La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita. La frase ripetuta più volte da Tom Hanks in veste di Forrest Gump è una sacrosanta verità. Ma quando si tratta di investire, uno dovrebbe invece ben sapere dove vanno a finire i propri soldi!

Tale problematica si pone anche quando l’investimento viene effettuato in strumenti che replicano (ETF/ETN) o comunque sono agganciati (fondi, certificates, CFD) ad indici azionari ben noti al pubblico: lo S&P500, il MSCI World, l’Eurostoxx600, il FTSEMIB, il Dow Jones ecc..

Ed in effetti, sebbene a prima vista possa apparire semplice comprendere cosa rappresentino tali indici – del tipo, se investo nello S&P500 sto investendo sull’azionario America – in realtà una più attenta analisi degli stessi dovrebbe essere ex-ante effettuata per meglio comprendere, nella sostanza, su che cosa si stia effettivamente puntando.

Proviamo allora a fornire alcuni suggerimenti al riguardo.

Quante sono, come sono scelte e quanto pesano le società che compongono l’indice?

Una prima domanda, a prima vista banale, che ci si dovrebbe porre attiene al numero di titoli che compongono l’indice.

OK: il DAX 30 sarà composto da 30 azioni, e il CaC 40 da 40 titoli. Ma il MSCI World? Sicuramente di più, ma quante? (1640 circa è la risposta). E il MSCI ACWI che ingloba non solo i paesi sviluppati ma anche quelli emergenti? Sicuramente di più ancora, ma quante (circa 3.000 è la risposta).

Un altro aspetto fondamentale attiene alle modalità di scelta delle azioni da inserire nell’indice e al peso che esse assumo nell’indice stesso.

Le società possono infatti essere scelte sulla base della loro residenza geografica (ad esempio inserisco nell’indice solo le società che hanno sede negli USA), ovvero della loro capitalizzazione (considero solo le società con più di 5 miliardi di capitalizzazione oppure solo quelle con meno di 5 miliardi di capitalizzazione).

In altri casi le cose possono essere più complesse: ad esempio, un indice può essere creato considerando solo quelle società che su un determinato mercato (azionario Europa) presentano certi requisiti. Prendo solo le società che hanno pagato dividendi negli ultimi 5 anni, oppure quelle che hanno un ROE superiore ad un certo livello.

Ancor più interessante, inoltre, è la modalità utilizzata per determinare il peso che una azione deve avere in un indice. Siamo infatti abituati a pensare che negli indici pesino di più le società con capitalizzazione maggiore, ma questo non è vero in tutti i casi. Esistono infatti diverse metodologie di calcolo degli indici, tra cui le più note ed utilizzate sono le seguenti:

  • price weighting: in questo caso, che potrà sembrare assurdo, pesano nell’indice le società che hanno il prezzo maggiore e non la capitalizzazione maggiore. Il famoso indice Dow Jones Industrial Average è calcolato in questo modo.
  • Market-capitalization weighting: qui le società pesano in effetti in base alla loro capitalizzazione. Si noti che investendo in questi indici si sta implicitamente seguendo una strategia momentum (al riguardo si veda https://www.contemplata.it/2019/11/momentum-e-contrarian-segui-la-moda-o-sei-anticonformista/). Detto in parole semplici ciò significa che le società che vanno meglio, crescono in termini di prezzo e quindi in termini di capitalizzazione, pesano sempre di più nell’indice.
  • Float-adjusted weighting: si tratta di una versione alternativa alla semplice capitalizzazione di Borsa. Secondo questa metodologia, infatti, pesano di più nell’indice le società che hanno il maggior flottante e non tanto la maggior capitalizzazione. Ciò comporta, ad esempio, che se la società A è più grande della società B in termini di capitalizzazione, ma le sue azioni sono concentrate nelle mani del socio di maggioranza, il suo flottante potrebbe risultare minore di quello della società B.
  • Equally weighting: le azioni sono qui pesate in maniera uguale indipendentemente dalla loro capitalizzazione. Se l’indice è composto da 500 azioni, ogni azione pesa 1/500.

 

A quale versione dell’indice ci stiamo riferendo?

