In parte ne abbiamo già parlato in nostro precedente articolo[1]: la decrescita della popolazione dovuta al calo delle nascite ed i cambiamenti nella struttura della famiglia incidono sulle logiche di pianificazione finanziaria che i consulenti dovrebbero adottare per i loro clienti.

La recente pubblicazione (novembre 2018) dei dati sulle nascite nell’anno 2017 in Italia da parte dell’ISTAT ci permette di riaffrontare il problema, arricchendolo di spunti e considerazioni e inquadrandolo nel più ampio dibattito accademico sul passaggio dal Baby Boom al Baby Bust (stasi delle nascite). Lo scopo, ad ogni modo, è ancor lo stesso: ragionare sulle esigenze finanziarie delle nuove generazioni per capire come affrontarle. Partiamo dai numeri.

 

I dati Istat[2]

Nel 2017 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 458.151 bambini, oltre 15 mila in meno rispetto al 2016. Nell’arco di 3 anni (dal 2014 al 2017) le nascite sono diminuite di circa 45 mila unità mentre sono quasi 120 mila in meno rispetto al 2008.

Numericamente, la diminuzione delle nascite in Italia è dovuta per quasi tre quarti alla diminuzione della popolazione femminile tra 15 e 49 anni (circa 900 mila donne in meno), e per il resto alla continua discesa dei tassi di fecondità. In particolare, diminuiscono significativamente i nati da genitori entrambi italiani (121 mila in meno rispetto al 2008) e quelli da coppie coniugate (147 mila in meno rispetto al 2008) visto che i matrimoni sono sempre meno; viceversa, si assiste ad un aumento di nascite fuori dal matrimonio, che arrivano a pesare il 30,9% nel 2017.

Anche i nati da almeno un genitore straniero, ovvero da entrambi i genitori stranieri, sono in calo rispetto al 2016, a testimonianza del fatto che l’arrivo e la permanenza in Italia porta ad un cambiamento di usi e di costumi

Il calo della natalità si riflette soprattutto sui primi figli, diminuiti del 25% rispetto al 2008, mentre nello stesso arco di tempo i figli di ordine successivo si sono ridotti del 17%. Fondamentali, per meglio capire la situazione, sono però i tassi di fecondità: il numero medio di figli per donna scende a 1,32 (1,24 per le donne italiane e 1,98 per le donne straniere. Quest’ultimo si attestava a 2,65 nel 2008[3]).

La figura n. 1 sintetizza i principali dati sulla natalità, la fecondità e la nuzialità in Italia nel periodo 2008-2017

 

Figura n. 1. Principali caratteristiche e indicatori di Natalità, Fecondità e Nuzialità (anni 2008, 2010, 2014-2017)

Fonte: ISTAT

 

Altri interessanti elementi ritraibili dal report Istat sono i seguenti:

  • L’età mediana delle donne al primo figlio è in continua crescita. Ci si sposa più tardi e si fanno figli più tardi.
  • Di generazione in generazione aumentano le donne senza figli. Qui l’Istat fa un raffronto tra le donne nate nel 1950, nel 1960 e nel 1977 (vedi figura n. 2). Se le donne nate nel 1950 senza figli erano solo l’11%, quelle nate nel 1977 sono ben il 22%. Diminuiscono nettamente anche le donne con 2 figli e più che passano dal 66,4% al 50,4%.

 

Figura n. 2. Donne nate nel 1950, 1960 e 1977

Fonte: ISTAT

 

Il dibattito teorico

 Il termine Baby Boom è ampiamente conosciuto nel campo economico e non solo; tutti, da qualche parte, ne abbiamo sentito parlare. In termini generali, esso descrive un aumento considerevole delle nascite occorso negli USA, in UK e in altre economie avanzate nel periodo susseguente alla seconda guerra mondiale (tra la metà degli anni ’40 e la metà degli anni ’60)[4].

L’aumento delle nascite fu dovuto sia al fatto che donne più mature ebbero in quel periodo più figli, sia che donne più giovani accrebbero il loro tasso di fertilità; tuttavia, con il trascorrere del tempo, le donne giovani non mantennero tale livello di fertilità e il Baby Boom finì per sgonfiarsi (Greenwood e al., 2005).

Diversi studi accademici hanno cercato di spiegare le ragioni sottostanti al Baby Boom: il senso comune spiegherebbe il fenomeno come reazione alla diminuzione della fertilità durante il periodo della Grande Depressione degli anni ‘30 e della seconda guerra mondiale (Bellou e Cardia, 2014). Ma vi è anche chi lega il Baby Boom ad un eccezionale progresso tecnologico occorso intorno alla metà del secolo scorso che ridusse drasticamente il costo di avere dei figli (Greenwood e al., 2005).

