Anche Milano ha i suoi riti scaramantici, e i turisti lo sanno bene.
Le palle del toro rappresentato in un mosaico pavimentale della galleria Vittorio Emanuele sono giornalmente frantumate dai talloni (destri) di persone provenienti da ogni dove. Tre giri per un po’ di fortuna. Non ci credo … ma non si sa mai.
Se mentre leggete questo articolo non siete nei pressi del centro meneghino, potete comunque utilizzare altri gesti apotropaici: corna, cornetti, ferri di cavallo, tocco ferro (o qualcos’altro). Perché quello che sto per dirvi potrebbe non piacervi.
E non ve lo dico perché sono un uccello del malaugurio o un accigliato pessimista. Chi mi conosce sa che è vero esattamente il contrario. Io vedo solo opportunità nel mio e vostro futuro. Ma la veste accademica mi costringe comunque ad essere razionale ed oggettivo.
Ed allora la domanda è questa: i mercati scenderanno ancora nel 2023, dopo un bel meno 20% o giù di lì nel 2022?
Speriamo proprio di no, direte voi. Anche perché si è sempre asserito, da parte degli operatori del settore (e da parte mia) che dopo forti discese i mercati, intesi qui come indici broad market (SP&500, MSCI World e compagnia cantante) tendono a risalire realizzando ottime performance. E così sia.
Ma è allora totalmente da escludere che vi possano essere due anni consecutivi di discesa? La risposta, purtroppo, è no. Vediamo allora i dati ma non facciamoci scoraggiare.
Prendiamo sempre e comunque lui: lo SP&500. Il grafico sottostante (fonte Macrotrends) riporta la performance annuale dell’indice dal 1928. Ricordiamo, en passant, che l’indice è stato in realtà lanciato nel 1957, anche se il primo valore ricostruito in backtest è appunto del 1928.
Da una prima impressione visiva, si intuisce innanzitutto una bella opportunità.
Gli anni positivi sono di gran lunga più numerosi degli anni con performance negativa (il conto fatelo voi). Ciò significa (Prof. Bertelli docet) che, rebus sic stantibus, cioè ipotizzando che il fenomeno analizzato si ripeta con una certa costanza nel corso del tempo (ma la mano sul fuoco mettetela voi), posto il punto di riferimento ad inizio anno la probabilità di ottenere una performance positiva al 31/12 è statisticamente elevata.
Sempre a colpo d’occhio, si evince che le performance successive ad anni di forte discesa sono spesso e non poco sostanziose. Se guardiamo ad esempio agli anni successivi al 2008 (-38,49%) troviamo un quinquennio caratterizzato dalle seguenti performance: +23,45%; +12,78%; 0%; +13,41%; +29,60%. Non male.
E’ però altresì evidente che, in passato, si siano verificati anche bienni, se non trienni, di discesa consecutiva dei mercati.
Andando a ritroso troviamo innanzitutto l’epoca successiva allo scoppio della bolla della New Economy. Un triennio catastrofico: anno 2000, -10,14%; anno 2001, -13,04%; anno 2002, -23,37%. Non per niente si parlò all’epoca del decennio perso (lost decade), in quanto i primi 10 anni del nuovo secolo (vuoi anche per la successiva crisi del 2008) non produssero un risultato cumulato positivo (se volete sapere quando fini effettivamente il drawdown vi rimando ad un mio webinar on demand).
Ancora più indietro abbiamo il biennio 1973-1974: un -17,37% seguito da un -29,72%. Anni non facili per mille motivi: nel 1971 erano venuti meno gli accordi di Bretton Woods; la guerra in Vietnam continuava dal 1964; il 1973 è l’anno della crisi energetica e dell’austerity, con un inflazione americana che raggiunge l’8,71% a dicembre. Il Federal funds rate tocca il 10%[1]. Vi ricorda qualcosa?
E se proprio vogliamo esagerare, dobbiamo tornare agli anni della seconda guerra mondiale (1939, 1940 e 1941), ovvero agli anni della crisi del ’29. Qui abbiamo un vero e proprio disastro: -11.91%, -28,48%, -47,07%, -15,15% consecutivamente. Ma quelli erano altri tempi: Keynes e la FED non avevano ancora fatto scuola.
In definitiva, è possibile affermare che casi di duplice, o triplice discesa dei mercati sono abbastanza rari, soprattutto se il mercato storna del 20%. Ad esempio, nel primo triennio del 2000 lo storno maggiore si ebbe nel 2022. Nel biennio ’73-’74 fu il secondo anno quello con la performance peggiore.
Che si sia già toccato il fondo? Speriamo, ma stiamo all’erta.
[1] Ricordiamo che il Federal Funds rate è il tasso a cui le banche americane si scambiano denaro (o meglio fondi di riserva detenuti presso la FED) overnight. Il Federal Open Market Committee (FOMC) si incontra otto volte all’anno per determinare il tasso target dei cosiddetti Fed Funds.