Immaginate di volere investire sull’azionario America attraverso un ETF. A questo punto, come abbiamo ultimamente evidenziato in un webinar dedicato a tali strumenti disponibile anche on demand (https://www.contemplata.it/webinarondemand/), diventa fondamentale capire qual è l’indice su cui state veramente investendo. Ad esempio: se investite nel classico DJ state puntando sulle 30 maggiori azioni americane (escluse quelle dei settori trasporti e utilities).

Se invece investite su un ETF collegato allo S&P 500 nella sua versione standard (indice calcolato secondo la modalità float-adjusted), state puntando su 500 aziende a media-alta capitalizzazione. Ma attenzione: il peso dei 10 titoli più importanti (i soliti noti… Apple, Google, Amazon ecc..) è all’incirca il 25% e i primi 50 titoli fanno più del 50% dell’indice. La vostra performance sarà allora influenzata, nel bene e nel male, dai colossi tecnologici.

Cosa diversa, invece, se investite in un ETF collegato allo S&P 500 nella versione equally weighted: qui la 500esima società pesa quanto Microsoft. La performance delle due versioni dell’indice sarà allora diversa (vedi figura sottostante)

 

 

Performance YTD dell’indice S&P500 standard e della versione equally weighted (EW)

 

Ed ancora: la performance di molti indici azionari può essere calcolata secondo la logica price return, ossia si considera solo l’andamento del prezzo delle azioni, oppure secondo la modalità Total return. In questo ultimo caso la performance tiene conto del reinvestimento dei dividendi pagati dalle società; si ipotizza solitamente che il dividendo venga reinvestito nella stessa società che lo ha pagato il giorno di stacco cedola. Facile capire che le due versioni di calcolo produrranno performance ben differenti nel corso del tempo.

 

In quali settori e in quali aree geografiche sto investendo?

Che differenza c’è tra investire nello S&P 500 e nell’Eurostoxx 600? A prima vista la risposta è semplice: nel primo caso investo in America e nell’altro in Europa.

Ma non solo: se guardate la composizione settoriale dell’indice americano (basta che digitate S&P500 Factsheet su Google) scoprirete che i 3 settori più importanti – Information Technology, Health Care e Communication Services – pesano circa il 50%. Nell’indice europeo, invece, la tecnologia pesa solo per il 7% mentre la parte del leone la fanno l’Health Care e gli Industriali. In definitiva, se vi spostate dall’America all’Europa non solo cambia la zona geografica, ma anche il tipo di imprese su cui puntate.

La diversificazione geografica è un altro interessante aspetto da analizzare. Facciamo un esempio facile. Se investo nell’indice MSCI World potrei pensare, di primo acchito, che i miei soldi vengano sparpagliati in imprese operanti in tutto il mondo. In realtà, la versione di base dell’indice è quella relativa a 23 paesi sviluppati: e in questo caso il peso degli USA è circa il 65%.

Se opto invece per il MSCI ACWI, cioè la versione World che ingloba anche 26 paesi emergenti, potrei credere che la diversificazione geografica sia effettivamente maggiore. In realtà gli USA continuano a pesare fortemente (57% circa) seguiti da Giappone (7% circa) e poi dalla Cina (5% circa). Ma come può essere che la Cina, seconda se non prima economia al mondo, pesi così poco? Il problema è nella modalità di calcolo dell’indice che, comunque, premia la maggior capitalizzazione delle società quotate negli USA.

Per avere una esposizione geografica effettivamente più differenziata dovrei allora optare per il MSCI ACWI GDP Weighted Index, ossia un indice dove si tiene conto anche del PIL delle diverse nazioni. Il peso degli USA scende allora al 26% circa, mentre quello della Cina sale al 17%. E il resto del mondo, escluso le economie maggiori, sale allora al 41%

 

In definitiva

Per non avere una visione distorta dell’esposizione del proprio portafoglio, occorre ben comprendere dove vengano effettivamente investiti i propri soldi. Non sempre la cosa è così semplice da realizzare, specialmente quando gli strumenti in cui si investe diventano complessi.

Ma anche quando lo strumento di investimento appare semplice da decifrare, ad esempio un ETF che replica un indice, una maggior attenzione aiuterebbe a chiarirsi le idee.

L’incertezza sui cioccolatini non fa poi così male (se non alla dieta); quella sugli investimenti finanziari dovrebbe essere minimizzata per quanto possibile