Nella vita a volte contano di più le aspettative dei valori assoluti.

Come quando ci si aspetta che una partita di calcio sia grandiosa ma alla fine ne viene fuori uno scialbo zero a zero. O viceversa, un match all’apparenza non troppo esaltante può trasformarsi di colpo in una partita mozzafiato.

Comportamenti e fenomeni similari, con i rispettivi eccessi di gioia o di depressione, si verificano anche nell’andamento dei mercati azionari, che spesso salgono o scendono più velocemente del previsto. Le discese ardite e le risalite, direbbe il “poeta”.

Gli ultimi rialzi del mercato azionario hanno creato non poca confusione nella mente di molti investitori. I dati ci dicono che l’inflazione è alta, la crescita economica tende al negativo, la curva dei rendimenti è invertita, le banche centrali sono sempre più pronte ad alzare i tassi. Che c’è da ridere allora?

La parola chiave per comprendere il momento è sempre quella: aspettative. Esse cambiano la nostra visione e, di conseguenza, quando le azioni scendono portano la nostra narrazione ad essere più pessimista. Viceversa se i mercati salgono: tutti iniziano ad intravedere la luce in fondo al tunnel.

E’ facile notare, infatti, come la performance positiva dei vari indici nell’ultimo mese (SP500 +6,94% ad esempio), abbia drasticamente mutato le narrazioni. Ed allora, ecco spuntare analisi ed osservazioni in controtendenza rispetto a quanto si diceva fino a poco tempo or sono: “È possibile che la Fed possa riuscire in un soft landing”; “La recessione non è così certa. Le Banche Centrali potrebbero addirittura tornare ad abbassare i tassi”; “L’inflazione ha raggiunto il picco e sta migliorando”.

Queste ipotesi, dettate da un cambio repentino di aspettative, sono a mio avviso da prendere con le pinze: non c’è dubbio, ad esempio, che siamo nel bel mezzo di un rallentamento economico (altro che soft landing)!

Proviamo tuttavia a fare qualche considerazione. Cosa servirebbe per far sì che le azioni tornino sopra i loro massimi? Probabilmente un dollaro più debole, ma ciò sembra proprio che non stia accadendo.

Il grafico seguente mostra l’andamento del dollaro nei confronti di alcune principali valute

 

Dollaro vs Yen (linea rossa), vs Euro (linea arancione) e vs Sterlina (linea azzurra)

Dal grafico possiamo notare come una tendenza al ribasso rispetto allo yen giapponese, all’euro e alla sterlina sia ben lontana.

 

Un dollaro così forte non fa bene né alle azioni né alle criptovalute. Sembra infatti esservi una correlazione negativa tra il greenback e questi due assets, così come mostrato nel successivo grafico.

 

Correlazione negativa dollaro (linea rossa) vs S&P500 (linea arancione) vs BTC (linea azzurra) – perfomance positive (rettangoli in verde), performance negative (rettangoli in rosso).

 

Dal grafico possiamo notare come all’indebolirsi della moneta gli assets in questione tendono a recuperare parte del terreno perso nelle sessioni precedenti. E viceversa.

I discorsi hawkish degli speaker della Federal Reserve hanno infatti dato nuova linfa al dollaro che, dopo aver illuso gli investitori, ha registrato nuovamente un guadagno del 3% in poche sedute, il più grande da aprile 2020. Di conseguenza, le principali valute soffrono e l’euro è andato sotto la parità.

Infine, e non di poco conto, occorre considerare che una moneta forte danneggia quelle società americane che generano la maggior parte dei loro ricavi al di fuori degli USA.

 

Perfomance società americane distinte per geografia dei ricavi (da gennaio 2021)  –  fonte: bespokepremium.com

 

Partendo dalle società presenti nell’indice Russell 1000 è possibile distinguere quelle che generano oltre il 50% dei loro guadagni al di fuori del territorio americano (international), da quelle che generano invece oltre l’80% del fatturato sul territorio nazionale (domestic). Possiamo notare dal grafico come queste ultime abbiano registrato una performance media del 16% durante il rally del dollaro (sfruttando la forza della moneta) mentre gli internazionali sono aumentati poco meno del 3% (più in difficoltà nel commerciare all’estero). Infine le società neutrali (che hanno la stessa percentuale di esposizione sul territorio nazionale e internazionale) hanno registrato rialzi nella media.

Entrando più nello specifico, il settore delle Utilities e del Real Estate (il cui fatturato è per lo più realizzato negli Stati Uniti) sono stati quelli con le migliori performance, insieme all’energetico (per ovvie ragioni).

E se la propensione al rischio fosse tale da supportare ancora l’azione rialzista dei prezzi? Potrebbe continuare il rally?

Per suffragare o meno una tale ipotesi, possiamo esaminare e rapportare l’andamento di due segmenti della domanda dei beni di consumo: i beni di consumo voluttuari e i beni di prima necessità. (vedi grafico)

 

XLY (beni di consumo voluttuari)/XLP (beni di prima necessità) – linea gialla – livello di attenzione (rettangolo rosso e bianco)

 

Come osservabile dal grafico, il rapporto XLY/XLP ha recuperato i massimi del 2018 dopo aver registrato minimi molto bassi a giugno. Il livello chiave a 2.18 ci fornirà informazioni su come si posizioneranno gli investitori da qui a fine anno. Se iniziassero a “preferire” i beni di prima necessità (grafico al ribasso) probabilmente ciò starebbe a significare che molti hanno adottato una posizione più difensiva riducendo di conseguenza la loro esposizione al rischio. Con questo scenario ci si dovrebbe aspettera che il mercato in generale perda forza.

Viceversa, i rialzisti dovrebbero sperare di vedere il rapporto andare oltre il nostro livello di attenzione (grafico al rialzo). Si tratterebbe di uno sviluppo che confermerebbe la tendenza positiva del momento e potrebbe effettivamente far credere che il fondo sia stato toccato.

È però troppo (troppo) presto per dire se siamo in un altro mercato rialzista. Attualmente il messaggio che il mercato ci manda è: Dollaro su, azioni giù. Le aspettative non hanno ancora effettuato il sorpasso; e comunque ogni sorpasso ha un suo grado di pericolo.