Altre ricerche, invece, si sono incentrate maggiormente sugli effetti del Baby Boom: sul mercato immobiliare e finanziario, o più in generale sull’economia nel suo complesso.

Ad esempio, è stato osservato che un aumento delle nascite conduce inevitabilmente ad un cambiamento nel rapporto giovani/adulti che, alla lunga, incide negativamente sul mercato del lavoro e sui salari reali. Riferendoci agli USA, nel 1985, ossia al momento massimo di ingresso nel mondo del lavoro da parte dei Baby Boomers, il primo salario di un giovane era circa un terzo di quello che guadagnava il padre; negli anni ’50, invece, il primo salario di un giovane che iniziava a lavorare era pressoché uguale a quello del padre.

Viceversa, un impatto positivo si ebbe negli anni ’80 sul mercato immobiliare (Mankiw e Weil, 1989): man mano che i Baby Boomers giungevano all’età di acquisto della prima casa, la domanda di abitazioni e di mutui cresceva.

Più recenti, invece, gli studi che hanno cercato di analizzare l’impatto degli investimenti prima, e del pensionamento poi, dei Baby Boomers: Zheng e Spiegel, ad esempio, ipotizzavano in un articolo del 2011 che l’approcciarsi dei Baby Boomers all’età della pensione avrebbe causato una fase di forti vendite di titoli azionari accumulati da questi negli anni passati e, di conseguenza, prevedevano una svalutazione generalizzata dei corsi (si erano probabilmente dimenticati di considerare gli effetti del QE). Infine, una interessante analisi sul fatto che i Baby Boomers siano stati la generazione più fortunata da un punto di vista pensionistico e di welfare (Hudson, 2015)

E’ tuttavia importante osservare che per quanto il Baby Boom abbia avuto ed abbia tutt’ora un certo “fascino” nell’immaginario collettivo, esso rappresenta una eccezionalità rispetto all’andamento demografico degli ultimi 200 anni. Se nel 1800 le donne americane partorivano in media 7 figli, nel 1990 tale valore era già sceso a 2. In una prospettiva storica, allora, sarebbe più corretto parlare di un tendenziale Baby Bust, interrotto temporaneamente da un ventennio di Baby Boom poi andato a smorzarsi.

A questo punto, diventa allora più interessante ragionare sulle conseguenze economiche del Baby Bust. Un modo per farlo è quello di considerare l’andamento nel corso del tempo della proporzione di giovani adulti rispetto alla popolazione (Makunovic, 2015). Infatti, nel momento in cui i giovani adulti escono dalla fase scolastica e si costruiscono la propria vita lavorativa e familiare, essi generano una nuova domanda per abitazioni, prodotti di consumo, automobili e altri beni: sebbene non si tratti di una domanda quantitativamente molto elevata in termini assoluti, essa incide però significativamente sul tasso di crescita totale dei consumi.

Cosa succede (a livello teorico) se dopo un periodo di Baby Boom il trend si inverte? E’ probabile che le imprese rivedano i loro piani di produzione e taglino i quantitativi di merce e materie prime richiesti ai fornitori, i quali a loro volta taglieranno gli ordini ai loro fornitori, e così via in un processo a catena. Possibile? La figura n. 3 mette in relazione il tasso di variazione della percentuale di giovani adulti con l’andamento economico (in riferimento agli USA)

 

Figura n. 3. Demografia e recessione

 

Il grafico in figura rappresenta la media mobile triennale della variazione annuale della percentuale di giovani adulti[5] negli USA. Le linee rosse verticali indicano l’inizio delle fasi di recessione (i dati dopo il 2020 sono proiezioni del US Census Bureau). E’ facile osservare che spesso, anche se non sempre, le fasi di recessione iniziano quando la curva è al suo massimo e va poi ad invertirsi[6].

Ora, se non è apoditticamente affermabile che siano solo gli effetti demografici a determinare gli andamenti economici, ed in particolare le fasi di recessione, è pur vero che questi ne possano influenzare significativamente il timing. Tradotto in termini semplici, e considerando il caso italiano, la forte decrescita delle nascite non fa di certo ben sperare!

 

Le esigenze delle nuove generazioni: alcune considerazioni

 Il fenomeno c’è, e difficilmente se ne andrà (almeno a breve). Gli impatti economici ci saranno: se ne parla e se ne parlerà.

