residente già riscontrata nei due anni precedenti. In base ai dati Istat, al 31 dicembre risiedono in Italia 60.483.973 persone, di cui più di 5 milioni di cittadinanza straniera, pari all’8,5% dei residenti a livello nazionale (10,7% al Centro-nord, 4,2% nel Mezzogiorno). Complessivamente nel 2017 la popolazione diminuisce di 105.472 unità rispetto all’anno precedente. Il calo complessivo è determinato dalla flessione della popolazione di cittadinanza italiana (202.884 residenti in meno), mentre la popolazione straniera aumenta di 97.412 unità.
La diminuzione della popolazione residente è collegata al tasso di fecondità, sceso a 1,34 nel 2017[2]. In altri termini, ogni coppia italiana fa mediamente meno di due figli e ciò significa, se la matematica non è una opinione, che la popolazione è destinata a diminuire. Si noti, peraltro, che se si analizzano i dati per cittadinanza, si può evidenziare come anche la fecondità delle donne straniere, seppur più alta, sia comunque in diminuzione. Infatti, per le donne italiane, l’indicatore cala rispetto al triennio precedente (1,29) e si attesta su 1,27 figli in media per donna. Ma continua a diminuire anche la fecondità delle donne straniere, passando da 1,97 a 1,94 figli in media per donna. E a livello internazionale, l’Italia si trova al sesto posto per fecondità più bassa nell’Ue 28.
Ora, è abbastanza semplice capire che la discesa del tasso di fecondità costituisce un trend non facilmente modificabile nel breve. Solo una forte e duratura politica in favore della famiglia, quale quella attuata ad esempio in Francia, potrebbe infatti convincere le famiglie italiane a fare più figli.
Continua quindi il calo delle nascite in atto dal 2008. Per il terzo anno consecutivo i nati sono meno di mezzo milione (458.151, -15 mila sul 2016), di cui 68 mila stranieri (14,8% del totale), anch’essi in diminuzione. Inoltre, un altro fenomeno di non poco conto è rappresentato dallo spostamento medio dell’età in cui le donne italiane fanno figli. Come mostra la figura sottostante, diviene sempre più comune che il primo figlio arrivi ben oltre i 30 anni. La conseguenza in termini di pianificazione consiste nel fatto che si allunga il tempo necessario per portare i figli alla indipendenza finanziaria la quale, in previsione, potrebbe arrivare quando la madre e il padre sono già in fase di pensionamento[3].
Il calo della popolazione residente deriva inoltre dal fatto che il saldo migratorio con l’estero, seppur positivo, non riesce a controbilanciare il calo demografico dovuto alla carenza di nascite. Gli iscritti in anagrafe provenienti da un Paese estero sono stati oltre 343 mila nel 2017 (cittadini stranieri nell’87,7% dei casi). Gli italiani che rientrano dopo un periodo di emigrazione all’estero sono oltre 42 mila, in crescita rispetto al 2016 di oltre 4 mila unità. Hanno però lasciato il nostro Paese nel 2017 circa 155 mila persone (di cui quasi 115 mila di cittadinanza italiana).
Diventano a questo punto molto interessanti le prospettive future in termini di popolazione residente che la stessa Istat propone nel suo rapporto dal titolo “Il futuro demografico del Paese”. Per quanto lo stesso istituto di statistica metta in guardia sul fatto che la variabilità della previsione può essere molto ampia, i dati sono i seguenti:
- si stima che in Italia la popolazione residente attesa sia pari, secondo lo scenario mediano, a 59 milioni nel 2045 e a 54,1 milioni nel 2065. La flessione rispetto al 2017 (60,6 milioni) sarebbe pari a 1,6 milioni di residenti nel 2045 e a 6,5 milioni nel 2065.
- Tenendo conto della variabilità associata agli eventi demografici, la stima della popolazione al 2065 oscilla da un minimo di 46,4 milioni a un massimo di 62. La probabilità che aumenti la popolazione tra il 2017 e il 2065 è pari al 9%.
La figura sottostante riporta lo scenario mediano e l’intervallo di confidenza della stima Istat.
Proviamo a fare qualche considerazione in merito al bilancio demografico. Cosa succederebbe se in Italia venissero a mancare 5 milioni di residenti nei prossimi 20-40 anni? Beh, pensate semplicemente all’impatto che ciò potrebbe avere sui consumi che, come noto, sono la principale componente della crescita del PIL.
Unendo inoltre il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione al calo demografico risulta facile comprendere come la sostenibilità di buona parte del sistema di welfare potrebbe entrare in crisi. Ma ancor di più ciò potrebbe avere un impatto dirompente sul mercato immobiliare, già provato da anni di crisi: 5 milioni di residenti in meno potrebbe infatti significare 5 milioni di case vuote in più!
La struttura della famiglia
Insieme all’invecchiamento della popolazione e al calo demografico, un altro trend che sempre di più influenzerà la pianificazione finanziaria attiene alla stessa struttura delle famiglie italiane.
Secondo l’Istat, infatti, Il processo di semplificazione delle strutture familiari che ha interessato l’Italia negli ultimi decenni continua a far registrare una crescita del numero di famiglie, alla quale corrisponde una progressiva riduzione della loro dimensione. Nel volgere di vent’anni il numero medio di componenti in famiglia è sceso da 2,7 (media1995-1996) a 2,4 (media 2015-2016).
