Abbiamo già altrove evidenziato che il passaggio dall’asset allocation alla pianificazione finanziaria (o financial planning) necessità di un notevole cambiamento di approccio nell’attività del consulente finanziario (si veda  https://www.contemplata.it/2017/02/dallasset-allocation-al-wealth-management-passando-per-il-financial-planning/).

In particolare, nella logica di pianificazione finanziaria, ossia di costruzione di un set di soluzioni di investimento per la realizzazione di plurimi obiettivi dell’investitore, dislocati in differenti punti dell’asse temporale futura, diventa fondamentale ridefinire il concetto di rischio. In altri termini, se pianifico i miei investimenti per realizzare i miei progetti di vita, dove sta il rischio?

E’ infatti noto che quando si fa asset allocation (gestione di risorse finanziarie all’interno di un portafoglio), il rischio è normalmente identificato con la volatilità dei rendimenti del portafoglio stesso durante il tempo (la ben nota standard deviation), declinabile poi in termini di VAR (valore a rischio o value at risk), se si vuole essere più raffinati, ovvero scomponibile in “sottoprodotti” quali il rischio di credito (rating), il rischio di tasso di interesse (duration), il rischio attivo rispetto ad un benchmark di riferimento (tracking error volatility). In definitiva, ed in sintesi, quando si ragiona in termini di asset allocation occorre affrontare tutti quei rischi tipici dei mercati finanziari, causati da oscillazioni inattese e non prevedibili di variabile di mercato quali, appunto: tassi di interesse, tassi di cambio, indici di borsa, ecc…

Si tratta di rischi complessivamente denominabili rischi speculativi: tali rischi, infatti, hanno la caratteristica di essere simmetrici, cioè di poter avere effetti positivi o negativi (le due facce della medaglia). Se i tassi di interesse salgono, i prezzi dei titoli obbligazionari a tasso fisso scendono (forse[1]); viceversa, però, se i tassi scendono i prezzi salgono (e ce ne siamo ben accorti negli ultimi anni!). Inoltre, i rischi speculativi di cui qui parliamo possono essere fortemente ridotti attraverso la diversificazione di portafoglio, ovvero possono essere eliminati tramite l’utilizzo di strumenti derivati (ormai, infatti, esiste un derivato per qualsiasi cosa). Tutto sommato, quindi, questi rischi possono essere gestiti e sfruttati in maniera efficiente se si attua una asset allocation accorta.

Ma se ragioniamo in termini di pianificazione finanziaria, le cose cambiano notevolmente: immaginiamo, ad esempio, che un consulente finanziario abbia creato per un suo cliente due differenti portafogli, da utilizzare per la realizzazione di due obiettivi aventi orizzonte temporale diverso. Un primo portafoglio, ipotizziamo, deve permettere al cliente di mandare all’Università il figlio tra 2 anni, mentre il secondo portafoglio è stato costruito per garantire tra 20 anni una rendita pensionistica integrativa. Durante il tempo, si è deciso, i flussi di risparmio futuri saranno inseriti nel secondo portafoglio. A questo punto, qual è il rischio? La risposta è semplice: il rischio è che i due portafogli non portino agli obiettivi fissati. E come può gestire il consulente tale rischio? Beh, innanzitutto il consulente opterà probabilmente per un asset allocation caratterizzata da profili di rischio differenti per i due portafogli. Per il primo portafoglio, visto la vicinanza dell’obiettivo, sarà infatti necessario scegliere un asset allocation prudente, ma anche calcolare adeguatamente con il cliente le risorse necessarie da accantonare oggi per pagare tra due anni l’Università del figlio. Nel secondo caso, invece, vista la lontananza dell’obiettivo, e data la necessità di costruire un capitale sufficiente a creare una rendita adeguata, si potrà maggiormente “spingere sull’acceleratore del rischio”, ma di dovrà altresì monitorare nel corso del tempo quali aggiustamenti apportare per indirizzarsi verso l’obiettivo definito. Inoltre, l’accantonamento periodico di risparmio potrà aiutare a correggere la rotta se ce ne fosse bisogno.