Ma qui ed ora ci preme maggiormente effettuare alcune considerazioni in una logica di pianificazione finanziaria: come interpretare le esigenze delle nuove generazioni (rispetto a quelle passate)? Quali nuovi elementi dovrebbe considerare il consulente finanziario? Andiamo per punti:

  • La struttura della famiglia è cambiata. Si va sempre di più verso un modello coppia (anche non sposata) con unico figlio, ovvero coppia senza figli, ovvero single senza figli. Ciò modifica notevolmente i bisogni degli investitori sotto vari aspetti. Ad esempio: se devo far crescere e mandare all’Università un solo figlio ho meno necessità di accumulo finanziario; se di figli non ne ho del tutto, il problema addirittura non si pone. D’altra parte, però, non deve essere sottovalutata la permanenza nel nucleo famigliare per un periodo più prolungato (ci si sposa più tardi) anche dell’unico figlio/a.
  • Anche gli investimenti immobiliari dovranno essere ripensati. La vecchia idea di comprare casa agli eredi viene ovviamente meno nel momento in cui non si hanno figli; ma anche nel caso di un unico figlio (e tutto sommato anche di due), ci si troverà sempre di più di fronte a persone che già di per sé erediteranno uno o più immobili dai padri e dai nonni. Inoltre, è facile prevedere che il cambiamento nella struttura della famiglia renderà sempre più complesso mettere sul mercato abitazioni di ampia metratura, mentre soluzioni più adatte ai single o a coppie senza figli diventeranno la norma.
  • Paradossalmente, invece, le problematiche di passaggio generazionale potrebbero semplificarsi: se l’erede è unico la spartizione del patrimonio dovrà al massimo avvenire con il coniuge. Se di figli non ce ne sono e si vive da single il patrimonio è interamente disponibile e si può decidere come si vuole; se non vi sono proprio eredi, neanche laterali, si tratterà eventualmente di implementare progetti di filantropia.
  • Diventerà probabilmente più stringente, d’altra parte, la necessità di proteggere la propria persona dal rischio malattia, invalidità e non autosufficienza, e accumulare sufficienti risorse finanziarie per avere in tarda età una rendita integrativa. E ciò soprattutto per chi, vivendo da solo e non avendo figli, dovrà provvedere a se stesso da sé.
  • Anche l’ipotesi di doversi trasferire in tarda età in una struttura dedicata (Casa di Riposo, casa di cura o RSA) non può essere scartata. Anzi, dal punto degli investimenti immobiliari, proprio queste strutture potrebbero divenire (e in parte già lo sono) una interessante alternativa. All’estero, ad esempio in UK, è possibile (anche per un risparmiatore italiano) investire nell’acquisto di una singola camera di una RSA ottenendo una rendita d’affitto garantita da un ente pubblico.

 

 Reference shelf

 

  • JEREMY GREENWOOD, ANANTH SESHADRI, AND GUILLAUME VANDENBROUCKE, The Baby Boom and Baby Bust, The American Economic Review, 2005
  • Robert Hudson, Why baby boomers will be the last generation to have good pensions, 2015, theconversation.com
  • Diane J Macunovich, Baby booms and busts: how population growth spurts affect the economy, 2015, com
  • Nicholas Eberstadt, The Demographic Future. What Population Growth — and Decline — Means for the Global Economy, foreignaffairs.com
  • Zheng L., Spiegel M., Boomer Retirement: Headwinds for U.S. Equity Markets?, FRBSF ECONOMIC LETTER, 2011.
  • The stork exchange. What explains America’s mysterious baby bust? Economist, Nov 24th 2018

 

[1] https://www.contemplata.it/2018/06/limpatto-dei-mutamenti-socio-demografici-sulla-pianificazione-finanziaria-dei-risparmiatori-italiani-alcune-considerazioni/

[2] I dati sono tratti dal report Istat Natalità e fecondità della popolazione residente¸ 28 Novembre 2018

[3] Il report dell’Istat mette peraltro in evidenza alcune differenze geografiche significative. Il primato dei livelli di fecondità più elevati spetta al Nord, dove in diverse regioni le donne straniere mantengono un tasso di fecondità sopra a 2.

[4] Inoltre, molte nazioni in via di sviluppo hanno assistito ad un fenomeno similare a partire dagli anni ’50 dovuto, soprattutto, alla diminuzione della mortalità infantile.

[5] Per giovani adulti si intendono quelli tra i 15 e i 19 anni fino al 1950, e quelli dai 20 ai 24 anni dopo il 1950. La differenziazione viene fatta per tenere conto dei mutati livelli di istruzione ovvero, in altri termini, per considerare una più prolungata fase scolastica prima dell’ingresso nel mondo del lavoro.

[6] Si noti che, statisticamente, è invece poco probabile l’effetto opposto, ovvero che siano le condizioni economiche a determinare l’andamento demografico, poiché il grafico rappresenta persone nate almeno 15 anni prima della svolta nel ciclo economico.