In particolare, sono progressivamente aumentate le famiglie unipersonali: dal 20,5 per cento al 31,6 per cento; mentre, le famiglie numerose – ovvero quelle con cinque o più componenti – hanno registrato un costante calo (dall’8,1 per cento al 5,4 per cento).
Quasi una famiglia su tre è dunque composta da una sola persona.
Ciò è conseguenza di profonde trasformazioni demografiche e sociali che hanno investito il nostro Paese: il progressivo invecchiamento della popolazione, innanzitutto, ma anche l’aumento delle separazioni e dei divorzi, così come l’arrivo di cittadini stranieri che, almeno inizialmente, vivono da soli. Finanche il Sud, la ripartizione geografica con il più alto numero di componenti per famiglia, mostra una graduale riduzione della dimensione familiare: da un numero medio di componenti pari a 3,1 (media 1995-1996) a un numero medio pari a 2,6 (media 2015-2016). Le figure sottostanti evidenziano la trasformazione in atto.
Il cambiamento della struttura della famiglia rappresenta probabilmente l’aspetto più importante in una logica di pianificazione finanziaria.
Infatti, sempre più spesso ci si troverà di fronte a persone che vivono da sole e che, per scelta o per circostanza, tendono a rimanere da sole lungo l’intero arco della propria vita. Se ciò da un lato semplifica la realizzazione di alcuni piani di investimento (ad esempio, se non ho figli, non ho necessità di pianificare per farli studiare all’estero), dall’altro è evidente che la mancanza di una struttura famigliare tradizionale fa venir meno quel sostentamento implicito tra generazioni di cui sopra si è detto. A meno di non avere la possibilità di appoggiarsi a parenti “laterali” quali fratelli/sorelle o nipoti[4].
Ecco allora che per i single diventa fondamentale accumulare sufficienti risorse finanziarie per essere in grado di sostenersi e mantenere il proprio tenore di vita in tarda età pur essendo, appunto, da soli. Anzi, per queste persone sarebbe opportuno programmare, ben prima della fase di pensionamento, l’acquisto di specifiche coperture a lunga scadenza, quali ad esempio prodotti Long Term Care a vita intera, ovvero di copertura delle spese sanitarie.
Considerazioni conclusive
Troppo spesso i risparmiatori italiani (e frequentemente anche i consulenti finanziari) sono preoccupati dal potenziale verificarsi di rischi finanziari tipici quali l’andamento delle borse, la salita dei tassi di interesse, la variazione del tasso di cambio euro/dollaro ecc…
Come abbiamo già evidenziato in precedente articolo (https://www.contemplata.it/2018/02/rischi-speculativi-e-rischi-puri/) sono invece i rischi puri quelli che, maggiormente, potrebbero impattare sulla ricchezza, il reddito e il patrimonio di un risparmiatore. E, quindi, in una logica di pianificazione finanziaria dovrebbero essere attenzionati ben di più di quanto oggi avviene.
Abbiamo però visto in questo articolo che anche i mutamenti socio-demografici, ovvero i cambiamenti che riguardano la nostra società e il nostro paese, potrebbero avere effetti devastanti sulle necessità finanziarie e di consumo dei nostri concittadini.
Purtroppo, si tratta di tematiche a cui spesso non viene dato il giusto peso nelle scelte di investimento, essendo queste ultime ancora prevalentemente incentrate su paradigmi di asset allocation e view dei mercati. Non si vuole di certo mettere in dubbio l’importanza delle regole di base in tema di costruzione del portafoglio (diversificazione, gestione del rischio, orizzonte temporale adeguato ecc..), ma sempre di più riteniamo che l’asset allocation debba essere fortemente incastonata in una più ampia struttura di pianificazione finanziaria che tenga conto, anche sulla base dei mutamenti analizzati, di quelle che saranno le reali esigenze future dei risparmiatori italiani; altrimenti, anche il portafoglio più diversificato del mondo servirà a ben poco.
[1] In termini semplici, e in generale, il valore dell’indice ci dice che una persona attiva mantiene già oggi più di una persona non attiva.
[2] Esistono tuttavia delle differenze territoriali: Nord-ovest e Nord-est registrano un tasso di 1,41, mentre al Sud si scende a 1,29.
[3] Sempre i dati Istat ci dicono infatti che la permanenza dei figli nel nucleo famigliare si è drammaticamente allungata, in particolare per i figli maschi che, mediamente, rimangono in casa fin oltre i 30 anni. Ora, ipotizzando che una coppia abbia un figlio tra i 35 e i 40 anni, l’età di indipendenza finanziaria del figlio, ovvero il momento in cui esso diventa verosimilmente capace di auto-mantenersi, potrebbe arrivare quando i genitori sono già in pensione e, quindi, meno in grado di produrre un reddito sufficiente se non hanno in precedenza accumulato risorse finanziarie sufficienti.
[4] Ma a questo punto, allora, il problema di pianificazione sorge per questi parenti “laterali”. Esempio facile: se mio fratello maggiore è tra coloro che non hanno fatto famiglia e in tarda età ha bisogno di sostentamento, allora sarò io che dovrò considerare tale evenienza nella mia pianificazione finanziaria.
Reference Shelf
- Istat, Bilancio Demografico Nazionale, anno 2017
- Istat, Il futuro demografico del paese, 2018
- Istat, Annuario statistico italiano 2017
- Istat, Noi Italia 2018
- Banca d’Italia, Indagini sui bilanci delle famiglie, 2018