Occorre però tenere presente che altri eventi potrebbero inficiare la probabilità di raggiungimento degli obiettivi della pianificazione finanziaria. Ci riferiamo qui ai cosiddetti rischi puri, cioè quelli che colpiscono il patrimonio o la persona, che non sono simmetrici essendo sempre a sfavore, e che non possono essere ridotti tramite la diversificazione di portafoglio. In termini più semplici, tra i rischi puri si annoverano: rischio morte, rischio invalidità permanente, rischio perdita autosufficienza, rischio legale ecc…, cioè quelle tipologie di rischi che possono essere coperti acquistando prodotti assicurativi che ne permettano il trasferimento a compagnie di assicurazione.

A ben vedere, sono proprio questi rischi puri che possono sconvolgere la vita di un investitore e minare alla base il raggiungimento degli obiettivi desiderati. Ad esempio: se risparmio anno dopo anno per costruirmi una rendita integrativa che permetta a me (e alla mia famiglia) di mantenere l’attuale tenore di vita in futuro, è chiaro che l’andamento più o meno positivo dei mercati potrebbe incidere sul montante finale del mio capitale, e quindi sulla rendita ottenibile. Ma peggio ancora sarebbe incappare in un rischio puro, ad esempio invalidità, che non solo potrebbe impedirmi di accantonare risparmio sufficiente, ma addirittura potrebbe rendere necessario utilizzare il capitale già accumulato per riuscire a vivere nella nuova condizione di vita[2]. In tale situazione, se non sono adeguatamente coperto, il mio benessere potrebbe infatti modificarsi drammaticamente.

E’ a questo punto facile (ma doveroso) trarre la seguente conclusione. Nella logica della pianificazione finanziaria, i rischi speculativi (finanziari) vengono dopo i rischi puri in termini di pericolosità!! Un buon pianificatore dovrebbe quindi, per prima cosa, delineare i potenziali rischi puri a cui il cliente è maggiormente esposto[3], ed implementare adeguate soluzioni di copertura degli stessi; e solo dopo il focus dovrebbe invece andare sulla gestione dei rischi finanziari.

Anche un’ottima gestione dei rischi finanziari, infatti, risulterebbe inefficace qualora dovesse verificarsi un rischio puro che impatti in maniera significativa sul benessere e la vita del cliente (o della sua famiglia[4])!

 

[1] La relazione prezzi e tassi è nota e scontata. Ma si tenga presente che quando si ragiona sul rischio di tasso di interesse, utilizzando quale indicatore la duration, si ipotizza spesso (tacitamente) una conformazione di curva dei rendimenti piatta e spostamenti paralleli della stessa. Nella realtà le cose sono un po’ più complicate: se i tassi a breve si alzano e quelli a lungo si abbassano allora l’effetto sui prezzi dei titoli obbligazionari non è così facilmente delineabile tramite la duration.

[2] Sebbene infatti si possa ottenere una pensione di invalidità, non è detto che la stessa copra tutte le necessità finanziarie legate al mio attuale tenore di vita. Inoltre, potrebbe in tale situazione sopravvenire ulteriori spese dovute alla mia nuova condizione di vita, e potrebbe ridursi drasticamente il reddito da lavoro se non fossi più in grado di svolgere la mia attività abituale.

[3] E’ chiaro infatti che, pur essendo tutti esposti ai rischi puri, la gradazione di pericolosità degli stessi è differente da soggetto a soggetto. Ça va sans dire, ad esempio, che parlare di rischio di premorienza per un soggetto di 95 anni ha poco senso.

[4] Non si dimentichi infatti di considerare anche i rischi puri a cui sono esposte le persone prossime al cliente, tra cui non solo i familiari, ma anche altri soggetti verso i quali il cliente ha comunque un relazione di responsabilità.